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Pensieri sull’architettura e la città: il Rinasicmento

Nel documento Preziosi Frammenti (pagine 76-82)

«L’architettura si comporta come la natura. Come quest’ultima ha capacità di tra- sformarsi da una forma all’altra. Le forme non sono mai in sé concluse; contengono sempre anche il loro opposto. Mi riferisco al processo di formazione e trasformazione di pensieri, esigenze, oggetti e circostanze da uno stato all’altro, cioè in termini qua- litativi, invece che in dati quantitativi. Un processo, quindi, basato più sulla sintesi che sull’analisi. Analisi e sintesi si alternano in modo altrettanto naturale quanto, per citare Goethe, inspirazione ed espirazione».

«In primo piano, nel pensiero e nell’azione, vi è la figura, cioè la forma. Le forme geometriche di base – il cerchio, la retta, la sfera, il cono, il cilindro, il cubo e l’ellis- se – sono la materia attraverso la quale lo spirito e l’anima si traducono in simboli. Gli umanisti erano alla ricerca dalla figura ideale, quella forma perfetta che rappre- sentasse l’idea della creazione. L’essenza dell’arte e dell’architettura è il numero, la misura e la proporzione».

O.M. Ungers1 da «Casabella», n. 657, giugno 1998, p. 3.

Il pensiero di Ungers, espresso da lui stesso in occasione di una esposizione di disegni e plastici delle sue opere all’interno della Basilica Palladiana di Vicen- za, testimonia come i canoni e le regole dell’estetica classica siano ancora oggi rintracciabili nell’operare architettonico quando la forma, riconducibile ad ele- menti archetipici, assume un ruolo prevalente.

Le parole di Ungers per indicare quindi, come il linguaggio classico rinasci- mentale sia stato l’inizio di un processo del possibile che ha avuto nel tempo, molteplici manifestazioni.

Il passaggio tra visione estetica medievale e quella rinascimentale si può sinte- tizzare nella trasformazione del concetto di bellezza intrisa di sacro, intesa cioè

1 O.M. Ungers (Kaisersech, 1926): tra le sue opere il Deutsches Architekturmuseum a Fran-

coforte (1979-86), il grattacielo di Francoforte (1983-84), l’ambasciata tedesca a Washington (1982-90) ed i progetti per Berlino dalla fine degli anni Ottanta ad oggi.

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Preziosi frammenti come claritas, con quello di una “bellezza quale ideale di armonia geometrica del

mondo”2 raggiungibile attraverso l’armonia dei propri costituenti.

Inizia un processo di secolarizzazione del concetto di bellezza al quale corri- spondono la commensurabilità del reale ed un rapporto di proporzionalità ‘sen- za residui’ tra le parti.

Così afferma infatti l’Alberti:

«Definiremo la bellezza come l’armonia tra tutte le membra, nell’unità di cui fan par- te, fondata sopra una precisa legge, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio»3.

La concinnitas, di cui sopra, che va oltre le tre categorie vitruviane di utilitas, firmitas, venustas racchiudendole tutte assieme, diviene per l’Alberti la legge

assoluta di riferimento con la natura: così in architettura l’identità del manufat- to passerà attraverso il rapporto proporzionale tra le singole parti e il tutto, tra il “rigore dell’elemento e la controllata complessità dell’insieme”4, tra edifici e

casa, tra stanze e casa ecc., in una correlazione che coniuga ambiente, necessità e contenuto. Proprio come in natura i rapporti tra le diverse forme svelano le varie identità, così gli edifici si modificano in base alle diversità degli uomini- cittadini che li abitano.

In natura, come in architettura e nella città, la bellezza è unità di ciò che è qualita- tivamente diverso, non omogeneizzante somma di addendi, non standardizzazione. Ungers afferma: “L’architettura si comporta come la natura”. Tale diretta reci- procità tra arte e natura si può rileggere anche nelle antropometrie di Francesco di Giorgio Martini, nell’uomo modello, artefice e abitatore della ideale Sforzinda filaretiana e soprattutto nel rapporto con la natura di Leonardo da Vinci: espe- rienziale, di indagine diretta. Il bello è uno dei beni di questo mondo: il bello sia in natura che nelle opere dipende dalla proporzione, dall’armonia, dalla appro- priata disposizione delle parti.

Alla commensurabilità sono legati la ricerca di ordine, la leggibilità, la ricerca di qualcosa che permane sempre uguale, di un sapere stabile, trasmissibile e rappresentabile. Trasmissibilità e rappresentazione sottendono un linguaggio espressivo5, la costituzione di una sintassi sia di lettura che di metodo, una

grammatica della forma che si può sintetizzare in cinque invarianti: simmetria, gerarchia, unità, rapporto pieni-vuoti euritmico, serialità.

2 F. Fabbrizzi, Architettura ed interpretazione, Firenze, Pontecorboli, 1997, p. 54. 3 L.B. Alberti, De re Aedificatoria, libro VI, p. 2.

4 F. Fabbrizzi, Architettura … cit., p. 15. Cfr. J. Summerson, Il linguaggio classico dell’architet-

tura, Torino, Einaudi, 1970.

5 Le riflessioni sul linguaggio architettonico classico traggono contributo da annotazioni ed

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Pensieri sull’architettura e la città

Particolarmente interessanti nel periodo rinascimentale sono la gerarchia e l’u- nità. La prima è chiaramente palesata nei disegni delle facciate e ne sono esem- pi noti a Firenze, il disegno della facciata di palazzo Rucellai o la diversificata la- vorazione delle bozze di bugnato in palazzo Medici Riccardi. L’unità di volume e di pianta è nel modulo usato da Brunelleschi nella definizione plani-altimetrica delle sue architetture, ottenuto riferendosi al braccio fiorentino e suoi multipli (rispettivamente portico Ospedale degl’Innocenti e chiesa di S. Spirito), che con misure legate alla esperienza di cantiere mirano al raggiungimento di pro- porzionamenti normalizzanti.

L’unità è anche nel Modulor di Le Corbusier, con riferimento alla teorizzazione ed applicazione di dimensionamenti metrico-matematici ancora riferiti all’uomo. Unità di volume anche nelle forme archetipiche, razionali, dell’espressione a volte ‘provocatoria’, di Aldo Rossi e nel rigore che unifica le coppie antinomiche di Mathias Ungers.

Il processo di secolarizzazione produce anche altre distinzioni bilaterali, oltre quella tra arte e natura, fra le quali: teoria-prassi, modello-regola, disegno-co- struzione. Proprio l’Alberti definisce che “tutta l’architettura è costituita dal di- segno e dalla costruzione”6: una equilibrata compresenza tra due polarità linea-

menta e structura.

Il passato viene indagato, i monumenti vengono rilevati, misurati: il passato di- viene modello e oggettivato nelle teorizzazioni7.

Contemporaneamente vi è il passaggio da una visione oggettiva per la quale la bellezza sta nelle cose ad una visione soggettiva nella quale la bellezza sta nel soggetto percepiente. Nel metodo delle tavolette nella prospettiva del Brunelle- schi, il soggetto è ricondotto ad un punto geometrico ed il mondo esterno, così come le idee spaziali, discretizzati e resi riproducibili.

La prospettiva diviene il dispositivo che relazione biunivocamente uomo e fat- to artistico. Nello spazio architettonico ciò è riconducibile, per esempio, alla centralità della chiesa S. Maria degli Angeli del Brunelleschi, di S. Maria delle Carceri di Giuliano da Sangallo (1484-1495): lo spettatore resta immobile e con la sua presenza diventa misura dello spazio. Il significato religioso è sostituito dal significato umano: non c’è più necessità di un percorso ‘verso’ ma tutto è intorno.

La prospettiva porta anche ad un altro concetto di rappresentazione.

Per esempio Pienza: qui nulla è in funzione che non sia in rappresentazione. Essa è la città retorica per eccellenza, una immagine concreta di un ideale cul- turale: una rappresentazione voluta da papa Piccolomini nella trasformazione di Corsignano borgo-medievale in questa città-monumento.

6 L.B. Alberti, De Re Aedificatoria, Libro I, capp. 1-2, in F. Fabbrizzi, Tra disegno e costruzione,

Firenze, Alinea, 1997, p. 26.

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Preziosi frammenti La facciata del duomo fa da piano ottico prospettico di una visuale che la inse- risce anche nel paesaggio, enfatizzando pieni e vuoti e relazionandola proprio grazie ai vuoti sia all’intorno territoriale, sia al borgo medievale preesistente, in un tutt’uno.

I limiti della città si fanno più permeabili, la natura va e viene entro la città tra- sformando idea, funzione ed uso anche dei giardini. Fuori dall’ambito struttura- le degli edifici a corte, o funzionale dell’orto produttivo, il giardino si appropria di un rapporto dialettico con la natura, sempre più conoscibile e dominabile, ricondotta a otium e ludus intellettuali.

Il castello francese di Villandry, nei pressi di Tours, è un esempio, quasi emblema, di come il giardino si ‘apra’ verso l’esterno posizionandosi a lato dell’edificio anziché all’interno e disponendosi su terrazzamenti pur mante- nendo molte delle peculiari geometrie centrali. Villandry, è esplicita dimora dell’uomo per l’uomo che è intervenuto sulla natura secondo regole e princi- pi posti a priori, capaci di trasporsi in una forma quasi ferma, cristallizzata, nel mutare ciclico-stagionale delle cose. La progettazione d’insieme che va dalla ricercatezza delle allegorie alla commistione di orto e giardino (utilità e bellezza), dalla uniformità delle compartimentazioni all’articolazioni per piani, suggerisce una permanenza realizzata proprio sul presupposto del mo- vimento.

Villandry sta tra medioevo e rinascimento come un’opera di Piero della Fran- cesca sta tra l’iconicità medievale e la ‘figuratività di un processo definito’ del periodo rinascimentale.

Questo nuovo senso del limite, limite necessario nel periodo precedente ad identificare iconograficamente il tempo infinito in una immagine delimitata e finita, forse è emblematico nella cupola brunelleschiana intesa nella sua dimen- sione visivamente territoriale.

Nel De Pictura, scritto in volgare nel 1436 quando la cupola è appena chiusa e

quindi manca ancora la lanterna, Leon Battista Alberti, con dedica al Brunelle- schi, la descrive “erta sopra i cieli”: cielo in senso fisico e cielo in senso metafisi-

co8: la cupola visualizza lo spazio nella sua totalità, non solo il tempo.

Il senso della città che comincia a perdere i suoi contorni formali si avverte anche nelle parole dell’Alberti quando afferma che per la difesa della città non occorrono altre armi che architettura e bellezza: è questo un primo infrangersi delle mura. Le mura divengono sempre più contorni legati allo sviluppo della balistica, mac- chine da guerra il cui aspetto estetico complessivo è sempre più lasciato alla idealizzazione teorica riconducibile ad una città radiale.

Il concetto di cinta difensiva viene ad introflettersi nelle strade, nello zoccolo dei monumenti, nei palazzi: la città guadagna in profondità quanto è venuta

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Pensieri sull’architettura e la città

perdendo sotto il profilo dell’unità. Basta pensare alle ampie visioni prospettiche delle tavole di Urbino, di Baltimora e di Berlino.

Lo spazio urbano cambia soprattutto perché cambiano le figure sociali della cit- tà che pertanto ritematizza i suoi luoghi. Al comune si sostituiscono la signoria e poi il granducato: il palazzo signorile presenta la sua facciata e riorganizza la cit- tà al suo intorno ‘sopraelevandosi’ autonomo rispetto al centro civico comunale che composto di diversità rappresentava la collettività di cui era parte.

Basta ricordare la ‘zonizzazione medicea’ del granducato fiorentino di Cosimo I per riscontrarvi nelle architetture, le invarianti di simmetria e gerarchia e nelle trasformazioni urbanistiche i cambiamenti avvenuti nella società.

Altro esempio: il complesso palazzo-piazza-strada assiale dei Farnese a Roma costituisce il prototipo di strada con fondale in cui proprio il palazzo è il fulcro di articolazione di tutto l’insieme urbano riunendo monumento e ambiente. Il processo di secolarizzazione della bellezza è sentito in modo particolare da An- drea Palladio sia nella ‘sacralizzazione’ dell’edificio civile – le ville tempio nella campagna veneta – sia negli edifici interni alla città come palazzo Chiericati e soprattutto la Basilica vicentina.

Nel 1549 Palladio avvolge un edificio medievale, il palazzo della ragione di Vi- cenza, di un paramento murario a duplice loggiato con ordine dorico a piano terreno e ionico al piano superiore.

L’involucro della basilica di Vicenza è un esempio di privilegio della rappresen- tazione sulla funzione: esso è contenimento in sé della storia e nello ornamento stesso fa storia. La Basilica è al contempo storia e metastoria: in quanto involu- cro del tempo essa è poesia dove funzione e rappresentazione sono inscindibili per essere se stessa.

Nel documento Preziosi Frammenti (pagine 76-82)