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Continuità di un corale laboratorio poetico*

Nel documento Preziosi Frammenti (pagine 124-130)

La lettura dell’operosità artistica in un luogo e in un arco temporale definiti e specifici restituisce una sorta di narrazione episodica o per itinerari in grado di individuare permanenze e mutevolezze, caratteri comuni e dissonanze nonché i tratti di radici identitarie.

Intorno agli anni Ottanta, il territorio pistoiese è luogo di un fermento espres- sivo1 che ne cambia, per episodi, l’immagine generale dando continuità ad una

mirata trasformazione puntuale già felicemente iniziata nel secondo dopoguer- ra. Progetti e cantieri aperti per le nuove aree urbane periferiche interessano le aree appena fuori le mura cittadine: fra i tanti, la riconfigurazione dell’area ex Breda su progetto di Giancarlo De Carlo; il centro servizi nella nuova area arti- gianale di Sant’Agostino di Leonardo Ricci; gli insediamenti Peep Le Fornaci, Bonelle, Valdibrana. Singole realizzazioni testimoniano l’apertura a nuovi e al tempo stesso radicati linguaggi espressivi, come il mercato annonario su pro- getto di Adolfo Natalini, il centro servizi bancari della Cassa di Risparmio degli architetti milanesi Gian Antonio e Emiliano Bernasconi, il recupero del com- plesso conventuale di San Mercuriale in centro storico su progetto di Francesco Gurrieri e dello stesso, il supermercato Esselunga a Pescia.

È in questo ambito di attiva pratica dell’architettura, con opere e progetti eteroge- nei tra loro, di architetti pistoiesi e non, che si esprime l’attività degli architetti “lo- cali”, a costituire una sorta di implicito laboratorio con intrinsechi valori comuni: valori e consuetudini progettuali, regole compositive, rimasti come patrimonio di lunga durata in chi vive e progetta in Toscana2, naturale bagaglio culturale e pro-

fessionale condiviso. Un bagaglio formatosi a partire dalla stessa formazione nella vivace facoltà fiorentina dei fondatori, in cui la creatività artistica era una compo-

* Articolo tratto da Architetture pistoiesi 1981-2016, Firenze, Edifir.

1 Cfr. G.B. Bassi (a cura di), L’architettura costruita. Il cantiere di Pistoia, Firenze, Alinea, 1985. 2 F. Rossi Prodi, L’opera siamo noi, in P. Caggiano-F. Gorgeri (a cura di), Salvaguardia del

patrimonio del XX secolo, Firenze, Edifir, 2013, pp. 25-32, 26. Cfr. F. Rossi Prodi, Carattere dell’architettura toscana, Roma, Officina edizioni, 2003.

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Preziosi frammenti nente essenziale a fianco di una formazione professionalizzante garante di un cor- retto esercizio del costruire; dove il disegno era considerato un esercizio continuo della pratica professionale e testimonianza della relazione tra mestiere e singola soggettività. Facoltà in cui oltre a Giovanni Michelucci, insegneranno Emilio Briz- zi, Raffaello Fagnoni, Adalberto Libera, Ludovico Quaroni, Leonardo Ricci, Leo- nardo Savioli, Italo Gamberini, Giovanni Klaus Koenig ma anche Marco Zanuso, Giuseppe Samonà, Giancarlo de Carlo, riferendosi al tardo razionalismo e al con- tempo all’architettura organica nonché ai linguaggi internazionali attraverso F.L. Wright, Le Corbusier, Alvar Aalto. Si sviluppa così una cultura del progetto che tende a riferirsi ad alcune invarianti fondative, come base sintattica di espressioni soggettive e plurime: primo fra tutti quell’umanesimo michelucciano che ponen- do al centro delle questioni l’uomo con i suoi bisogni sociali ed esistenziali diviene viatico e premessa di ogni scelta morfologica e variabilità3. Questo fondamento

etico del pensiero progettuale, riferito all’uomo come soggetto di azione e trasfor- mazione, di relazioni e partecipazioni sempre rinnovate e costitutive di città, resti- tuisce opere informate da valori di necessità, da una intrinseca sincerità costrutti- va di sapiente artigianalità e da una intellegibilità espressiva che attribuiscono alle opere la valenza positiva della semplicità e della durevolezza anche segnica. Così la storia entra a far parte del progetto come valore di permanenza e aderenza ad un contesto. Il passato non è considerato come modello stilistico e luogo del dejà vu:

bagaglio d’imitazione contenente elementi di memoria aridamente formali. Dalla lezione michelucciana l’antico è assunto come esempio morale di un processo che ne delinea l’appartenenza al tempo storico. «La forma trova intrinseca spiegazione nel rapporto con le relazioni umane che si stabiliscono tra utente e manufatto»4.

La lettura interpretativa e generatrice dei luoghi, il loro costante ascolto sia come fisicità geografica sia come identità antropico-culturale condivisa hanno preservato l’espressione professionale da una passiva e subitanea omologazio- ne alla corrente generale per riferirsi ad un figuratività più specifica, legata ai caratteri del contesto, vincolando al contempo il progetto di architettura alla pluridisciplinarità umanistica oltreché tecnica. Un vincolo di appropriatezza tra costruito e ambiente urbano nonché un legame con un precipuo territorio – pa- esaggio toscano – come ambito di specifiche vocazionalità in cui opera costruita e natura si sono da sempre mutualmente sovrapposte.

Questa “misura” sia etica quanto espressiva ed estetica accompagna e sostanzia il percorso condiviso e personale di molti architetti del territorio pistoiese come Tommaso Aurelio Bruno, Roberto Cantamessi, Renzo Bonechi e pistoiesi come

3 F. Fabbrizzi, Variabilità, in F. Fabbrizzi, Opere e progetti di Scuola fiorentina 1968-2008, Fi-

renze, Alinea, 2008, p. 44.

4 G.B. Bassi, La città che si dilata. La città che non cresce. Pistoia e Giovanni Michelucci, in G.B

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Giovan Battista Bassi, Massimo Baldi, Stelio Rossi, Roberto Fedi, soltanto per citarne alcuni, a volte uniti anche da collaborazioni vicendevoli e operanti alle diverse scale e tipologie di progetto.

Il recupero di artisticità dell’architettura perseguito da Bassi5, dalla cura abile del

disegno fino all’artigianalità, evocativamente scarpiana, del dettaglio costruttivo come elemento classicamente decorativo, diviene un concreto contributo per un ripensamento della disciplina stessa, nonché una sorta di metodo operativo in grado di dare ordine ad una caratterizzante complessità concettuale e figura- tiva, riflesso anche dei propri tempi. Un’architettura complessa e al contempo chiara espressione dei suoi intenti, quella di Bassi, generata a partire dall’inter- no, dagli spazi di vita ottenuti attraverso la trasposizione, composizione e ritmica di geometrie volumetriche compenetrantesi. Nelle opere, il gioco compositivo di una polifonica prossimità di elementi eterogenei, accostamenti di sublimate dissonanze sul piano materico, formale, dimensionale, di distanza anagrafica tra loro come in una stratificazione di sviluppo urbano a cui sempre riferiscono, ha una misura e armonia di sapore antico: antico come prezioso deposito di materia primaria per l’espressione creativa di desideri iscritti nei volumi e negli spazi stessi. Bassi utilizza un riconoscibile e corposo alfabeto grammaticale di elementi compositivi secondo principi e metodi di matrice classica ma con una personale sintassi anticlassica6 che ne contraddistingue la poetica, dai primi

edifici residenziali, che maggiormente riflettono l’insegnamento michelucciano, alle più tarde realizzazioni dove la composizione volumetrica e soprattutto l’ap- parato decorativo si fanno sempre più complessi.

Negli stessi anni, le opere di Massimo Baldi sono espressione di un’architettura rigorosa e essenziale, privata di ogni sorta di esubero decorativo, dove la comuni- cazione estetica è affidata al gioco chiaroscurale della composizione dei volumi e/o al definito accostamento di pochi materiali eterogenei. Opere dedicate alla città ed ai suoi abitanti, in cui un indicato richiamo al razionalismo italiano, da Piero Bottoni a Italo Moretti, a volte si stempera in un riuscito organicismo di scuola toscana. Dai progetti di abitazioni, come casa Giacomelli-Banci in viale Arcadia alla Casa del popolo di Bottegone, al bar in Campo Marzio, al blocco di residenze e concessionaria auto in Viale Adua fino a quelli degli anni successivi a scala urbana o paesaggistica, l’attenzione e la rispondenza al luogo rimangono una sorta di invariante poetica.

Il condominio Tecnocasa di Via Mabellini a Pistoia compendia una sorta di di- chiarazione del linguaggio espressivo delle opere di Baldi. Un leggera rotazione nella disposizione di quattro volumi incernierati attorno al cuore centrale del vano scala, genera un dinamismo compositivo che risponde alla sua stessa col-

5 Cfr. F. Gurrieri, Giovanni Battista Bassi. Esegesi per frammenti, Torino, Testo & Immagine,

1998.

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Preziosi frammenti locazione lungo un asse viario veicolare e ne determina un rapporto di relazione, anche percettivo, con il contesto. L’uso di pochi e semplici materiali sottolinea il rapporto con il suolo e una esplicitazione del sistema strutturale, che si dichiara nei prospetti, disegna le superfici di piani composti secondo un reinterpretato neoplasticismo.

Come negli edifici condominiali di Cantamessi nel centro di Montecatini Ter- me, i materiali a volte sono usati anche per finalità decorative, per realizzare un grafismo di diversificate superfici materiche, in grado di nobilitare caratterizzan- dola, l’obbligata semplicità compositiva.

Negli anni Ottanta, con la crescita intorno al nucleo urbano della periferia e le nuove necessità abitative e sociali, si sviluppa nella cultura progettuale una co- stante intenzionalità volta al recupero di un equilibrio identitario tra fattori ur- bani e naturali-rurali che innerva l’abitare locale. Così anche negli insediamenti Peep di Stelio Rossi si avverte una dualità dialogica in cui i precipui caratteri di urbanità sono innervati da un disegno insediativo che attinge i sui richiami in un pacato senso di ruralità (peep Bonelle ’80) o di serenità bucolica (peep Val- dibrana). L’insediamento residenziale Bonelle ’80 è un complesso edilizio posto tra gli edifici storici dell’asse viario di collegamento territoriale e la campagna e composto da otto torri residenziali, otto blocchi di case a schiera e alcuni edifici per servizi alla residenza destinati ad uffici, negozi e bar. I rapporti volumetrici complessivi sono sapientemente calibrati in un gioco di pesi ponderati tra edifi- ci, tra ingombro a terra e altezza degli stessi, tra volumi stereometrici e sistema del verde, a cui contribuisce una sobria tinteggiatura a bande verticali. Le case a schiera, caratterizzate da una rigorosa e minimale semplicità, sono disposte a pettine, ortogonalmente ad un asse viario insediativo verso la campagna, mentre le torri residenziali con modulo planimetrico a croce ripetuto, occupano la parte centrale di lotti rettangolari, circondate da un sistema a verde di prati e alberi di alto fusto. Il piano terra degli edifici a torre, parzialmente su pilastri, aperto e permeabile, consente la fruibilità dell’intera area e un equilibrato rapporto dello spazio semipubblico.

Una particolare attenzione agli spazi di soglia, luoghi di relazioni, derivata da una concezione sempre urbana e collettiva del progetto.

Anche nei progetti di Roberto Fedi, dai piani di insediamento ai progetti di restauro monumentale, comprese le abitazioni private, la lettura interpretativa del contesto, che ritorna nelle scelte compositive come nei materiali, restituisce una dimensione comunque pubblica e condivisa. Un solido “buon costruire” e un “coinvolgimento” sapiente delle preesistenze caratterizza le sue opere. Le case unifamiliari realizzate nella campagna pistoiese, a Casalguidi, in anni re- centi (2002-2008) rispondono all’intento di porsi tra tradizione e innovazione, in una dimensione poetica liminare capace di ascoltare ed accogliere nel progetto le suggestioni del paesaggio o del contesto edificato, quanto le potenzialità di un linguaggio e di una tecnica contemporanei.

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Dalla fiducia nella costruzione di una Nuova Città alla consapevolezza del fluire permanente e processuale della Storia che amalgama ogni temporanea novità, il percorso personale e condiviso di questi architetti è testimoniato da una attività poliedrica: da progetti e realizzazioni che con la continuità e l’appropriatezza dei tempi lunghi, possono dirsi, con parole michelucciane, «opere responsabili cioè di maestri»7.

Basate su presupposti etici e valori ambientali contestualizzati e condivisi, su pratiche operative e professionali olistiche e complete, esse costituiscono una sorta di “segnature”8 di riferimento, rimandi di metodo per una preziosa eredità

culturale del progetto di architettura e della città. Esse sono exemplum, nel

senso del paradigma foucaultiano9: evocazioni analogiche che non escludendo la

loro singolarità sono in grado di riunire e suggerire principi e pratiche per nuove realizzazioni ancora trasmissibili.

7 G. Michelucci, La natura. Suggestione e intuizione, in «Nuova Città», ottobre 1951; vedi

anche G.B. Bassi (a cura di), L’architettura … cit., p. 17.

8 Cfr. G. Agamben, Signatura rerum. Sul metodo, Torino, Bollati Boringhieri, 2008. 9 Ibidem, p. 20.

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