Ordine e composizione consistono in sinonimie concettuali e operative che sta- biliscono dinamiche comuni.
Il “mettere ordine” per radunare oggetti e idee dando origine ad una nuova to- talità dotata di finalità morfologica e segnica altra, rispetto alla parte e al fram- mento costitutivi, denota e connota il “comporre” come strumento, mezzo e fine, dell’atto espressivo.
In questa accezione retorica, la composizione assume una valenza comunicativa sia del nuovo risultato raggiunto quanto della narrazione del percorso costituti- vo. Conserva in sé pertanto, una componente temporale e processuale che ne rende possibile la lettura dinamica e quindi partecipata come un’opera aperta (Eco 1962).
Ordinare e comporre presuppongono inoltre anche il riferimento ad una o più regole che ne determinano trasmissibilità e durata secondo un mutamento in- terpretativo continuo di scomposizione e ricomposizione; ritmi e sequenze che definiscono i rapporti relazionali interni e la mutevolezza nella possibile modifi- cazione nel tempo secondo un fraseggio di ripetizioni e interruzioni.
L’aspetto semiotico dell’opera implica la presenza in essa di una specifica strut- tura che innervando i pezzi considerati, consente di comunicare, di rendere visibile quanto questi riescono a stabilire come significato autonomo e inter- dipendenza reciproca e quindi tra il singolo frammento e la totalità a cui esso riferisce, tra essenziale e accidentale. La valenza semiotica presuppone l’arbi- trarietà del segno secondo una condivisa attribuzione di significati e di rapporti associativi: arbitrarietà e relatività dei segni consentono il rimando concettuale che ne costituisce un fatto di linguaggio della forma, la coincidenza di significa- to e significante (De Saussurre 1967-1949).
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Preziosi frammenti «Per il progetto di architettura l’ordine è anzitutto la legge di costituzione della cosa, di selezione e di organizzazione degli elementi che la costituiscono, ma è anche l’in- sieme del nuovo sistema di significati che essa propone e attraverso i quali è possibile guardare, cioè ordinare frammenti del mondo in modo nuovo».
(Gregotti 2014).
In molte opere di Louis Kahn, la figuratività morfologica è ottenuta tramite la composizione per “stanze”: volumi che si dispongono in un apparente disordine planimetrico come frammenti di non-finito o rimandi alla tettonica residuale delle grandi archeologie. Come nelle architetture di John Soane, la duplice na- tura individua e associativa della stanza che si compone secondo sequenze e concatenazioni, inglobando in un procedimento di tipo narrativo anche il dato accidentale, genera composizioni d’insieme caratterizzate al tempo stesso da discontinuità e totalità.
I pezzi della composizione sono frammenti evocativi come lo sarebbero in un in- sieme di rovine. Essi divengono strumenti conoscitivi per una reinterpretazione della lezione ereditata dall’architettura del passato, in chiave di unità tematiche e figure compositive, riconducibili all’unità di stanza, come nel progetto per il convento delle suore domenicane in Pennsylvania.
Il rapporto tra l’ordine, considerato coincidente con la forma, e il progetto ri- manda alla relazione tra l’invarianza e il divenire, quest’ultimo dettato dalle spe- cifiche circostanze.
Se Louis Kahn ricompone un’unità d’insieme attraverso il montaggio para- tattico di capsule spaziali, vuoti racchiusi da volumi mai conclusi, Mies van del Rohe opera scomposizione e montaggio di superfici, per piani-guida che attenuano i contorni oggettuali dell’edificio. Nella Casa in mattoni e in quella a tre corti, il limite perimetrale aperto è caratterizzato da un’ambiguità che connota il volume scomposto di trasparenza fenomenologica; le superfici che determinano lo spazio di vita dell’edificio, appartengono così, al contesto nel quale si inseriscono come linee di forza geometriche adagiate sulla sinuosità della natura.
Le superfici che determinano lo spazio di vita dell’edificio, appartengono così, al contesto nel quale si inseriscono, come linee di forza geometriche adagiate sulla sinuosità della natura.
Una sorta di principio ordinatore astratto, fatto di setti a disposizione aperta, a cui Eduardo Souto de Moura associa il linguaggio della pietra, conferendo ai muri liberamente disposti, un solido carattere di frammento, anche figu- rale. Uno strumento compositivo entro cui i muri di granito, accostati alla trasparenza del vetro e alla calda matericità del legno, trovano il valore di una preesistenza, un segno ricorrente, all’interno di una composizione derivata da una libera varietà di riferimenti citazionali, sovrapposti, dislocati, provenienti da ambiti e culture anche molto distanti e raccolti grazie ad un procedimento associativo e analogico, per conferire alla forma un’identità complessa; una
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Ordine e composizione
spazialità aperta e isomorfa di richiamo alla modernità, spesso coniugata a forme chiuse di rigore classico.
«Nel momento in cui esiste uno spazio continuo il progetto procede unendo in un gesto, azioni ed elementi autonomi».
«Un’attitudine all’adesione» attraverso anche elementi e oggetti estranei alla disciplina che condurranno per metamorfosi alla forma, la quale oltrepassando l’immagine, si concluderà in una figurazione definita, sottolineata dalla cura del dettaglio e dall’attenzione costruttiva.
Il muro-frammento assume così il fascino estetizzato della rovina che, soprattut- to negli interventi sull’esistente, conserva espressioni e modalità tettoniche in grado di conferire figuratività all’intero.
La figura morfologica in questi esempi prende origine da un processo composi- tivo basata sul disporre secondo un ordine di relazione derivato da una struttura interna oggettiva ed autonoma e da un aspetto evocativo e metaforico in grado di stabilire legami immateriali che ne sostanziano la forma.
La forma in frammenti è così l’invariante, il valore residuale, autonomo e og- gettivo, che permane al flusso diacronico e a cui eventualmente può essere attribuito altro significato, una diversa griglia semantica, in un nuovo ordine di pezzi composti, secondo una modificazione continua che ne permette la durata. La forma, intesa non solo come immagine figurale, implica una durata irridu- cibile alla propria immanenza: ogni forma è una nuova specifica possibilità di senso (J.L. Nancy 2007).
Con ciò, la composizione analogica è uno strumento idoneo a disporre cose e forme per generare relazioni associative e rimandi correlativi tendenti a ristabi- lire un senso unitario e formale di un insieme.
Il montaggio analogico di architetture e / o parti di architetture esistenti, teorizzato e operato eloquentemente da Aldo Rossi, genera spazi e costruzioni inediti privati di qualsiasi riferimento cronologico originario, quali potrebbero essere il richiamo a Piranesi o a Schinkel. Le forme reali sono riportate a immagini archetipiche parzializzate che assemblate, svelano le invarianti tipologiche mentre i processi di decontestualizzazione, trasfigurazione e associativi, generano nuove, inedite figu- razioni surreali. Il tempo viene dato e scandito da queste «cose immobili». L’analogia, il processo analogico, consente l’assemblaggio atonale in cui ogni singo- lo episodio risuona isolato nell’intero che diviene alternativamente sfondo e figura. Il tutto costituisce un’opera aperta, mai finita, che consente libere associazioni. Uno smontaggio immaginifico delle immagini acquisite dalla percezione e de- positate nella collezione mnemonica delle cose per un rimontaggio in grado di generare configurazioni e nuove riflessioni, riconfermando il ribaltamento forma-funzione e riportandolo all’interno del dibattito sulla città.
L’uso di un procedimento analogico consente di riconnettere l’analisi al proget- to, la scientificità oggettiva della fase conoscitiva.
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Preziosi frammenti La struttura analogica è connotata da una funzione di proporzionalità che è anche la propria condizione di validità e veridicità: la simmetria analogica che si stabilisce tra due termini di comparazione è dipolare, cioè tensionale, in grado di stabilire un rapporto dicotomico tra opposti.
L’analogia comparativa è quindi geometrica e proporzionale: escludendo la mi- sura quantitativa, essa ha un grado associativo illimitato, non vincolato e può generare nessi euristici (attraverso un procedimento induttivo legato all’intu- izione), sintetici (mediante legami interdisciplinari) o evocativi (secondo una trasposizione semantica e metaforica) (Enzo Melandri, Analogia proporzione simmetria, Milano, Isedi, 1974, p. 99).
Così l’analogia potrà essere sintattica o semantica a seconda che consideri un’interferenza risolta attraverso un approccio proporzionale o attraverso la for- mazione di concetti corrispondenti95.
Il rapporto analogico non instaura un rapporto di rappresentazione tra cosa e fi- gura, ma di similitudine: la relazione conoscitiva è diretta e in quanto tale dotata di una propria oggettività.
Nonostante l’analogia sia caratterizzata da principi formali e strutturali contrad- dittori tra loro, come commistione, interazione, gradazione e monadicità, conti- nuità, infinità, il contesto di riferimento è sempre una totalità che ammette più dimensioni e livelli di lettura.
Nel secolo scorso Tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento, la frattura dell’evento bellico ha generato un prima e un dopo che seguono o interrompono la linearità storica, oscillano tra continuità e discontinuità nelle culture, nelle istituzioni, nelle tecniche, legate all’architettura, alla città e al territorio.
La ricostruzione quantitativa e necessaria del patrimonio edilizio, soprattutto abitativo, e quella qualitativa dei beni architettonici identitari coinvolgono mol- teplici discipline e presuppongono una ridefinizione dei ruoli sociali.
Il dibattito postbellico si svolge con l’esigenza di conoscenze integrate, di un nuovo rapporto tra l’architettura e le altre arti che adottano nuovi strumen- ti espressivi dall’Europa con Fautrier, Burri e Fontana agli Stati Uniti con Gorky, Pollock e Rothko, solo per citarne alcuni, di un legame rinnovato tra ideologie e linguaggi intesi come possibilità di condivisione e narratività più che di rappresentatività, di una relazione “aperta” con la storia e i contesti storici.
Il senso della durata in termini temporali viene sovvertito dall’irruzione distrut- tiva dell’evento bellico che modifica la percezione del divenire e la valenza se- gnica degli edifici.
L’esaltazione del tempo progressivo e di lunga durata e la percezione di una tem- poralità discontinua in cui nulla è più stabile e prevedibile, entrano in tensione: il tempo non è soltanto fluire ma anche interruzione, frattura, vuoto.
Il vuoto acquista la valenza di una potenzialità quale spazio di un senso ulterio- re: la creazione è incompiuta, un frammento.
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Ordine e composizione
Nel secolo scorso, se la metafora e il verosimile custodivano in sé le immagini della differenza come un frammento di metamorfosi in grado di trattenere il mu- tamento, ciò che diviene racconto dell’avvenuto è già un mutamento, secondo un processo di metamorfosi in atto e di trasfigurazione.
L’atto distruttivo proprio del pensiero concettuale delle prime avanguardie, l’i- dentificazione con l’infranto o la «celebrazione della pluralità» dadaista, vengo- no storicizzati dalla concretezza degli eventi bellici.
L’«atto critico» costituisce uno strumento di storicizzazione e di potenziale mu- tamento pratico che ricolloca nello spazio e nel tempo forme e figure, e proprio nella forma riscopre la possibilità di includere le contraddizioni e le dissonanze impossibili al pensiero logico: la forma porta in sé l’informe da cui origina e si costituisce “cosa” tangibile dell’inespresso.
Dal progetto per la ricostruzione di Saint Dié, agli studi per la città collage di Colin Rowe e la città arcipelago di Oswald Mathias Ungers, i legami ed i rapporti tra architettura e città, tra struttura urbana e collocazione dell’oggetto architettonico: si registra l’impossibilità di una concezione unitaria e globale della città, intesa in appartenenza ad un territorio di superficie indefinita e in un rapporto vuoto-pieno che polarizza l’architettura sul piano oggettuale e mor- fologico.
La composizione urbana diviene sempre più riferita ad un ambito dilatato e dai confini indefiniti: la dimensione spazio temporale e storica della città oltreché fisica non confina e racchiude una struttura formale figurale, tendendo ad assu- mere i connotati di un sistema di relazioni paesaggistiche.
Nell’opera di Carlo Scarpa vi è una costante dialettica di ordine e disordine, alimentata dall’autonomia riconosciuta delle parti e dalla cura posta al detta- glio considerato fulcro di separazione e articolazione delle forme. Nella Tomba Brion ogni cosa può essere ritenuta frammento in quanto interruzione di conti- nuità temporale, rimando alla rovina, pezzo di una frammentarietà e discontinu- ità compositiva in un coacervo di forme autonome ricollegate attraverso il gioco sapiente dei percorsi percettivi.
A prescindere dall’aspetto prettamente strumentale di operatività compositiva, la frammentazione può considerarsi, nel suo farsi metodologico, come esito di una componente temporale insita, non tanto nel rimando memoriale a figure e modelli della storia o della memoria individuale, quanto nella processualità costitutiva del progetto collocato geograficamente e storicamente in un sito. Il progetto diviene così frammento di un processo trasformativo sempre in atto di cui esso stesso è attore principale.
Fare architettura significa semplicemente «fare una cosa», la quale è «la forma delle materie ordinate allo scopo di abitare», di costruire un luogo. La forma è la peculiarità della cosa architettura, tutto il resto contribuisce a creare un baga- glio di materiali da cui si originerà la forma architettonica, a sua volta materiale per la modificazione di un contesto più ampio.
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Preziosi frammenti La forma è sia il modo in cui le parti e gli strati della cosa si dispongono quanto come questa disposizione si comunica.
L’architettura è pensata come un «fenomeno temporalizzato» in un presente storico e in un luogo vissuto in cui essa rende palese l’intenzionalità della storia e la capacità della forma stessa di tematizzare la realtà e quindi di reinventarla. L’azione progettuale individua regole e “principi insediativi” nella specificità contestuale, che divengono le regole strutturali, sempre diverse, del progetto21.
La «pregnanza generativa dei contesti»22 consente una dilatazione scalare dell’in-
tervento e costituisce la struttura di un paesaggio antropogeografico che accetta la modificazione.
La modificazione, implicita nel principio insediativo quale regola proiettiva, pre- siede alla progettazione come indicazione procedurale in grado di coniugare variabilità e persistenza, di preservare l’appartenenza del progetto ai luoghi assi- curando continuità nel mutamento: di attribuire al progetto i significati derivati dai siti e di generare uno «spostamento di senso» proprio nell’atto di modifica dei segni concreti sul territorio.
Discontinuità ed eterogeneità caratterizzano i “luoghi” nel tempo della globa- lizzazione, delle grandi comunicazioni e interconnessioni, della compressione e convergenza spazio-temporali, in cui tutto è costantemente diverso e mute- vole.
Luogo e spazio si allontano sempre più dalla loro tangenza: il luogo sempre più circostanziato e localizzato.(Farinelli), lo spazio diviene sempre meno mi- surabile e globale, non più riferito ad un soggetto fisso di riferimento ma ad un punto mobile di percezione. Una sorta di fenomenologia dinamica dove i poli della percezione, soggetto e paesaggio, sono coincidenti, mutevoli e in costante movimento.
«Il filo dell’orizzonte, di fatto è un luogo geometrico, che si sposta mentre noi ci spostiamo».
(A. Tabucchi 1986)
«Si va formando così una successione di cerchi secanti, come se l’osservatore spin- gesse lo spazio davanti a sé e si trascinasse dietro una cortina distante… l’orizzonte è sempre un’immagine che ci sfida, che ci promette meraviglie».
(J. Saramago 1985)
Paesaggio (Farinelli – orizzonte di Saramago e Tabucchi)
Percezione fenomenologica -> metaforica obiettivo epistemico e estetico
tempo con unità di misura infinitesimale,
dare forma ad una determinata possibilità di senso mancanza e distanza – discontinuità e eterogeneità
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Ordine e composizione
«Il frammento consente l’unione degli opposti di perfezione ed incompiutezza. […] Alla certezza deterministica ed alle categorie dei contrari si è sostituita un’unità com- plementare».
Oswald Mathias Ungers, L’architettura come autonomia, in «Rassegna. Arcipelago Europa», numero monografico a cura di Vittorio Gregotti, n. 76, anno XX, 1998/IV, pp. 46-51.