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Rodolfo Galati

roDolfo Galati

Docente e Tutor coordinatore del tirocinio presso la Facoltà di Scienze della Forma-zione Primaria dell’Università di Torino, autore, formatore in ambito PNSD e PNFD, esperto di TAC (tecnologie dell’apprendimento e della conoscenza).

Abstract

L’ambiente in cui si apprende non può essere identificato solo in un luogo fisico, ma in un complesso processo d’insegnamento-apprendimento. La scuola esperienziale è un approccio in cui teoria e pratica si uniscono per creare conoscenza significativa e competenze trasversali.

Noi docenti dobbiamo certificare le competenze degli alunni, per esempio una competenza fondamentale è quella sociale, forse la più importante: sanno in qualche modo collaborare, condividere, comunicare i nostri studenti? Come posso io docente verificare la competenza sociale del mio alunno che sta otto ore seduto al banco da solo e addirittura, se per caso dovesse mai parlare, non faccio altro che richiedergli di “stare zitto”, “stare al suo posto”?

L’ambiente, allora, è fondamentale. Io docente devo far sì che i miei alunni interagiscano il più possibile… e non fingere di agevo-lare l’interazione facendo attività di gruppo solo di tanto in tanto per qualche minuto, ma è tutta la quotidianità scolastica che in qual-che modo deve essere vissuta come gruppo. Mi viene in mente una cosa fondamentale. Quando sento parlare un insegnante che dice

“loro non riescono ad apprendere, non ce la fanno”, quindi in terza persona dei propri alunni, io diffido un po’, provo un po’ di diffiden-za. Perché penso che in realtà una delle prime cose che dobbiamo fare noi docenti è parlare in prima persona: noi non ce la facciamo ancora, non abbiamo ancora fatto quell’esperienza, non abbiamo ancora appreso alcuni concetti o raggiunto alcuni traguardi o svi-luppato alcune competenze. Sentirci parte del gruppo è fondamen-tale, quindi, se ci sentiamo parte del gruppo naturalmente, anche l’ambiente in generale si può organizzare in modo diverso, la quoti-dianità, le relazioni e i rapporti.

Io adesso vivo una situazione un po’ particolare perché, aven-do solo undici ore da dedicare alla didattica per via del mio in-carico presso l’Università di Torino, non ho più una classe. Fino all’anno scorso però avevo una classe; adesso giro in tante classi e propongo delle attività utilizzando anche la tecnologia, la ro-botica. Guardate un po’. Parliamo di esperienza, e arriviamo alla tecnologia. In piscina siamo andati. Chi di voi ha portato i propri alunni in piscina? Perfetto, benissimo. In montagna siamo an-dati. Chi ha portato gli alunni a fare un corso di sci? Perfetto. Al mare siamo andati, non c’è dubbio. Nelle grotte siamo andati.

Io arriverò al libro, a studiare geografia sul testo di classe, ma il mio territorio che cosa offre? Un sacco di spunti, di occasioni, di esperienze. La biologia marina, piuttosto che un ambiente di montagna, piuttosto che un bosco, piuttosto che semplicemente un prato. Portiamoli fuori i nostri studenti. Andiamo a vederla di-rettamente la geografia.

Quando avevo ancora la classe avevamo la fortuna che vicino alla nostra scuola c’era uno stagno. Non so quanti di voi abbiano uno stagno vicino alla scuola. A parte che si può anche ricreare in modo artificiale, mettendo dell’acqua in un contenitore e lasciando-la fuori per un po’ è possibile ricreare un habitat adatto. Poi bisogna andarsi a pescare le uova per far riprodurre una colonia di rane, e questo è un po’ più complesso. Si può però sfruttare quello che abbiamo.Il fenomeno del mimetismo lo abbiamo visto naturalmen-te grazie alle rane presenti nello stagno. Naturalmennaturalmen-te lo troviamo anche sul libro ma prima, se possiamo, andiamo a vedere le carat-teristiche di alcuni animali nel loro habitat naturale!

Nel nostro Istituto Comprensivo non abbiamo il laboratorio di biologia. Non so quanti di voi nella scuola primaria abbiano un la-boratorio di biologia. Nessuno credo. Che cosa abbiamo fatto? Vici-no alla Vici-nostra scuola c’è un liceo tecnico e allora, in un progetto di alternanza scuola-lavoro, abbiamo detto: perché i ragazzi del quarto o quinto anno delle superiori non possono diventare tutor di alunni più piccoli e accogliere in un progetto di alternanza scuola-lavoro gli alunni della scuola primaria e far fare loro esperienze di biologia?

Tra l’altro questi ragazzi, non so se avete presente, in quarta supe-riore tutti con i capelli moderni, i ciuffi con spume e gel che non si fanno mai toccare, invece dai bambini della scuola primaria se li facevano toccare. Le mie alunne erano tutte innamorate di questi ragazzi della scuola superiore.

Anche qua, di nuovo, ecco la competenza sociale emotiva, la relazione, i rapporti. Abbiamo sfruttato per un po’ di tempo que-sto laboratorio, era vicino. Non so quanti di voi abbiano un liceo tecnico vicino, però ognuno di noi qualcosa vicino ce l’ha. Siete d’accordo, no?

Ad aprile, comincerà la trasmissione Rob-o-Cod su Rai Gulp.

Su Rai Gulp alle 17.55 trasmetteranno una serie di puntate per un mese, tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Si tratta di un contest robo-tico che ha permesso a scuole di tutta Italia di sfidarsi per program-mare robot su percorsi adventure. Io sono riuscito a portare una scuola secondaria di primo grado, quindi una terza media, poiché ogni tanto nelle mie ore lavoro anche nella scuola media in un labo-ratorio di robotica.

Abbiamo usato un robot: Mindstorm Education EV3 della Lego, insieme ad altre scuole d’Italia, sedici se non ricordo male. Questa trasmissione era incentrata su una gara. Dovevano programmare il percorso e far sì che i robot arrivassero al termine dei percorsi.

Quindi c’era il momento del coding, della progettazione e della pro-grammazione, ripreso dalle telecamere e mandato poi tagliato e montato egregiamente. Uno degli autori era Armando Traverso, non so se lo ricordate (siamo alla Rai di Torino). Poi c’era la gara vera e propria di questi robot che dovevano essere stati programmati per arrivare a compiere un percorso, spostare degli ostacoli e degli og-getti. In un contesto, tra l’altro, di mobilità sostenibile.

Naturalmente noi abbiamo lavorato e lavoriamo spesso con i ro-bot per progettare una mobilità sostenibile. Per esempio, la metro a Torino non ha bisogno di un pilota, naturalmente c’è un program-ma che sposta i vagoni e fa sì che le persone possano viaggiare da un quartiere a un altro della città. Tra l’altro meglio ancora se i mezzi sono a bassissimo impatto di inquinamento. Qui ci sono sta-ti colleghi della scuola secondaria di primo grado che su quest’e-sperienza mi dicevano chiaramente testuali parole: “Eh, ma per noi non è un’attività didattica”… Queste parole dei colleghi mi hanno lasciato basito: come non è un’attività didattica?! Un’esperienza più esperienza di così? Siamo usciti anche qui sul territorio, abbiamo preso i mezzi pubblici, il treno, la metropolitana e ci siamo spostati per andare a registrare le puntate negli studi televisivi della RAI di Torino. Tra l’altro abbiamo conosciuto altri ragazzi che arrivavano dalle scuole secondarie di primo grado di tutt’Italia, ci siamo messi in relazione con le mamme, gli insegnanti, gli autori, il regista, i tecnici… c’era di tutto. Ma poi nello studio prosodia, prossemica, dovevi parlare in un certo modo, poi stop, alt, taglia, riprendiamo.

Tra l’altro hanno anche sofferto, hanno capito cosa significa stare in piedi per ore e rifai e rigira la scena, perché quando sbagliavano i presentatori, gli autori facevano ripetere tutto. Vi garantisco che registrare una trasmissione televisiva con un format Rai è un im-pegno di fatica! Si stava lì dalle 8.30 di mattina fino alle 19.00 di sera. Pensate che esperienza! Questi ragazzi quando è finita hanno pianto, piangevano, e adesso sono ancora lì che non vedono l’ora di vedere il format in TV. E questa non è attività didattica?

Non so chi di voi conosce RoomStyler (https://roomstyler.com/

3dplanner): è una piattaforma dove si può fare esperienza da desi-gner, cioè arredare una casa. Ad esempio, chi di voi conosce Ikea?

Vado all’Ikea e decido di arredare la mia cameretta. Naturalmente il programma lo facciamo utilizzare direttamente agli studenti. Tra l’altro loro lo fanno molto meglio di noi, sono molto più bravi a muo-versi con la tecnologia. Però la scuola deve educarli all’uso utile della tecnologia. Con Roomstyler io posso arredare una casa, una scuola, uno spazio, anche un giardino. Con Roomstyler i ragazzi possono arredare una casa, magari partendo anche da una metra-tura: 12 metri quadrati può essere la cucina, 9 metri quadrati può essere la tua camera da letto, 18 quella dei genitori. Possiamo chie-dere agli alunni di misurare direttamente le metrature delle proprie case e ri-arredarle a loro piacimento su Roomstyler. Oppure al con-trario, il processo inverso: io docente do le misure e gli alunni devo-no fare i conti con una serie di problemi da risolvere e poi arredarle scoprendo cosa davvero ci può stare in uno spazio. Ci starà tutto il necessario dentro a un bagno di otto metri quadrati? La lavatrice?

Piuttosto che la lavastoviglie, il forno, i fuochi, il tavolo e le sedie in cucina.

A cosa serve tutto questo? Serve a far sì che loro diventino con-sapevoli di che cosa significa 40 metri quadrati, 20 metri quadrati, cioè che cos’è una superficie, un’area. Se io spiego loro come si ricava l’area del quadrato, del rettangolo, del pentagono e basta, e poi loro applicano la formula geometrica e basta, quale consape-volezza sviluppano di un’area, di una superficie? Quali competen-ze facciamo loro sviluppare? Abbiamo fatto anche un esperimento di questo genere con una classe quarta primaria. Siamo andati in giardino a misurare, nel giardino della scuola dove sono ora in ser-vizio e stiamo facendo un lavoro legato anche alla geografia per verificare la densità demografica. Stiamo cercando di scoprire se abbiamo più spazio noi alunni e insegnanti in classe rispetto ai fiori in giardino o ai fili d’erba che crescono nelle aiuole. Tra l’altro con il metodo investigativo, parlando un po’ di metodologia didattica, gli alunni partono per andare a investigare e sono tutti contenti. Ecco che non sono più seduti, ecco che torniamo all’ambiente dinamico.

Certamente avrete pensato: ma il maestro è un po’ folle perché per la sicurezza se vanno in giardino e poi si fanno male… Qualcu-no l’ha pensato? No? Tra l’altro qualche giorQualcu-no fa un bambiQualcu-no mi ha fatto morire dal ridere. Eravamo in corridoio e la maestra gli ha detto: “Non correre!”. È piccolissimo, è in prima perché io lavoro in tre prime e in tre seconde, mi mandano a fare una o due ore con i robottini, cercando di fare scienze, matematica e discipline, non qualcosa di avulso. Questo bambino è venuto da me e mi fa: “Mae-stro, perché si chiama corridoio se non posso correre?”. È un genio!

Siamo noi che sbagliamo. Poi è partita tutta una discussione, un dibattito, un debate, su come avremmo dovuto chiamarlo: “cammi-natoio”… Qui c’è italiano, c’è logica, e poi tra l’altro anche coding e robotica perché poi il corridoio l’abbiamo usato per fare dei percorsi con i robot.

Chi è stato nell’altra sala prima di me avrà sentito parlare Dario Ianes che io stimo molto e parlava proprio di tirocinio. Diceva a un certo punto per l’inclusione nella scuola secondaria di primo grado alcune cose sul tema. I ragazzi sanno già fare tutto, sono già cre-sciuti, non hanno bisogno di sostegni o altre cose. Nelle scienze di formazione primaria imponiamo un certo numero di ore di tirocinio dal secondo anno universitario fino al quinto. Sono tante le ore, cre-detemi.

Detto questo, c’è il rischio invece che un insegnante magari esca dall’università e conosca bene le discipline, ma non come in-segnarle, per esempio, quindi la didattica è fondamentale. Tornia-mo di nuovo all’esperienza. Nell’esperienza la didattica è già inclu-sa, c’è già, perché l’esperienza mi pone di fronte a tutta una serie di strategie che devo mettere in campo per risolvere il mio compito, il mio lavoro. Quindi è lì che mi costruisco competenza tecnico-prati-co-didattica, invece che star seduto e leggere la teoria.

Fare gruppo l’abbiamo già detto: noi possiamo fare gruppo ed è fondamentale anche qua nell’esperienza scolastica che non sia solo un percorso obbligatorio ma un’esperienza concreta, autentica. Noi insegnanti possiamo fare gruppo e sappiamo farlo. Vi mostro un’im-magine di Grisù: perché? Chi è? Chi si ricorda Grisù? Lo vedete, è un draghetto che voleva fare il pompiere. Io piangevo quando vedevo questi cartoni animati da bambino. Capite cosa vuol dire sostenere i nostri alunni, fare noi gruppo classe con loro? Era difficile che Grisù potesse fare il pompiere perché, sì riusciva a spegnere il fuoco, ma poi diceva una cosa o rideva perché era contento, e quindi apriva la bocca e gli partiva una fiammata e bruciava di nuovo tutto. Ci te-nevo a farvelo vedere, perché questa è un po’ la mia idea di scuola.

Ovvero gli alunni, gli studenti devono fare esperienza e provare i loro limiti praticamente, in modo autentico per capire davvero chi sono e cosa sanno e possono fare. Ecco perché Grisù.

I nostri alunni dovranno diventare futuro, quindi la metafora di Grisù ci sta; avranno delle idee. Cosa vogliono fare: gli insegnanti, i muratori, gli artisti, i piloti. Ci sono dei mestieri che neanche ancora conosciamo. Chi di voi sa che cosa vuol dire fare gli agricoltori ver-ticali? È facile. Sviluppiamo in verticale gli orti. E cosa significa fare i broker del tempo? Sono mestieri futuri, non sono cose che dico io, si leggono e si conoscono nella vita. Da quanto tempo parliamo di STEAM, ovvero di questa nuova corrente di formazione cross-di-sciplinare dove serve conoscere e utilizzare insieme la scienza, la

tecnologia, l’ingegneria, l’arte, la matematica, ecc. Esistono ormai nuovi profili di competenza, nuove figure professionali. E il tempo è sempre fondamentale. Non so voi come viviate il vostro tempo. Alzi la mano chi non è stressato nella propria vita attuale e ha tempo per fare tutto. Vedete, qui il broker del tempo servirebbe eccome, qualcuno che ci gestisca o ci aiuti a capire come gestire bene il nostro tempo. Allevatori genetisti, professionisti dei cambiamenti climatici. Quanti di voi hanno partecipato al Friday for Future? C’è stato anche a Trento?

Lasciamo stare le indicazioni nazionali e andiamo un po’ alla tec-nologia, tanto sulle esperienze siamo tutti d’accordo. Sono convinto che da lunedì le vostre classi saranno vuote, starete molto più in corridoio, fuori in cortile, nel quartiere, se già non lo fate. Tra l’altro, andando nelle scuole scopro spesso che i cortili non sono totalmen-te agibili… non so quanti di voi abbiano il giardino e non lo possono usare per motivi di sicurezza. Nessuno, meno male. Vedete che la Regione Trentino Alto Adige in effetti è messa bene. Per quanto mi riguarda, invece, in Piemonte abbiamo delle situazioni un po’ parti-colari sulla sicurezza degli spazi aperti delle scuole.

Vediamo la tecnologia. La tecnologia non è un’esclusiva, non deve essere un’esclusiva. Sabato scorso ero a Prato e ho sentito un sacco di insegnanti che dicevano “noi siamo le tecnologie”, cioè siamo innovativi. Se usiamo le tecnologie siamo innovativi. Ritorno solo all’esperienza. Essere innovativi non significa rigettare la sto-ria, per esempio torniamo all’idea di far fare esperienza ai bambini direttamente. Essere innovativi è anche saper riprendere alcuni va-lori e alcune esperienze che sono fondamentali per la crescita co-gnitiva, emotiva e sociale. Anche qua la tecnologia non deve essere una cosa esclusiva. Gli insegnanti che usano la tecnologia devono essere la normalità.

E se io non ho tecnologia a scuola come faccio? Infatti, volevo chiedervi: chi ha scuole con tecnologia alzi la mano. Che cosa si-gnifica, tra l’altro? Avere una lavagna interattiva multimediale non significa avere tecnologia, molto di più se ho la connessione Inter-net, molto di più se ho dei computer da usare in classe, dei tablet, creando delle isole. La LIM è superata. Mi sento dire “abbiamo la lavagna interattiva multimediale”, ma tra l’altro ce l’hanno alle spal-le e per usarla i bambini devono spostare spal-le sedie, poi sotto spal-le sedie mettono le palline da tennis perché non facciano rumore. Cioè c’è tutto un concatenarsi e complicarsi la vita e, tra l’altro, perdendo un sacco di tempo in cui bisognerebbe pensare a usarlo meglio.

La tecnologia è avere la connessione Internet, oggi come oggi.

Se io ho la connessione, tu studente porta il tuo device e possiamo fare delle cose anche nella scuola primaria. Non sarà un cellulare, ma un tablet, in famiglia si troverà un tablet anche vecchio che non

si usa più, perché queste cose tendono a essere messe fuori se-rie facilmente, perché basta poco (aggiornamento software, RAM, ecc.). Non deve essere un’esclusiva l’uso della tecnologia, e inve-ce lo è troppo spesso. Tra l’altro immaginatevi a scuola quanto la tecnologia diventi inclusione. Non solo io ho avuto alunni dislessici, disgrafici, ecc., e quindi magari ho avuto bisogno di usare una sin-tesi vocale, delle immagini evocative su computer. Naturalmente, mentre la uso per Anna o per Christian la uso per tutti. La tecnologia è un insegnante di sostegno, di potenziamento in più, come diceva Loris Malaguzzi per lo spazio. Lo spazio è il terzo insegnante, diamo molta importanza allo spazio. Anche la tecnologia diventa un inse-gnante in più, tra l’altro altamente inclusivo. Anch’io sono venuto qui al teatro Cuminetti usando Google Maps, e mi sono anche perso.

Ma non sto a dire a tutti “scusate, dov’è il teatro Cuminetti? Io non mi so orientare bene, ho bisogno di usare una tecnologia inclusiva di supporto e allora la uso, punto e basta, in modo molto discreto.

Non come l’insegnante di sostegno che spesso e volentieri è, come dico io, insegnante “velcro”, attaccato a quell’alunno lì, e tra l’altro quell’alunno lì a un certo punto lo pretende anche: “Tu sei il mio insegnante”. Diciamo sempre che dobbiamo essere équipe, poi però spesso è difficile staccare da questa visione ed essere proprio équipe, cioè far sentire il terzo, il quarto o il secondo insegnante come sempre un insegnante in più che fa compresenza, non soste-gno. La tecnologia ce lo permette. La tecnologia è amica dell’uomo.

Viviamo, cuciniamo, ci spostiamo, ci orientiamo, facciamo sport anche se ci manca una gamba, grazie alla tecnologia. Non vedo perché non possa essere usata nello studio quotidianamente. La tecnologia deve funzionare perché, se non funziona, non aiuta la didattica, se ci metto tanto a connettermi, calibrare (se parliamo di lavagna), aprire il software e perdo delle ore, naturalmente non è una tecnologia amica della didattica. Noi dobbiamo possederla per far sì che funzioni.

Ora vi faccio un esempio di quando vogliamo fare un brainstor-ming e documentarlo in modo digitale attraverso una nuvola di pa-role in classe con gli alunni. Naturalmente il brainstorming lo posso proporre con i foglietti di carta, i post-it o con la lavagna d’ardesia, ci mancherebbe altro! Però posso anche farlo con uno strumento come Mentimeter (https://www.mentimeter.com/), che mi permette se mi registro in piattaforma, di realizzare una proiezione digitale condivisibile subito e di facile lettura, perché l’algoritmo analizza subito le parole più editate e quindi le proietta con un carattere più grande e di evidente lettura.

Questa è una risorsa che mi serve per fare cosa? Io parto sempre da un approccio dialogico, anche senza fare la flipped classroom. La scuola più capovolta è la scuola dell’infanzia. Io per loro ho