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5. Metrica e stile

5.2. Ritmo, metro, prosodia

5.2.1. Schemi con ottava sede tonica

SCHEMI GIAMBICI (246810 – 146810 – 46810). Sono quelli che più si rifanno al cosiddetto «arcimodello»11 giambico dell’endecasillabo. È per eccellenza il verso

‘lento’ e grave, scandito su di un succedersi di ictus a intervalli regolari. Si tratta di un

verso cui la tradizione lirica italiana riserva un trattamento piuttosto ambiguo. Da un lato i poeti sono attratti dal suo notevole spessore accentuale (dalla sua gravitas, il che spiega le alte percentuali d’uso in Bembo, Sannazaro e Della Casa), ma pure – con dinamica simile a quella che Petrarca12 mette in atto nei suoi Fragmenta rispetto alla

tradizione precedente – ne diminuisce l’uso in favore di modelli concorrenti con ingresso sulle posizioni dispari, alcuni poeti (come Galeazzo di Tarsia) percepiscono il rischio di monotonia legato proprio alla sua eccessiva scansione e ne limitano l’utilizzo a vantaggio di forme più mosse come quelle anapestiche e trocaiche con ingresso accentuale sulle sedi dispari.

I poeti del nostro corpus risentono più o meno consciamente di questa doppia lettura. C’è un evidente incremento di queste forme rispetto alle medie petrarchesche (con l’esclusione di Spir), ma senza raggiungere i livelli del petrarchismo cinquecentesco. Senz’altro, uno degli elementi che attira i nostri autori verso questo modello di scansione è la sua capacità di tornire ritmicamente il primo emistichio (non per niente si riducono fortemente i tipi di 46810). Si tratta, insomma, del tipo versale più comune, ‘neutro’ in un certo senso, sul quale i poeti siciliani costruiscono la spina dorsale dei loro componimenti, lasciando poi ad altre scansioni il compito di farsi portatrici di più evidenti fenomeni di elocutio e di variatio ritmica. Lo dimostra il fatto che raramente su questo tipo si innestano figure retoriche di una certa appariscenza o che, quantomeno, mettano in relazione tensione retorica e profilo ritmico. Ciò più avvenire per analogia, come p. es., con le bipartizioni (molto frequenti già in Petrarca) che si organizzano perfettamente sull’equilibrato succedersi degli accenti dei due emistichi:

Allazzu Amuri e rendu l’oddiu stancu Tri 16,4

non sulu l’oddu to, ma l’aspra morti Div 10,7

Non è tirannu Diu, non è crudili Spir 132,1

oppure, per contrasto, con forme che cercano di sovvertire questa regolarità inserendo un indugio ritmico in prima o in seconda sede (come è tipico invece di Galeazzo):

…li miei loghi martiri

celati, né li miei anguxxusi chianti Busc 5,3-4

Rispusi: «Stenta in vita senza fini» DiM 77,7

La preferenza dei Siciliani va nettamente verso le più semplici enumerazioni: eterna, vera, intensa, unita e viva Ven 99,8

in celu, in terra, in chisti parti parti e ’n chiddi Gal 3,6

suspiru, chiangiu e mai mi mutu un nenti Migl 32,6

o, ancor più, preferiscono innestare su questi moduli ritmici gli snodi principali dell’argomentazione (cfr. l’alto uso di congiunzioni), come gli attacchi, magari con funzione presentativa, le cerniere e le loro risoluzioni. In questi casi, ovviamente, questi versi si collocheranno preferibilmente nei punti di inizio-fine e rilancio dell’ottava, e cioè ai vv. 1, 4, 5 e 8:

Perchì t’ammucci, beni miu si sai Fic 19,1

Addunca chiddu a cui l’internu arduri Scim 50,1 perchì la tengo ’n mezu l’alma sculta Ven 9,4

per dari a l’arsu pettu eterna fossa Cann 14,4 perchì l’occulta xhiamma, a pocu a pocu Fic 8,5 Benchì lu mali miu mi doghia forti, Cic 16,5

e adduma ddà l’estinta mia speranza Scim 10,8

ma comu Diu perduna, tu perdugni Spir 135,8

SCHEMI DI 24810 – 14810 – 4810. Nonostante la scarsa media accentuale non è un profilo particolarmente apprezzato dai nostri autori, che abbassano ulteriormente le percentuali d’uso rispetto alla media del petrarchismo cinquecentesco. Non piace ai nostri poeti la mancanza di ictus in sesta sede, che pure rappresenta un elemento di forte equilibrio interno. Il verso risulta bilanciato sulle due estremità, il ritmo simmetrico ma senza la prevedibilità del modulo giambico. Questo verso si presta naturalmente a ospitare strutture bipartite con parallelismi e correlazioni:

l’ultimu amuri, e la speranza prima Ven 24,8

oh viva xhiamma a li mei xhiammi spissi Div 89,6

ogni putenza, a lu divinu aspettu Div 141,5

Occasionalmente i nostri poeti cercano di far venir meno questa simmetria, soprattutto in coincidenza con incipit allocutivi:

Stiddi, ornamentu di l’eterni giri Busc 5,1

Exala, cori pazienti, exala Grav 28,1

Quest’ultima occorrenza mostra poi come uno dei modi più sfruttati per ottenere la pausa accentuale a centro verso sia quella di piazzare un quadrisillabo piano sotto l’accento di ottava:

perch’iu n’appighia risguardandu a tia Fic 19,4

ti sarrò sempri spavintusu a latu; Mor 6,4

lu celu intornu tenebrusu fassi Cic 7,3

ha chi non gusto cuntintizza alcuna Div 130,2

SCHEMI DI 136810 – 36810. Tradizionalmente considerato come vera alternativa ritmica agli schemi giambici, questi moduli sono preferiti dai nostri autori nella realizzazione con ottava atona. Si tratta di versi di transizione, dal profilo veloce e variato soprattutto nel primo emistichio scolpito sulle sedi dispari. Netta la preferenza per l’attacco anapestico in terza sede, più veloce e che prevede un minor numero complessivo di accenti. Da un lato possiamo notare la preferenza per realizzazioni che non sottolineino eccessivamente la scansione a maiore. Questa è ovviamente una realizzazione quasi obbligata, ma in genere si evita che la cesura metrica, coincidente con la sesta sede, coincida anche con una cesura sintattica o ritmico-morfologica. Difficile, insomma, che si presentino moduli con tronca in sesta sede:

forse a fini virrà lu dolu internu Gal 30,3

e lu tempu farrà li mei vinditti Scim 30,8

e comunque, come negli esempi appena visti, tale stacco ritmico tende a essere riassorbito dalla continuità sintattica, o dall’appartenenza a una superiore struttura retorico-esecutiva (come la tripartizione dell’ultimo caso).

Più comunemente questi moduli tendono a veicolare strutture bipartite o comunque correlate:

Quandu cadi la notti e l’aria imbruna Scim 19,1

apri qualchi tabbutu, e vidi un mortu Div 180,8

tutto in chiù ostij, com’in specchi visu Spir 2,4

o meglio ancora tripartite, fino a veri e propri tricola: su’ tutt’arsu, disfattu e puru m’ardu Ross 4,7

iu su’ focu, tu nivi, – oh, gran pazzia ! – Div 49,7

troppu t’amu, t’aduru e troppu criju Div 69,8

né confundi, né affuca, né disia Spir 132,8

Più rari i versi quadripartiti o le enumerazioni che, nei casi di maggior maestria, riescono a condensare, come in Petrarca, in una sola linea versale un gran numero di elementi morfologici:

Sacci, Donna, ch’oddiu e voghiu mali Spir 70,5

Lazzi, xhiammi d’amuri, riti e dardu Ven 6,3

SCHEMI DI 26810 – 16810. Questo modulo rimane sulle percentuali petrarchesche. D’altra parte, nemmeno il petrarchismo (a parte Bembo) tente a promuovere questi moduli. Il problema è dato dalla scarsa accentazione del primo emistichio che può diventare stilema forte solo se (come rarissimamente avviene nel nostro corpus, dove questi fenomeni sono di preferenza innestati su altri profili prosodici) ospita una dislocazione a sinistra o comunque una qualche mise en relief che interessi l’attacco:

oh xhiamma di sta vita amata e cara Div 211,2

Luciferu cu Cristi vennu a prova Spir 133,1

Agghiazza a la friddizza und’iu agghiazzai Div 29,5

Nei primi due casi si tratta di un rilievo enfatico, nell’ultimo la posizione metricamente rilevata ospita il primo termine di una figura etimologica organizzata in un quasi-chiasmo.

Ma, per lo più, questo schema serve ai nostri autori per lavorare il secondo emistichio, sul quale fanno concentrare l’attenzione del lettore dopo un avvio rapido e che spesso riprende sviluppi del verso precedente (quasi tutti, non a caso, cominciano con e). Nella quasi totalità dei casi, questa concentrazione riguarda una figura dittologica (come già nel primo es. del gruppo appena visto):

e scopru li biddizzi ardenti e puri Fic 8,2

e bench’internamenti abbampi ed arda Gal 22,3

e chiangino a stu chiantu niuru e scuru Cic 7,6

Ci culpa la mia sorti iniqua e ria Dim 10,5