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La contraffazione in Internet: dal domain grabbing all’uso come meta-

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 175-178)

LA CONTRAFFAZIONE SUL WEB: LE SFIDE DI INTERNET AL SISTEMA DELLA MODA

1. La contraffazione in Internet: dal domain grabbing all’uso come meta-

tag o adword fino ai rischi dei social network.

La progressiva espansione di Internet quale strumento per la divulgazione e la contestuale ricerca di informazioni ha determinato un aumento esponenziale dei problemi legati all‟abusivo utilizzo dei segni distintivi delle imprese, in ragione del quale è possibile parlare di “nuove pratiche confusorie nella rete”208

.

Accanto alle ipotesi più tradizionali quali il c.d. cybersquatting o domain

grabbing sono, infatti, andate delineandosi forme di contraffazione dei marchi

rinomati per certi versi meno palesi ed evidenti, ma ugualmente lesive dei diritti di esclusiva del titolare, quali l'adozione dell'altrui marchio rinomato come meta-tag o come adword oppure come username sui social network.

Dottrina e giurisprudenza hanno riscontrato in queste forme di uso online di marchi identici o simili all'altrui marchio rinomato ipotesi di indebito vantaggio o di pregiudizio alla notorietà ed alla capacità distintiva209.

208 TREVISAN & CUONZO, Proprietà Industriale, Intellettuale e IT, Ipsoa, Milano, 2013, pag.

247.

209 “In particolare, le modalità di approccio ai siti, sia che avvengano digitando direttamente il

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La contraffazione a mezzo della rete Internet produce nel campo della moda conseguenze particolarmente devastanti, con danni di estrema gravità sia per i titolari dei diritti di proprietà industriale violati, sia per l‟affidabilità delle transazioni e per la libertà di determinazione delle scelte dei consumatori, nonché per la loro sicurezza e la loro salute che la contraffazione mette spesso in pericolo, poiché i falsi sono anche pericolosi perché vengono realizzati in modo non conforme alle prescrizioni sulla sicurezza dei prodotti.

Questo problema ha assunto certamente un rilievo che non poteva essere previsto al momento dell‟adozione della Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico e nemmeno in quello dell‟attuazione di essa nel nostro Paese, operata con il D.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, emanato in forza della delega conferita al Governo dalla L. 1° marzo 2002, n. 39 (Legge comunitaria 2001), che non ha colto tutte le opportunità offerte dalla Direttiva per delineare una soluzione equilibrata al problema della responsabilità dei soggetti operanti su Internet, dai pure players agli Internet

service providers, e più in generale dei fornitori di servizi via web.

Ciò nonostante la giurisprudenza, ed in particolare quella comunitaria, ma anche alcune significative pronunce nazionali, hanno delineato, se non ancora dai confini precisi, certamente delle linee guida, per determinare i limiti della responsabilità degli attori del commercio elettronico, coordinando le norme della citata Direttiva 2000/31/CE con quelle della Direttiva sui marchi (Direttiva 89/104/CEE, ora divenuta la Direttiva 2008/95/CE) e del Regolamento sul marchio comunitario (Regolamento 40/94/CE ora nella versione del Regolamento 207/2009/CE).

Sulla rete Internet, a fianco delle forme di mercato parallelo, che mettono in difficoltà i sistemi distributivi dei prodotti originali, particolarmente insidiose per la moda ed i luxury goods, mediante l‟abbondante offerta di falsi spacciati come prodotti autentici che la rete facilita attraverso il sostanziale anonimato, vi sono le

initial confusion, ossia della confusione che si manifesta solo in una prima fase dell'approccio al prodotto o al servizio (nel nostro caso al sito) contraddistinto dal segno dell'imitatore; ovvero possono indurre i navigatori ad instaurare comunque collegamenti (non confusori) tra il domain name e il segno distintivo ad esso simile. Anche in queste ipotesi si verifica quindi una alterazione del processo decisionale dell'utente, a causa delle associazioni mentali che si vengono comunque a creare, e quindi di una interferenza, se non con la funzione distintiva del segno imitato, certamente con la più generale funzione di esso come strumento di comunicazione o portatore di un messaggio.” GALLI, I domain names nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2001, pagg. 41-

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forme di “agganciamento” a favore di prodotti o servizi dichiaratamente diversi da quelli autentici, ma comunque offerti in vendita attraverso strumenti di richiamo parassitario alla celebrità dei marchi più famosi.

Ovviamente fashion e lusso, caratterizzati proprio dal fortissimo valore simbolico dei loro segni distintivi – marchi e non solo: si pensi allo stile di molti dei nostri

creatori del gusto e della moda – sono i candidati ideali ad essere la vittima di

queste operazioni.

In entrambi i casi oggi non si dubita dell‟illiceità di queste condotte: dal varo della prima Direttiva comunitaria sui marchi d‟impresa, nel 1988, si è progressivamente affermata la concezione della contraffazione come comprensiva di ogni forma di parassitismo ed i successivi interventi normativi succedutisi nel corso degli anni hanno provveduto all‟adeguamento dei diversi strumenti giuridici, sostanziali e processuali, per contrastarla efficacemente, prendendo progressivamente atto della circostanza che, nel mercato attuale il pericolo di confusione è sempre più una realtà del passato, o comunque una realtà riguardante i marchi meno famosi, mentre le “nuove frontiere” della contraffazione, e quindi anche della protezione dei segni distintivi più famosi (e tali sono pressoché tutte quelle del mondo del

fashion e dei luxury goods), riguardano piuttosto le forme di sfruttamento

parassitario del “valore di comunicazione” di questi segni da parte di terzi non autorizzati.

Ed Internet, che è il cuore della comunicazione del mondo d‟oggi, è stato infatti anche il primo banco di prova e l‟avanguardia di questa nuova e più concreta protezione dei marchi.

Tuttavia, il carattere aterritoriale del rete, che consente l‟accessibilità ad ogni sito Internet da tutto il Mondo, pone problemi dal punto di vista processuale. Quando la contraffazione è via web può risultare difficile determinare la giurisdizione e la competenza in base al criterio del forum commissi delicti.

Infatti, si potrebbe ritenere che, data la potenzialità diffusiva di Internet, il luogo in cui si verifica l‟evento dannoso coincida con tutti i luoghi in cui si è verificata una turbativa di mercato.

Ma un‟interpretazione siffatta, che si risolve nel rafforzare la posizione di chi si protesta vittima (a torto o a ragione) di un atto contraffattivo, pare estranea alla

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ratio ed alla natura processuale delle norme che regolano la giurisdizione e la competenza.

È preferibile, invece, ritenere che il luogo di commissione del fatto debba essere individuato nel luogo in cui i dati sono stati immessi in rete. Questa interpretazione è, infatti, più coerente con la logica sottesa al criterio speciale del

forum commissi delicti, che è stata ravvisata nella necessità di una buona

amministrazione della giustizia e di una migliore gestione delle controversie, in modo da far sì che la giurisdizione e la competenza vengano radicate in capo al giudice più vicino ai fatti.

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 175-178)