• Non ci sono risultati.

Insegnare a leggere e a scrivere in classe prima. Pratiche, attività

Strategie, Attività e Pratiche di insegnamento

7 Insegnare a leggere e a scrivere in classe prima. Pratiche, attività

e contesti di apprendimento

Lerida Cisotto

leriDa cisotto

Già professoressa di Didattica Generale e di Didattica della Lingua Italiana (Univer-sità di Padova). È stata Presidente del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. Svolge attività di ricerca e di formazione degli insegnanti sui temi dell’ap-prendimento, delle metodologie didattiche, della motivazione e delle competenze linguistiche. Coordina il Gruppo di Ricerca sulla Didattica della Lingua e promuove iniziative di ricerca e formazione in ambito nazionale. Ha coordinato molti progetti per la costruzione di curricoli verticali per l’apprendimento delle competenze lin-guistiche.

Abstract

La ricerca condotta nelle classi prime del Trentino ha dato visibilità al cambiamento in atto nella didattica per la prima alfabetizzazione. Il metodo sta sullo sfondo; in primo piano c’è la pratica didattica, frutto di esperienza e di riflessione: essa è “scritta” nel contesto classe e opera sistematici sconfinamenti al tracciato prescritto dai meto-di. Ciò, in conseguenza dell’attenzione rivolta dagli insegnanti ai saperi esperienziali dei bambini, della sollecitudine verso le loro caratteristiche d’apprendimento, della sensibilità per i mondi del quotidiano e dell’attitudine a coltivare un clima di classe improntato a partecipazione, apprezzamento e desiderio di imparare. Lavorando in sinergia con i bambini, gli insegnanti guardano oltre la padronanza strumentale del codice, mentre i bambini imparano la lingua, il suo funzionamento, i suoi usi.

Nel corso di questo seminario riprenderò alcune delle tematiche affrontate nell’incontro di questa mattina di presentazione della ri-cerca Imparare a leggere e a scrivere. Efficacia delle pratiche di inse-gnamento svolta da Iprase nel corso dell’anno scolastico 2017-18.

Confermo la bellezza e la singolarità di questa ricerca, che è stata resa possibile dal convergere di alcuni fattori: la disponibilità degli insegnanti che si sono lasciati osservare, la messa insieme di com-petenze di tipo diverso nel gruppo di ricerca e ovviamente le molte risorse di Iprase.

La ricerca è importante perché è l’unica del genere sul territorio nazionale. Ciò che noi troviamo spesso per affrontare questo argo-mento sono delle esperienze divulgative, non certamente delle espe-rienze di ricerca, quindi è destinata credo a lasciare il segno non soltanto nella didattica ma proprio negli studi sull’alfabetizzazione.

Dicevo a Michela Chicco che che ha coordinato la ricerca per Iprase e con cui abbiamo interagito e lavorato in questi due o tre anni di ricerca, che ora sarei pronta per scrivere bene il libro, quelle parti di libro di cui mi sono occupata e che è a disposizione sul sito Iprase. Perché ora sarei pronta? Perché è passato un po’ di tempo e le cose si sono sedimentate, l’apprendimento è così, anche per let-tura e scritlet-tura bisogna lasciare i tempi della sedimentazione. Non a caso ci sono bambini che prima delle vacanze di Natale fanno fatica a mettere insieme lettere, suoni, dopo le vacanze di Natale ritornano e sembra quasi sia accaduto qualcosa. Niente di partico-lare, solamente i tempi della sedimentazione e il fatto che non si è sovrapposto nulla di nuovo e quindi il bambino ha avuto il tempo di far pace dentro ai conflitti dei litigi delle lettere.

Vi propongo questa immagine di un bambino di prima che rac-conta che la domenica, a casa da scuola, si diverte a leggere e a guardare i libri. Aveva il libro di Biancaneve, scrive: mi piace girare le pagine e guardare le figure. Trovo però che questa sia un’immagi-ne bellissima, che rende conto della potenza dell’imparare a leggere a scrivere. Questo bambino disegna la casetta, la storia è quella di Biancaneve, la casetta è quella dei sette nani e, guardate che bello, i nanetti che escono dalla casetta si arrampicano sull’orecchio del bambino e vanno a finire nella sua testolina. Trovo che sia una cosa straordinaria, il potere della lettura, quando la lettura si trasforma nella mente del bambino in situazioni, immagini, scene, in saperi.

Questo è proprio il potere della lettura.

Io ho iniziato a insegnare nel 1967 come insegnante di scuola primaria e quindi assistito un po’al cambiamento del concetto di al-fabetizzazione. Quando io iniziai l’alfabetizzazione era intesa come una pratica strumentale, i programmi del 1955 contemplavano im-parare a leggere, a scrivere e a far di conto. Più tardi, intorno agli anni Sessanta e Settanta, diventa una alfabetizzazione funzionale.

Non solo imparare a fare la propria firma, ma a usare lettura e scrit-tura nei contesti in cui serve.

Il passaggio decisivo, avviene con i programmi del 1985, quan-do si capisce che imparare a leggere e a scrivere cambia qualcosa dentro alla mente dei bambini, che imparare a leggere e a scrivere fa la differenza in termini di maturazione, crescita, sviluppo cogniti-vo e sviluppo della personalità.

Ora però siamo in presenza di un altro passaggio fondamentale, gli studiosi parlano di pluri- e multi-alfabetizzazione, dove l’alfabe-tizzazione è intesa non solo come pratica scolastica, o come pratica cognitiva, ma come una pratica che consente di agire la cittadinan-za, cioè di partecipare alle reti sociali. Mi viene in mente la ragazzi-na, Greta Thunberg, che cosa ha mobilitato! Un bellissimo esempio di cittadinanza attiva, e quindi ecco la domanda: che cosa significa

imparare a leggere e scrivere nell’ottica di competenze di cittadi-nanza? La risposta è breve, è data qui e non mi dilungo, ma mi sono data questa risposta ed è una risposta che mi è venuta proprio dalla lettura dei diari degli insegnanti che hanno partecipato alla ricerca:

concepire l’alfabeto non solo come oggetto di apprendimento ma come esperienza da condividere.

Che cosa c’è allora dentro a questa multi-alfabetizzazione? C’è tutto un filone di studi interessante, bello, che io ho cercato di rac-chiudere in poche pagine visto che non avevo la possibilità di un volume, e viene definita la ricerca sulla home literacy, cioè sulle pratiche implicite, indirette di conoscenza dell’alfabeto e dei suoi usi che vengono in qualche modo indirettamente promosse in fa-miglia. Negli anni Ottanta si riteneva che bastasse la quantità di libri in famiglia, o il livello di istruzione dei genitori a fare la diffe-renza, cioè a rendere i bambini più o meno preparati per affronta-re lettura e scrittura scolastica. Invece degli ultimi anni ciò che è venuto in primo piano è la natura dell’interazione madre-piccolo, padre-piccolo.

Non è tanto la quantità dei materiali e neppure la loro qualità al limite ma che cosa, come l’adulto media il rapporto tra il bambino e il libro. Che cosa richiede al bambino di fare nei momenti in cui la sera il papà o la mamma legge la storia al bambino, quindi proprio la natura dell’interazione. Vedo che sareste tanto curiosi rispetto a questo tema, vi rimando alla lettura del libro, ma per esempio se il genitore lascia spazio al bambino che ponga delle domande, chiede la collaborazione del bambino nel costruire la storia, oppure pratica la lettura dialogata, chiedendo al bambino che sia lui a far finta di leggere per il genitore.

Sono dati veramente molto interessanti e soprattutto - questo è importante per quanto mi riguarda - la convinzione che i genitori hanno di poter collaborare in un certo modo con la scuola su que-sto versante, oppure di ritenere che sia la scuola sola a doversi oc-cupare della alfabetizzazione dei loro bimbi. Guardate ci sono degli atteggiamenti di alfabetizzazione che si presentano molto presto.

Perdonate la parentesi autobiografica, la mia nipotina che non ha ancora tre anni, quando noi nonni leggiamo i libri con lei, beh io ho bisogno degli occhiali, pure il nonno e quindi ci mettiamo gli occhiali. Spesso è il nonno che legge e lo fa molto volentieri, torna bambino con la nipotina, è stato curiosissimo vedere la nipotina a un certo punto, un giorno, prendere il libro e aprirlo. Mio marito aveva appoggiato gli occhiali e l’orologio pesantissimo sul divano, lei cosa fa? Si prende gli occhiali del nonno, con una mano li inforca così, con l’altra prende l’orologio e cerca di alzarlo, per lei quello era leggere! Cercava di tenere simultaneamente il libro, gli occhiali e l’orologio. Che fai Greta? Leggo!

Ecco, voglio dire che quando noi pensiamo all’alfabetizzazione pensiamo dove inizia questo percorso. Non perché la famiglia inse-gna a leggere e scrivere, non è questo il compito della famiglia, ma è in famiglia che i bambini prendono confidenza, sviluppano fami-liarità con l’alfabeto. Guardate che è questa la forte differenza, non tanto se il bambino sa leggere o scrivere, perché poi nel tempo si perde questo vantaggio iniziale, quanto piuttosto se si è sviluppata una certa confidenza con l’alfabeto, la voglia di imparare a leggere e a scrivere.

Bene, però se abbiamo tutto un contesto intorno che sembra fa-vorire l’alfabetizzazione, che ci sta a fare la scuola? Intanto mi piace sottolineare l’etimologia del termine scuola. Sapete che inizialmen-te voleva dire inizialmen-tempo libero? Tempo liberato? Tempo da dedicare al sé? Poi il termine ha assunto il significato di discussione, dialogo, conversazione, solo nel Settecento il termine scuola diventa luogo istituzionale in cui si impara a leggere a scrivere. È bello pensare alla scuola come un luogo di dialogo, di discussione e di conversa-zione.

Allora, se il contesto fa tanto, dove sta lo specifico della scuola?

Innanzitutto a differenza di quanto accade all’esterno, solo a scuola il bambino si confronta con apprendimenti formalizzati, con spazi, tempi e obiettivi dedicati, e non è una cosa da poco. Il secondo dato: la scuola ha lo sguardo lungo, lavora non per l’immediato ma per obiettivi a lungo termine. La scuola lavora con intenzionalità e sistematicità, progetta, monitora, verifica, controlla. Non è questo il compito della famiglia o di altri contesti. Questo è un aspetto fonda-mentale: la scuola e solo la scuola si prende cura del percorso, del processo, di tutti quei pezzetti di strada che portano a determinati risultati e questo è il valore e il significato della didattica. La scuola si preoccupa in ogni momento del percorso, non solo alla fine del risultato. Si prende cura naturalmente di ogni allievo, coltiva l’idea di benessere e di bene comune e la scuola non conosce la parola rifiuto.

Questa scuola però si muove in contesti caldi e complessi. Come dire, i temi caldi sono quelli che adesso vi elenco e che certamente già sapete: una spiccata eterogeneità delle classi, per cui ci sono bambini italofoni e bambini non italofoni. Dicevo prima a un giova-ne collega che si occupa di lingua: occupatevi di come si insegna la lingua italiana ai bambini stranieri. C’è poco studio, poca ricerca e gli insegnanti si attrezzano come possono e fanno anche di più del possibile, ma qualche dato di ricerca vi potrebbe aiutare a fare meglio.

Un secondo tema: l’inizio del percorso di alfabetizzazione. Credo che chi ha assistito alla sessione della collega Franca Rossi abbia capito come sia un dato di fatto trovarsi con ragazzini che in

qual-che modo non dico sanno già leggere e scrivere, ma hanno fatto esperienza di alfabeto e in qualche modo lo conoscono. Quindi desiderano anche impadronirsi… perché sapete, c’è un momento dell’infanzia che i genitori e i nonni non dimenticano e neanche il bambino dimentica, quando, leggendo la storia ai piccoli, il bam-bino non capisce come mai tutti quei segnetti, stanghette, tondini e cerchietti si trasformino nella bocca dell’adulto che sa leggere in maghi, streghe, bontà, cattiveria, magie. Come l’adulto che sa leggere può far diventare una pagina di striscetti una pagina straor-dinaria di racconto.

L’alfabetizzazione digitale, la digitalizzazione che cosa cambia?

Sappiamo già alcune cose, per esempio ci sono dei processi sol-lecitati e altri silenziati. Certamente i processi silenziati - e questo lo dico opportunamente parlando di alfabetizzazione - sono i pro-cessi di analisi, concentrazione, riflessione, cioè tutti quei proces-si che richiedono lo scavo in profondità. Questi sono i procesproces-si che vengono coperti, sovrastati da altri processi sollecitati dalla digitalizzazione: l’intuizione, la partecipazione sociale, la curiosi-tà. Questi sono i processi sollecitati e vengono sollecitati ma ne perdono gli altri. Dove sta il problema? Che leggere e scrivere è essenzialmente un processo di analisi, concentrazione e riflessio-ne. Dunque, anche se ci troviamo con bambini che sanno leggere e scrivere all’inizio della scolarità, il problema insorge nel passare dalla padronanza del codice alla comprensione o alla produzione del testo, quando si richiede uno sforzo prolungato. Il codice nel primo anno, se i bambini funzionano bene, viene automatizzato, ma non c’è mai un livello di automatizzazione e della comprensio-ne e produziocomprensio-ne del testo. Allora, quando si richiede uno sforzo di analisi, concentrazione e riflessione più prolungato, si sente la debolezza di questi processi e la necessità come insegnanti di definirli in termini di obiettivi formativi. Sono obiettivi nuovi, svi-luppare in un bambino la capacità di concentrarsi, di riflettere, di analizzare sono obiettivi che devono diventare parte di un currico-lo scolastico. Ci sono poi i disturbi specifici dell’apprendimento che richiedono un discorso specifico.

Un breve accenno alla ricerca sulla lettoscrittura. Come impa-rano oggi bambini a leggere e scrivere, quali pratiche e attività vengono messe in campo dagli insegnanti per far apprendere i bambini a leggere e scrivere, con quali risultati. Questi alcuni aspetti della ricerca svolta in Trentino. L’aspetto positivo della ricerca è l’integrazione tra l’approccio qualitativo rappresentato dall’osservazione in classe e quello quantitativo rappresentato dall’analisi dei risultati delle prove d’ingresso e di uscita. L’osser-vazione in classe si è focalizzata sul farsi dell’insegnamento e sul farsi dell’apprendimento. Ne sono stati strumenti il diario

giorna-liero; il sistema di codifica dei dati, l’intervista all’insegnante e il questionario per i genitori.

Manca una cosa qui e ne ho sentito tantissimo la mancanza e l’ho anche scritto: mi sono mancate le voci dei bambini. Mi sarebbe tanto piaciuto poter chiedere ai bambini per esempio: come ti sei sentito in questo percorso di alfabetizzazione? Che cosa hai trovato difficile? Secondo me questo è uno sviluppo interessante del lavoro di ricerca, le voci dei bambini, perché le voci dei bambini ci resti-tuiscono quella dimensione che ci consente di migliorare il nostro modo di lavorare con loro.

Come imparano i bambini a leggere e scrivere, vediamo un po’

gli aspetti emergenti dagli studi. Un primo dato: l’alfabetizzazione non inizia con il primo giorno di scuola primaria, c’è un lungo per-corso che ora gli studiosi definiscono come alfabetizzazione emer-gente. Nell’ambito di questa piuttosto che parlare di prerequisiti si parla di precursori (Figura 1). Non è che io non ami i prerequisiti, ma ne parlavamo negli anni Settanta indicando soprattutto le pras-sìe, vale a dire quella capacità di coordinamento oculo-manuale che le suore all’asilo cercavano di incentivare facendoci punteg-giare su un feltrino con il punteruolo. I prerequisiti si sono collegati storicamente alla dimensione soprattutto prassica, percettivo-mo-toria, mentre dagli anni Ottanta in poi c’è stato tutto un filone ab-bondante di ricerca che ha testimoniato questo. Perché quell’idea dei prerequisiti andava d’accordo con l’alfabetizzazione

strumen-Come imparano i bambini a leggere e a scrivere?

Alfabetizzazione Emergente:

I precursori (prerequisiti???) dell’alfabetizzazione formalizzata - Competenza Fonologica

- Competenza sintattica - Competenza semantica - Competenza lessicale - Scritture e letture spontanee - Competenza narrativa - Competenza notazionale - Motivazione al codice scritto

Figura 1. Come imparano i bambini a leggere. Alfabetizzazione emergente e precursori.

tale, ma non va più d’accordo con tutto quello che sappiamo oggi dell’alfabetizzazione.

Allora gli studiosi parlano di precursori e qui è tutto il campo ampio della scuola dell’infanzia, la competenza fonologica, la com-petenza sintattica, ma si può parlare di sintassi alla scuola dell’in-fanzia? Certo che sì, non nella forma di nome, aggettivo e pronome, ma le frasi buffe, le frasi matte, cioè frasi costruite bene dal punto di vista sintattico ma senza significato. Oppure quelle mal costru-ite e così via. Lavorare in questa direzione, ad esempio, facilita ai bambini il passaggio dai pensierini a frasi più complesse quando producono testi scritti.

La competenza semantica, la competenza lessicale; il lessico ha un rilievo indiscusso. Non sempre si è curato sufficientemente il lessico e mi riferisco non solo il lessico per nominare e per riferire, ma anche il lessico per generalizzare, per concettualizzare. Il lessico delle parole vuote, che sono i nessi coesivi, quei nessi che stipulano delle relazioni mentali, delle relazioni a livello mentale ma che non esistono nella realtà; le scritture e le letture spontanee, la compe-tenza narrativa. Da ultimo si è aggiunta la compecompe-tenza notazionale cioè il conoscere i segni scritti e, importantissimo, la motivazione al codice scritto e la trepida attesa di imparare. Per ricerche fatte vi posso testimoniare che i bambini hanno una gran voglia di impara-re a leggeimpara-re e a scriveimpara-re, perché per loro significa diventaimpara-re grandi.

Qui le scritte di un bambino di quattro anni e mezzo che racconta la storia di un dinosauro (Figura 1).

In questo altro esempio che credo sia già di dominio pubblico perché l’ho presentato in molte occasioni, propongo le scritture spontanee che i bambini mettono in campo senza insegnamento (Figura 2). Sono bambini della scuola dell’infanzia e la propongo perché racchiudono i vari livelli di concettualizzazione.

Avevo iniziato questo percorso tempo fa - racchiuso nel volume

“Il portfoglio della prima alfabetizzazione” - con delle immagini riferi-te a parole straniere presenti nei cartoni animati, perché i bambini a quel tempo ne vedevano un po’ alla televisione e quindi conosceva-no i conosceva-nomi dei personaggi come logo, come memoria, disegconosceva-no. Quin-di chiedevamo loro Quin-di provare a scriverli come sapevano e come po-tevano. Per esempio questo bambino che si trova ancora a un livello tra il sillabico e il pre sillabico, scrive Ato per Hantaro; questo è un altro bambino che si trova quasi a livello sillabico: I nn per Winnie the Pooh; una bambina che si trova invece a livello pre sillabico, IA, LAB, PR. Insomma tanti modi per scrivere le Winx. C’era un bambi-no che tentava di sub focalizzare la parola Hantaro e cominciava a dire: ah, ah, ah. Non sapeva come scriverla e allora, a certo punto, gli è uscito PACCAMITARO. L’acca è diventata pacca e poi utilizza la stessa strategia anche per Winnie the Pooh, VINNAE TACCHE

PACCA, quindi trasforma tutte le acca in pacca. Un’altra bambina per scrivere le Winx comincia a circondare il foglio di NWN tutto intorno al foglio. Le abbiamo chiesto: Cosa fai? E lei continuava a girare intorno al foglio: Le Winx sono tante!

Importantissima è la fase del nome, il bambino impara a scrive-re e a riconoscescrive-re i segni dal nome proprio. Questo bambino per esempio si chiama Martino, cinque anni, per Picachu gira le lettere del proprio nome e diventa ARINTOM, sa che deve rappresentare qualcosa di diverso e quindi trova una strategia sua. Per piatto OTIN-RAM e per lumaca OAMRINO sono tutte varianti del nome proprio.

Giulia sei anni, scrive, per le Winx, VIULA e PTULIA per panino.

Quindi gira un po’ le lettere del proprio nome. Questa è un’imma-gine (Figura 3) che invece è riferita alla ricerca che abbiamo fatto in Trentino. I bambini che sono stati osservati non sanno ancora leggere e scrivere in forma alfabetica. Questo bambino, richiesto di scrivere limone, scrive NSO, una serie di lettere e poi tramite quel procedimento di sub-vocalizzazione – questo bambino è in fase sil-labica - come fa? Scrive tre segni, uno per ciascun suono emesso, ma il suono che lui emette è una sillaba, per cui li-mo-ne e cosa ci stanno a fare tutti gli altri segni (NCUA)? Deve trovare una giustifi-cazione, non può cancellare. Quindi spiega all’insegnante che è per dire se è aspro o dolce.

Questo per dirvi che quando i bambini accedono alla scuola primaria, molti sono già entrati nell’analisi fonologica della

pa-Figura 2. Esempi di scritture emergenti.

rola, hanno già abituato il loro occhio e orecchio a controllare il rapporto suono-segno. Quello che un tempo i bambini iniziavano

rola, hanno già abituato il loro occhio e orecchio a controllare il rapporto suono-segno. Quello che un tempo i bambini iniziavano