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continuità e discontinuità tra scuola dell’infanzia e scuola primaria

Franca Rossi

franca rossi

Ricercatrice presso l’università “Sapienza”, insegna Psicologia dell’Educazione nel corso di laura in “Scienze dell’educazione” e nel corso di Laurea in “Scienze e tecniche Psicologiche”. Ha partecipato a progetti di ricerca nazionali e interna-zionali sui temi dell’alfabetizzazione, dello sviluppo delle competenze narrative, dell’interazione sociale a scuola e sull’utilizzo delle nuove tecnologie nella scuola dell’Infanzia.

Abstract

L’intervento propone una riflessione sulle numerose dimensioni di continuità/di-scontinuità che caratterizzano, in generale, l’apprendimento nel passaggio tra scuola dell’infanzia e scuola primaria. In particolare si contestualizzerà la riflessione sull’ap-prendimento della lettura e della scrittura, individuando le ragioni psicopedagogiche a sostegno della continuità. Verranno richiamate esperienze di continuità realizzate e realizzabili e il loro impatto sull’idea di bambino e di apprendimento degli adulti:

insegnanti e genitori.

La continuità educativa è un tema che ha un’intensa storia nella ricerca educativa. Voglio ricordare, in Italia, la ricerca pionieristica di Clotilde Pontecorvo (1989) realizzata per sperimentare un curri-colo sulla continuità educativa dai quattro agli otto anni. Dopo tanti anni siamo ancora qui a parlare di continuità, perché evidentemen-te è un evidentemen-tema che ancora ha dei margini di riflessione e di realizza-zione che sono ancora da esplorare.

Perché parlare di continuità? Potrebbe sembrare una domanda retorica, nel senso che le risposte forse le abbiamo tutti ma forse al-cuni significati meritano di essere ricondivisi. Perché è importante continuare a parlare di continuità o meglio, garantire ai bambini un percorso di apprendimento continuo, nei vari passaggi del percorso scolastico? Noi oggi ci soffermiamo sul passaggio tra scuola dell’in-fanzia e scuola primaria, ma molte delle riflessioni che vi propongo hanno valore anche per gli ordini successivi alla scuola primaria.

La prima ragione è che effettivamente l’interazione tra sviluppo e apprendimento è caratterizzata da dimensioni di continuità e di discontinuità. Oggi abbiamo molto chiaro che l’apprendimento e lo

sviluppo non seguono dei percorsi lineari, hanno una loro continui-tà, ma all’interno di passaggi molto discontinui e tale caratteristica impatta sull’insegnamento.

La seconda ragione riguarda il fatto che non è possibile inter-pretare lo sviluppo senza riferirsi al contesto sociale e culturale in cui avviene. Nel momento in cui accogliamo i bambini a scuola, ci interessiamo molto al contesto da cui provengono, spesso utiliz-ziamo il contesto come chiave interpretativa dei loro esiti, dei loro apprendimenti, tuttavia non sempre riflettiamo sulla scuola come contesto sociale e culturale.

Un’ulteriore ragione a sostegno della continuità è la consape-volezza delle precoci competenze dei bambini, in tutti gli ambiti del sapere umano. Nessun insegnante, di nessun ordine e grado di scuola, inizia la sua azione di insegnamento pensando che gli allievi – grandi o piccoli che siano- non sappiano nulla di ciò che si andrà a insegnare loro.

Queste tre ragioni non sono le uniche, ma sono sicuramente quelle che si avvalgono dei dati di ricerca più robusti. Sono anche le tre ragioni che avviarono quella ricerca sulla sperimentazione edu-cativa a cui accennavo prima, che fu portata avanti da un numeroso gruppo di ricercatori, Tassinari, Camaioni, Pontecorvo, negli anni

’80 in cui per la prima volta si sperimentò un curricolo continuo tra i quattro e gli otto anni.

La fotografia (fig.1) ritrae un piccolo gruppo di bambini in una scuola primaria di Rimaggio che insieme a una scuola di Roma erano le due istituzioni scolastiche coinvolte nel progetto. L’ho scel-ta perché rappresenscel-tativa di una dimensione metodologica che dovrebbe avere una forte continuità, vale a dire il lavoro in piccolo gruppo, espressione di un apprendimento inteso non come proces-so individuale, ma come procesproces-so proces-sociale, condiviproces-so con i pari. Non è un caso che nella foto non ci sia l’insegnante. L’insegnante c’era, ma in quel momento non stava conducendo l’attività, aveva predi-sposto e organizzato l’esperienza in modo tale che gli oggetti e gli strumenti a disposizione del gruppo, le consegne iniziali, i tempi dati e le regole richiamate, per organizzare la partecipazione, aves-sero una funzione vicaria della sua presenza.

Si può pensare alla continuità come ad un problema, da risolve-re, garantire continuità attraverso un attento governo della discon-tinuità.

Alla luce di quello che ho detto, una prima questione su cui dob-biamo sicuramente garantire continuità educativa è la nostra idea di apprendimento. Nelle scuole sono molto diffusi i progetti di con-tinuità, si realizzano iniziative di qualità: conoscenza reciproca tra bambini e insegnanti, momenti di lavoro insieme, si lavora insieme alla costruzione, per esempio, di strumenti per il passaggio delle

informazioni sugli allievi. Tutto ciò contribuisce a creare una cultura educativa condivisa, un’idea di bambino e di apprendimento.

L’idea di apprendimento che va portata avanti e garantita nel passaggio tra i vari ordini di scuola ha caratteristiche specifiche.

L’apprendimento come un processo nel quale la conoscenza si co-struisce attraverso l’interazione sociale. Ciò genera esperienze di apprendimento, per bambini di qualsiasi età, che privilegiano inte-razioni con i pari, mediate da strumenti, piuttosto che esperienze individuali.

Un altro elemento che secondo me deve essere garantito in modo continuo è il grado di complessità delle attività che si propon-gono ai bambini. I bambini imparano di più, sono maggiormente in-gaggiati nelle esperienze di apprendimento, se queste ultime sono complesse, se sono al di sopra delle loro possibilità.

Infine, l’idea che i bambini siano veramente competenti. Con-sideriamo un esempio, nessun insegnante pensa che i bambini della fascia 3-6 non abbiano costruito conoscenze sulla scrittura.

Il problema è quanto l’idea che i bambini sono competenti trovi ac-coglienza autentica nella didattica quotidiana, perché è vero che i bambini sono competenti, ma spesso questa competenza resta sommersa, invisibile.

Guardiamo insieme le due foto inserite nella figura 2. In entram-be ci sono dei bambini che leggono, bambini di Nido e bambini

Figura 1. Lavoro di gruppo. Fonte dell’immagine Pontecorvo C. (a cura di) (1989) Un curricolo per la continuità. La Nuova Italia.

Continuità educativa: perché? ….

L’interazione tra sviluppo e

apprendimento: una continua tensione tra ciò che è costante e ciò che cambia

Perché non è possibile interpretare lo sviluppo senza riferirsi al contesto sociale e culturale in cui avviene Consapevolezza delle competenze dei bambini in tutti gli ambiti

Continuità come attento governo della discontinuità

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di prima classe di primaria; in entrambe i bambini non sono soli;

in entrambe i bambini stanno facendo qualcosa autonomamente, senza l’intervento dell’insegnante.

Le due foto ci rimandano la continuità di un’idea di accostamen-to alla lettura e del potenziale che la lettura di libri e albi illustrati, re-alizzata autonomamente, può avere nel processo d’alfabetizzazione.

Quali sono i punti di continuità? Avere margini di scelta, poter leggere quando si vuole, poter leggere insieme, poter leggere nel-la postura ritenuta più comoda da ciascuno, è ciò che facciamo noi adulti. Come leggete voi, a casa? Sdraiati sul divano, a let-to, qualcuno seduto al tavolo, qualcuno in piedi, mentre fa altre cose, e così via. La lettura non può essere realizzata solo seduti al banco.

E poi poter leggere insieme a un pari. Nella foto a sinistra rico-nosciamo più di un indicatore dell’attività congiunta, lo sguardo dei bambini orientato su un’unica pagina, il dito che indica dettagli.

Nella foto a destra ognuno dei bambini ha un libro, ma non possia-mo escludere che ci siano fitti scambi verbali tra i due lettori.

Nel titolo di questa mia relazione non ho volutamente inserito

“scrittura” ma ho scelto l’espressione “entrare nella cultura scrit-ta”, perché volevo inquadrare la tematica dell’apprendimento, della lettura e della scrittura in una cornice molto più ampia. Imparare a scrivere significa proprio entrare in una cultura scritta.

Figura 2. Ambienti di apprendimento per la lettura. Fonte: Foto a sinistra Nido “L’elefantino Elmer di Roma, foto a destra Ricerca IPRASE “Leggere e scrivere”.

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Ambienti di apprendimento per la lettura

Poter leggere quando si vuole

Poter leggere nella postura più comoda Poter leggere insieme

Ma per un bambino che cosa significa entrare nella cultura scritta? Forse non è nemmeno corretto il verbo “entrare”, perché presuppone un momento in cui si varca la soglia e si entra e que-sto momento io non riesco a posizionarlo né nella scuola dell’in-fanzia né nella scuola primaria e nemmeno nel nido. Significa si-curamente guardare alla scrittura come ad un oggetto culturale.

Guardare alla scrittura avendo consapevolezza che le scritte che ho davanti sono prodotti su cui hanno messo le mani molte per-sone; che sono davanti ad un sistema simbolico che ha una lunga storia, in cui sono intervenute molte persone; che ha subito mol-te trasformazioni, molti consolidamenti, e che la scrittura che ho davanti, porta molti segni delle comunità che hanno lavorato con quel sistema.

Introdurre questa variabile, che sembra così complessa, nelle nostre aule, secondo me deve essere una dimensione di lavoro con-tinuo per i bambini, altrimenti il rischio è che i bambini perdano questa dimensione culturale della scrittura e la vedano solo come un codice che bisogna acquisire.

Come si fa questo? Per esempio andando a cercare le scritte antiche, andando a cercare vecchi libri, vecchi materiali, ponendoli a confronto con i nuovi e, quindi, lasciar entrare in aula tutto il ma-teriale autentico che c’è fuori. Lo si fa, per esempio, lavorando sugli autori, ricercando chi può aver realizzato quel determinato prodotto scritto, per quale ragione e così via.

Quando lavoro in formazione con gli insegnanti, capita che mi chiedano se un materiale scritto sia adatto per una determinato gruppo d’età. La mia risposta è: “Esiste fuori dalla scuola? Gli adulti lo utilizzano? Gli adulti fuori ci fanno qualcosa, con questo materia-le che tu vuoi introdurre in classe?”. Se la risposta è “sì”, il materiamateria-le è promettente, se la risposta è “no”, vuol dire che è stato creato ap-positamente per l’apprendimento e, quindi, è meno potente, meno efficace, per l’apprendimento.

Entrare nella cultura scritta presuppone anche un investimento sulla comprensione. Comprensione di come si organizza la lingua quando diventa scritta. Come cambia la lingua, quando deve diven-tare scritta, quali cambiamenti deve subire. E come sono gli oggetti creati dalla cultura scritta? Nella slide ho messo uno scontrino, un menù di un pranzo di nozze. Pensate, per un bambino, quanto sia complesso, ma sfidante, comprendere il significato di un testo scrit-to inseriscrit-to in un piatscrit-to.

Guardiamo insieme un esempio. Siamo in una scuola dell’infan-zia, l’insegnante propone ai bambini di ragionare su un calendario (Figura 2b), che è un oggetto che contiene delle scritte. L’insegnan-te chiede al gruppo, non al singolo, che cosa ci potrà essere scritto, e indica la scritta del mese di marzo.

I bambini cominciano a ragionare: “Non lo sappiamo, siamo pic-coli, mica grandi”. Questa risposta ci informa di una loro consape-volezza, che loro non sanno leggere. È evidente che è già passata l’idea che leggere significa conoscere le lettere.

L’insegnante allora interviene: “Lo so che non sapete leggere come i grandi, ma secondo voi cosa ci potrà essere scritto?”, “Far-falla!”, “No, farfalla inizia con la F”. L’insegnante: “Avete detto che è un calendario, su un calendario cosa possiamo trovare?”. “I numeri!

Sono 27 i numeri”. E il bambino li conta. “La parola è verde”. “Verdu-ra, verdume”. Sembrano ipotesi insensate, ma non lo sono. Queste ipotesi cercano di mettere insieme in modo coerente le informazio-ni proveinformazio-nienti dall’immagine, con le informazioinformazio-ni proveinformazio-nienti dalla scritta.

“Verdura, verdume... Io penso che c’è scritto numeri”. Marta si appoggia di più all’informazione dei numeri. Sofia: “Quindi i gior- ni”. Emerge un processo di elaborazione condiviso, all’interno del gruppo. Pietro: “Inizia con la GIO? Quindi non può essere”. “Allora c’è scritto calendario”. “No, calendario inizia con la CA”.

È evidente che i bambini conoscono le sillabe o, meglio, le cono-scono nella dimensione orale. La cosa importante è che i bambini utilizzano questa loro informazione per ragionare e per elaborare un’ipotesi sensata rispetto a un atto di lettura che ancora non sono in grado di realizzare attraverso la via lessicale o sublessicale, come ci diceva prima Lerida Cisotto nel suo intervento sull’insegnamento della lettura e della scrittura in classe prima.

Qual è il valore, rispetto al nostro discorso della continuità, di esperienze di questo tipo? È che li fai socializzare con un significato

Figura 2b. Un esempio di attività di anticipazione del significato di una scritta realizzata in piccolo gruppo.

alto, complesso, di lettura, non circoscritta al riconoscimento delle lettere. Socializzo i bambini all’idea che per leggere è necessario in-tegrare informazioni diverse. In un testo spesso ci sono le immagi-ni, ci sono numeri, ci sono scritte. Quindi, come integro il significa-to di quell’immagine con il significasignifica-to che può avere quella scritta, con il significato che possono avere quei numeri? È un’operazione complessa, ma è un’operazione che il lettore esperto mette in atto.

Esperienze di questo tipo sono possibili anche a partire dal Nido, sono promettenti nella scuola dell’infanzia, ed è importante conti-nuare a proporle anche nel primo anno della scuola primaria, dove, parallelamente, i bambini cominciano l’apprendimento formale del codice alfabetico.

Anche nella scrittura di testi può essere agita una dimensione di continuità promettente. Nella figura 3 abbiamo un gruppo di bam-bini di scuola primaria impegnato a scrivere insieme un invito per i genitori per una festa di fine anno. Nessuno di questi bambini an-cora sa scrivere in modo autonomo. Nel gruppo c’è una delle bam-bine che sa scrivere e allora l’insegnante, sapientemente, le affida il ruolo di scriba, cioè la bambina trascrive sul foglio il testo pensato, però, dal gruppo. Pensare il messaggio in forma scritta, in modo che possa essere efficace e comprensibile per il destinatario, è que-sto il lavoro richieque-sto al gruppo e ciò è possibile proporlo anche prima che i bambini sappiano scrivere in maniera convenzionale.

C’è un altro aspetto dell’ingresso nella cultura scritta, ragionare su come sono le istituzioni create dalla cultura scritta, le biblioteche, le tipografie, le case editrici, tutti i luoghi dove si lavora con il mate-riale scritto. Su questo aspetto le scuole lavorano tanto, non è un caso che le scuole frequentino molto le biblioteche, le librerie, che invitino a scuola scrittori, autori di libri, perché ciò mette i bambini nelle condizioni di ragionare sulle professioni legate alla scrittura, sui luoghi di lavoro dove la scrittura assume una sua centralità.

Tutto ciò con il fine di entrare nella cultura scritta e muoversi con disinvoltura, come se fossimo a casa nostra. Se dovessimo prefigu-rare un obiettivo a lungo termine, questa oggi potrebbe essere la nostra definizione di alfabetizzazione: far sì che i bambini si muova-no con molta disinvoltura, come se fossero a casa propria.

Dicevamo prima che ogni ambito della conoscenza ha una sua preistoria, Vygotskij parla di preistoria della scrittura. Sappiamo che i bambini della fascia 3-6 si pongono domande molto complesse sul materiale scritto, sono interessati a capire a cosa servono questi materiali che hanno qualcosa in comune e qualcosa di diverso, a capire che cosa ci fanno gli adulti, come funzionano i segni scritti.

Ancora più interessante è come i bambini costruiscono le rispo-ste a domande così complesse. Le costruiscono osservando noi adulti e i loro pari, osservando gli atti di lettura e di scrittura che noi

mettiamo loro a disposizione. Noi adulti realizziamo tanti atti di let-tura e scritlet-tura, anche una semplice letlet-tura delle informazioni alla fermata dell’autobus è un’esperienza interessante per un bambino, lui ci guarda, cerca di capire il senso di ciò che facciamo, coglie somiglianze, analogie e differenze. E poi ci sono le nostre letture per loro e con loro.

A scuola si legge molto, gli insegnanti e gli educatori leggono molto ai bambini, evidentemente dietro c’è l’idea che offrire la let-tura a chi ancora non sa leggere sia importante proprio per far li entrare nella lingua scritta. Possiamo potenziare questa esperienza in un percorso di continuità, magari continuando a leggere loro, an-che quando sono in grado di farlo da soli. Nell’osservazione an-che ho realizzato nell’ambito della ricerca IPRASE ho incontrato insegnanti di primaria che leggevano tantissimo e che leggevano libri, interi. Si trattava di testi semplici, ma anche testi più complessi, e i bambini erano affascinati da queste esperienze di lettura.

Un altro aspetto della preistoria della scrittura che riguarda in modo più specifico il codice. Anche su questo i bambini si co-struiscono molte conoscenze. Forse è la conoscenza che resta più implicita, nel passaggio tra scuola dell’infanzia e scuola prima- ria, perché difficilmente chiediamo ai bambini di scrivere come sanno fare loro. Invece le cosiddette scritture spontanee- prodotte senza avere un modello da copiare, sono rivelatrici della teoria che

Figura 3. Esempio di produzione collaborativa di un testo scritto.

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Esempio di produzione testo collabora<va

6. Alessio: anno con due N. Invito oppure invita, come volete scrivere?

7. Yasmine: invito.

8. Alessio: di fine anno.

9. Yasmine: per fine anno.

10. Eva: scriviamo sempre la stessa cosa “potete venire”.

11. Alessio: volete venire alla nostra festa?

12. Eva: alla…sì alla…

13. Anastasia: aspeKate!

Tu# de'ano: volete venire alla nostra festa.

14. Francesco: Oddio non < entra! (si riferisce al faKo che sta finendo lo spazio-riga).

15. Eva: per piacere.

16. Alessio: no per favore.

17. Yasmine: di fine anno.

18. Francesco: l'abbiamo scriKo molte volte di fine anno.

19. Yasmine: no, non scriviamo più niente.

20. Anastasia: allora meKo il punto di domanda?

21. Tu3: sì.

i bambini hanno costruito rispetto a che cosa la scrittura deve rappresentare.

Che cosa rappresenta la scrittura? Inizialmente la loro teoria è che la scrittura rappresenti dimensioni specifiche del referente per cui “mamma” è una persona importante e allora si scriverà con tante lettere. “Formica” è un insetto piccolo, si scriverà con lettere piccole e poco numerose. “Treno” è un oggetto grande e quindi si scriverà con tante lettere. Si tratta di ipotesi naif? No, sono ipotesi molto interessanti: la scrittura come forma di rappresentazione del-le caratteristiche dell’oggetto, del referente.

Guardiamo insieme un esempio (Figura 4), una bambina ha scritto “gatto” con un certo numero di lettere, poi scrive “gatti” con più lettere e ci dice: “(Gatti) L’ho scritto più lungo, perché sono di più”. Questo è un elemento importantissimo, perché all’inizio della primaria arrivano bambini con questa teoria sulla scrittura, definita presillabica, però noi la possiamo scoprire solo se chiediamo loro di scrivere e di farci vedere come leggono quello che hanno scritto.

Poi la conoscenza evolve e si passa alla scrittura intesa come un sistema di rappresentazione delle caratteristiche sonore della paro-la. Questo è un cambio concettuale importantissimo. Non sappia-mo quando avviene. Avviene quando il bambino decide che l’ipotesi precedente non lo soddisfa più, per cui può avvenire a tre anni, a quattro anni, a cinque anni, a sei anni.

Elia (Figura 5) è un bambino che ha abbandonato l’ipotesi di scrit-tura presillabica e ne ha costruita una nuova. Per Elia la scritscrit-tura è un sistema di rappresentazione delle sillabe, un’unità sonora facil-mente percepibile (scrittura sillabica). Per questa ragione Elia nella sua scritta traccia tante lettere quante sono le sillabe della parola che deve scrivere, infatti “farfalla” la scrive con tre lettere, “caramella” la scrive utilizzando quattro lettere. Se io non avessi mostrato la modali-tà di lettura di Elia la nostra valutazione sul livello di complessimodali-tà e di elaborazione concettuale, tra Elia e la bambina precedente, probabil-mente sarebbe stata simile. Entrambi i bambini utilizzano, sì, lettere del nostro alfabeto, ma non sono inserite nel posto giusto.

La quantità di lettere, se non osservo la lettura, potrebbe essere

La quantità di lettere, se non osservo la lettura, potrebbe essere