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4. Lingua e grafia

4.3. Consonantismo

Il sic. tende a conservare le consonanti semplici: «restano intatte F-, M-, N-, P-, S-, T-; le occlusive intervocaliche; -F-, -R-; le occlusive doppie intervocaliche: -MM-, -NN-,

-RR-».14 Spesso queste consonanti vengono pronunciate con molta energia, dando

luogo a realizzazioni tese, soprattutto in inizio di parola. Le grafie in genere non danno conto di questo fenomeno, in CH troviamo: arrisica (Scim 3,1), ’rroggiu (Ven 66,1 in cui il raddoppiamento grafico è senz’altro dovuto all’aferesi inziale). Mentre per quanto riguarda le pronuncie tese interne di -N- e -M-, che si realizzano

prevalentemente in parole sdrucciole, abbiamo cinniri (Scim 87,8), ma il fenomeno poi si mantiene anche nei corradicali piani cinnirusu (Spir 33,4) e intinnirisci (Ven 32,3).

L’unico nessu consonantico teso a non essersi conservato è -LL- che si retroflette

nell’occlusiva alveolare sonora. Per questo esito la scripta sic. ha a lungo usato il grafema 〈ll〉, o in alternativa il minoritario 〈dd〉 per poi decidersi per 〈dd〉 che pure va a confondersi con il nesso -dd- di diversa origine. Molto pragmatica, a proposito, la posizione di Galeano che nella Grammatica Siciliana anteposta a MS1 scrive: «due LL si mutano per l’ordinario in due DD, come stella, alluma, bella, mille: stidda, adduma, bedda,

middi», e poi nella premessa Ai Siciliani Lettori precisa:

11 Non conta catalogare qui le voci in schietto latino: ave, ecce, surgite.

12 Queste oscillazioni dovrebbero essere solo grafiche, ma è impossibile stabilire con certezza se la

fonetica sia del tutto stabile (cfr., su argomento simile, Vàrvaro 1988, 718).

13 Cfr. Ambrosini 1977. 14 Vàrvaro 1988, 719.

le due ll, che i Siciliani cangiano in due dd, è stato solito scriversi con due ll tagliati: a me pare che, mentre noi pronunciamo con due dd, non dobbiamo scrivere con due ll tagliati. Risponderanno alcuni che varia un poco la pronuncia delli due dd, come si vede nell’esprimere fredda e bedda, che sono diverse di pronuncia, e così deveno diversificarsi nella scrittura. Ma questo poco importa, perché chi legge o è nativo della Sicilia, o forastiere. Se forastiere, non conoscendo la differenza che è tra l’una e l’altra pronuncia, proferirà tutti due dd ugualmente. Se nativo, conosce quella varietà di proferimento, ed egli stesso la pronuncia come è convenevole [...]. Né meno le due dd, come han fatto alcuni, debbono tagliarsi, essendo inutile far con più cose ciò che può farsi con meno.15

L’estensore di CH (che, lo ricordiamo, con ogni probabilità scrive dopo la pubblicazione di MS) aderisce in toto a questa scelta grafica. Ma, evidentemente, si tratta per lui di un’innovazione rispetto a un usus scribendi precedente in cui doveva usare di preferenza 〈ll〉. Infatti oltre all’alternanza tranquilla (Scim 36,6 è un

hapax)/tranquidda (Scim 90,4) e tranquiddi (Ven 51,7), il grafema -ll- compare in Gal

25,1 (aucellu) e, ancora più significativo, in Div 141, una delle pochissime canzuni in cui lo scriba corregge alcuni errori di scrittura (e quindi, possiamo immaginare, in un momento di allentamento dell’attenzione) dove accanto a un cassato biddizza troviamo un bell’occhi.

4.3.1. Consonanti semplici iniziali

B- e V- > [v]: vagna (Mor 13,4), vascizza (Migl 13,1), vaxxu (Spir 96,1), voscu (Tri

19,8), vucca (Mor 17,3), ecc. e vinu (Spir 4,5), visu (Spir 60,1), vita (Spir 69,4), ecc. Ma la Sicilia nord-orientale ha bbucca, mentre sono comuni a tutta l’Isola forme quali bbeddu,

bbeni e bbonu che «appare difficile considerare tutte di origine colta; dobbiamo

sospettare una situazione storica complessa».16 Situazione che si complica ancor più

nella tradizione canzunistica, in quanto proprio nelle città orientali (Catania in primis) ha inizio il petrarchismo dialettale siciliano. In CH, p. es., abbiamo anche baxxu (Ven 4,7) e bucca (Fic 7,7).

C- + A, O, U si conserva: cantu (Grav 20,5), cori (Ven 32,6), curi (‘curare’ Ben 1,4), ecc. C- + E, I > [t∫] o [ç] è centru (Mor 9,4), cima (Migl 37,1), ma può anche dare [ddʒ]:

gighia < CĬLĬUM (Ven 62,4) D- appare conservato.17

G- + A, O, U si conserva stabilmente nella grafia: gala (Ven 5,2), gustu (Ven 98,8),

ecc.18

G- + E, I si fonde con J- dando a volte [j]: ijnocchi (Ven 10,5), ielu (Ven 34,1), iocu

(Ven 60,4), ecc.; altre volte invece dà [ddʒ] anche se la grafia di CH non rende la consonante tesa: generusu (DiM 71,9), genti (Div 27,5), gialnu (Div 80,2), gintilizza (Div 218,4), Giuvanni (Spir 6,2), ecc., soprattutto con forme o derivanti o fortemente compromesse con l’it.19

QU + A si mantiene: quandu (Spir 11,3), quantu (Spir 38,3), quartu (Ven 66,3), ecc.,

tranne QUIA > QUA > ca che in CH però si confondono con le forme ch’/chì.

15 Grasso 1996, 38 e 50. 16 Vàrvaro 1988, 720.

17 Vàravero 1988 e Trovato 2002 riportano delle oscillazioni di pronuncia tra [dd], [đ] e [r] per questo

esito.

18 Vàrvaro 1988, 720: «anche se la pronuncia è molto debole, fricativa o prossima a Ø (ma con colpo di

glottide)», realizzazione impossibile da reperire nello scritto.

QU + E, I > [k]: chistu (Ven 75,8), chiddu (Ven 104,5), ecc. tranne quintu (Spir 21,8) e

i latineggianti, forse solo graficamente, querelu (Ven 52,5) e quietari (Giuf 16,4).

4.3.2. Gruppi consonantici iniziali I gruppi occlusiva + L- palatalizzano:

CL- > [k]: chiamari (Migl 26,7), chiarizza (Ven 75,3), chiovu (Ven 90,6), chiudi (Div

28,6), chiurma (Spir 132,5), ecc.

FL- > [ç], nella consuetudine grafica sic. questa fricativa prepalatale, dal Cinque al

Settecento, venie resa con 〈xh〉 o 〈xhi〉: xhedi (Migl 37,6), xhiamma (Cic 14,6), xhiancu (Ven 7,2), xhiatu (Pot 30,8), xhiumari (Spir 115,8), xhiuri (Ven 76,5), xhiuriri (Migl 23,3),

xhuxha (Tri 3,3)/xhuxhia (per assimilazione, Div 149,7).20 Dal Settecento queste grafie

vengono progresivamente sostituite da 〈c〉 o 〈sc〉.21

PL- > [kj]: chiaga (Div 178,5), chiangiri (Div 179,1), chianta (Spir 14,1), chianu (Scim

16,8), chiazza (DiM 68,8), chica (Spir 13,7), chiovinu (Dav 2,6), ecc.; ma si conservano i latinismi: planeta (Cic 2,6), placiri (DiM 70,7), ecc.

In CH si comportano in maniera parzialmente diversa il nesso BL-, che sembra

fermo a una fase intermedia testimoniata dalla grafia semi-latineggiante: vlancu (Div 48,2), vlanchizza (Tri 5,3), vlundu (Tri 13,1); e anche il nesso GL- che ritroviamo solo in

gloria (Ross 11,3) e nei suoi corradicali. Assenti poi, per questi nessi, gli esiti di -L- >

-r-.

SCL- e SPL- > [sk]: scavu (Ven 103,1), scuma (Ven 48,6), schicari (> lat. splicari, Ven

18,5).

S- davanti a consonante sonora si sonorizza: sblenduri (Ven 50,7), sbrizza (Mor 3,6).

«Lo standard conserva intatti nella scrittura STR- e TR-, ma la pronuncia

dell’occlusiva e della r è retroflessa e s si palatizza».22

4.3.3. Consonanti semplici interne

Le grafie lasciano trasparire una generale conservazione, anche fonologica, delle occlusive, ma come avverte Vàrvaro per il sic. standard, con problematica estendibile anche all’indietro fino ai nostri autori: «solo analisi precise, che mancano, potrebbero darci informazioni sul grado di eventuale lenizione».23

Tra i fenomeni comuni a tutto il Mezzogiorno possiamo notare l’esito -K- > -g-:

fatigu (Div 175,6 ma anche fatica, Ross 17,3), pagau (Spir 103,3), prigari (Div 17,3), ecc.;

di -P- > in cuverta (Div 9,8), rivu (Div 194,3), ecc. e di -T- > [đ], spudiu (> lat. potiri, Spir

38,7); mentre non si ha traccia di -P- > [bb] negli sdruccioli.

-B- e -V- > v, salvo dilegui: faidda (Div 204,3), Giuvanni (Spir 6,2 dove indica

l’Evangelista, ma Giuanni Giuffrè e Giuanni Di Michele nei titoli di sezione) ecc.; citiamo qui anche la grafia pagura (Spir 66,4), che però può essere semplice prestito dal toscano.

20 Secondo testimonianze seicentesche h non doveva avere valore puramente grafico, ma si associava a

un qualche fenomeno di pronuncia: aspirazione o prununcia tronca. Per la diatriba sull’argomento cfr. Rinaldi 1995, 79 e nn. 118-21.

21 Cfr. il settecentesco VSE e i già citt. Mortillaro, Diz e Traina 1868. 22 Vàrvaro 1998, 720.

-G- + A, O, U tende a essere conservato nella scripta: figura (Spir 68,6), rigordu (Scim

88,8).

-G- + E, I > [j]: fuijri (Div 55,6), leijri (Spir 11,5), peiu (Ven 48,5), surijri (ma anche

surgiri, Mor 6,7), ecc.

In questi casi j ha valore di semi-vocale. Più spesso, sempre di seguito a i, ha puro valore grafico (ijti, Gal 14,1), o serve da semiconsonante nel dittongo finale atono (soprattutto in rima dove, come dimostra l’omofonario [II, 3], non mancano le alternanze).

4.3.4. Gruppi consonantici interni

-L- + cons. > u: autru (Ven 65,1), autu (Giuf 2,1), fausu (DiM 14,3), ecc.; meno

frequente l’esito alternativo in r, con la presenza del solo scarpeddu (Busc 14,6). -RB- > -rv- arvulu (Migl 14,1), erva (Div 1,5), carvuni (Migl 9,6), ecc.

Assente la sonorizzazione di consonante dopo -R-.

-CL- e -TL- > [kkj], come in it.: ijnocchia (Ven 95,2), macchia (Grav 26,3), specchiu (Migl

3,3), vecchiu (Spir 83,3).

-FL- ha lo stesso esito (e la stessa grafia) che in sede iniziale.

-GL- + E e I si fonde con -LJ- e -LG- > [ggj]: fighiu (Spir 97,8), gighiu (Div 80,3),

scioghia (Ven 33,4), vighiu (Cici 5,7).

I nessi -ND- e -MB-24 si assimilano ma in CH sono regolarmente conservati nella

grafia.

-NG- + A, O, U e -NGW- + A, O > [ŋŋ], mentre + I, E > [nt∫], ma entrambi gli esiti

non sono riportati dalla grafia. -TR- retroflette.

CH non ha nessun es. di assordimento di -DR-, ma conosce l’esito -GR- > -ur-: niuru

(Cic 7,6), niurumi (Scim 77,3), ma anche nigri (Div 202,8). -BR- dà metatesi in frevi (Scim 59,2).

-CJ- e -CCJ- > [tts]: azzaru (Giuf 55,5), fazzu (Fic 21,2), trizza (Gal 5,3), ma anche >

[tt∫] facci (Scim 58,5).

-DJ-, -GJ- e -J- > [j]: criu (> lat. credo, Div 150,6), hoij (Scim 45,1), viju ( > lat. videre,

Scim 51,3).

-MJ- e -NJ- danno [ŋŋ] che non viene registrato dalle grafie.

-PJ- > [tt∫]: sacciu (Scim 51,1).

-RJ- si conserva o anticipa j: aria (Scim 71,3) e aira (Div 105,6).

-SJ- > [s] vasu (Div 135,5), ecc., ma «esistono casi diversi, forse prestiti sett.: adaciu,

caciu, mentre analogo è il risultato in una serie di gallicismi: aciu, bucía, caciuni, facianu, raciuni, staciuni».25 In area messinese abbiamo come esito [∫]26 che dovrebbe essere spia

toscana. In CH troviamo più spesso questo secondo esito: abbruxari (Pot 28,3), adaxiu (Scim 91,4), raxuni (Div 239,7), staxuni (Gal 33,2), ecc., dove la grafia 〈x〉 rende la sibilante palatale lene. Tale forma è però in concorrenza con la grafia it. 〈sc〉:

abbruxari (ma abbrusci, Scim 86,7), ecc.27

24 Su cui vd. anche Vàrvaro 1979 e 1980.

25 Vàravaro 1988, 721 e, anche, Rohlfs 1963 e Vàrvaro 1978. 26 Trovato 2002, 841.

27 〈x〉, inoltre, si trova in cultismi con valore prettamente grafico e latineggiante: exala, exalu, exanimato,

exudi, reflexu, ecc., anche queste forme sono in concorrenza con le equivalenti forme italianeggianti: esala, esanime, ragiuni, ecc.

-TJ- > [tts]: chiazza (DiM 68,7), dannazzioni (DiM 66,8), ecc.

-SSJ-, -PSJ- e -RSJ- > [∫∫]: baxxu (Div 160,8)/vaxxu (Spir 96,1), nixxunu (Spir 111,4),

ecc. In questo caso 〈xx〉 sta per una sibilante palatale forte, in concorrenza con una grafia -sc- che non distingue dagli esiti in forma lene [∫] da -SJ-: abbaxxa (Spir, 54,1 ma

abbasci, 76,4); finixxa (Dav 13,3 ma finsci DiM 77,2), ecc.

cons. + w > cons. tesa: happi ‘ebbi’ (Div 4,7) < HABUI

4.3.5. Consonanti finali

-S lascia qualche traccia in -i: fai (Div, 29,3), nui (Div 30,4), stai (Spir 79,3), vai (Ven

26,6), vui (Ven 30,2), ma anche chiùi (Ven 36,3), quest’ultima forma quasi esclusivamente in rima (nel corpo del verso si trova di preferenza chiù). Una i epentetica si trova anche in esti (Div 130,8), hapax e applicata a una parola lat.; la forma esti ‘è’ è presente in sic. e deriva da una cons. finale -T, ma qui potrebbe

trattarsi di un fenomeno semplicemente poetico motivato da necessità di rima.

4.3.6. Altri fenomeni linguistici e grafici

Presente la metatesi: oltre al già citato frevi abbiamo aicula (‘aquila’ Mor 8,5), firniscia (Migl 17,6), palora (Div 90,6), pri (Div 103,6) e sdi- rafforzativo: sdimenticari (Scim 23,5),

sdirramatu (Migl 14,4), di quest’ultimo fenomeno la natura metatetica non è però

sicura.28

Rarissime le assimilazioni e le dissimilazioni: cfr. i già citati xhiuxhiari e arvulu. Sono presenti fenomeni di anaptissi, facilitati dalla frequenza degli sdruccioli in sic.: magara (Scim 80,2), magaria (Div 73,4), ecc.

Frequentissimo l’uso di h nelle forme diacritiche: haiu (Dav 12,2), hannu (Cic 11,4), che si estendono a tutto il paradigma: happi (Div 4,7), ecc.; spesso si trova all’inizio:

hortu (Spir 21,4), humuanu (Giufi 5,6), humidu (Dur 5,1), ma si mantiene anche nei

composti inhumana (Div 209,3). In alcuni casi h è distintiva: hamu ‘amo (n.)’ (Ven 59,7) vs. amu ‘amo (vb.)’ (Ven 72,6), chori ‘coro’ (Grav 15,4) vs. cori ‘cuore’ (Grav 15,8). Si trova inoltre nei diagrammi di origine dotta: th e ch: Atheon (Ven 38,1), echu (Tri 1,4), e in forme culte: attrahiri (Spir 118,2), ecc.