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I marchi costituiti da lettere.

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 126-147)

LA CONTRAFFAZIONE DEL MARCHIO NELLA GIURISPRUDENZA

3. I marchi costituiti da lettere.

Nel settore della moda è diffusa l‟abitudine di fare uso di marchi composti da lettere alfabetiche, in combinazione tra loro o, come spesso accade, perfino da una singola lettera indicante l‟iniziale del produttore.

L‟impiego di tali segni distintivi ha dato luogo ad alcune questioni giuridiche. In primo luogo se sia valido un marchio costituito da lettere alfabetiche, in combinazione o singole (c.d. monogramma); in caso di risposta affermativa al primo quesito, quale debba essere il grado di tutela proprio di tali marchi; considerato inoltre che nel campo delle creazioni di moda il marchio monogramma viene utilizzato frequentemente, oltre che per la sua tipica funzione individualizzante, anche in funzione ornamentale di alcuni prodotti (per esempio, il monogramma “LV” che contraddistingue gli oggetti di pelletteria e valigeria della casa francese) mediante la ripetizione in serie del medesimo su tutta la superficie del prodotto, ci si è chiesti se esso, una volta brevettato come marchio, possa godere di una sorta di “doppia tutela”, ossia di una protezione sia come marchio di forma sia come disegno e modello ornamentale.

In passato il problema della validità dei marchi costituiti da lettere alfabetiche aveva dato luogo a soluzioni giurisdizionali talora contraddittorie.

In linea di principio e correttamente si osservava che le lettere alfabetiche, in quanto segni elementari di codici linguistici e perciò d‟uso generalizzato, non potevano essere oggetto di esclusiva a favore di taluno, che in questo modo avrebbe avuto il diritto di costringere gli altri suoi concorrenti a non farne analoga utilizzazione.

Il divieto di registrazione come segno non comprendeva, peraltro, le combinazioni di lettere, quelle di lettere e numeri o di lettere ed immagini, che, di regola, si riteneva avessero una capacità distintiva sufficiente a dar vita ad un valido marchio.

Dopo varie oscillazioni, la giurisprudenza aveva finito con il riconoscere che anche le singole lettere dell‟alfabeto potevano costituire oggetto di valido marchio, non però quali semplici fonemi perché una lettera in quanto tale, e cioè

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nel suo semplice valore “denominativo”, non poteva essere monopolizzata, ma per il loro valore “figurativo”, vale a dire se e in quanto le medesime lettere avessero presentato una caratterizzazione grafica originale, in grado di attribuire loro un potere individualizzante tale da farle venire in considerazione più come figure o fregi che come parole. In questo senso si era espressa la Corte di Cassazione con riferimento alle “F” stilizzate, rovesciate ed asimmetriche che contraddistinguono il marchio Fendi (figura 10)170.

Figura 10

Peraltro, il problema della validità di un simile marchio è stato superato perché il vecchio art. 16 della legge marchi ed attualmente l‟art. 7 c.p.i. prevedono espressamente che possano costituire oggetto di registrazione come marchio d‟impresa tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente e, tra questi, anche le lettere, purché siano atte a distinguere i prodotti o i servizi di un‟impresa da quelli di altre171

.

Infatti, accade molto spesso che attraverso un uso costante e la pubblicità di cui sono oggetto, le lettere acquisiscano forza distintiva ed il consumatore arrivi ad associarle ad un determinato prodotto172.

170

Cass., 7 maggio 1983, n. 3109, in GADI, 1983, pagg. 92 ss.

171

VANZETTI, Marchi di numeri e di lettere dell’alfabeto, in Riv. Dir. Ind., 2002, in nota 168, in cui l‟Autore richiama la sentenza della Corte di Cassazione del 7 maggio 1983, n. 3109 relativa alla controversia tra Ferragamo e Fendi in cui viene affermato che “il valore individuante della

lettera dell’alfabeto … è nullo in quanto tale, ed assume rilievo nella misura in cui la lettera, per la rappresentazione grafica originale assunta, acquista carattere distintivo”.

172 SARACENO, Brevi note in tema di marchi alfabetici, in Riv. Dir. Ind., 2009, pagg. 200-206, in

cui l‟Autrice riconosce la tutela ai marchi di lettera ed a quei segni che solo nel tempo hanno acquisito capacità distintiva a seguito del loro utilizzo.

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Tale fenomeno, cui per primi hanno attribuito rilievo giuridico gli anglosassoni, è comunemente definito come acquisto da parte del segno di un “secondary

meaning”.

Questo processo di riabilitazione è la conseguenza di una congrua durata di uso esclusivo del segno in connessione con un singolo prodotto, supportato da un‟ampia pubblicità e si conclude con un vero e proprio aggiungersi, nella percezione del pubblico, di un secondo specifico significato (del significato, cioè, di segno distintivo) all‟originario significato generico173.

Il nostro Codice prevede all‟art. 13 comma 2 che un‟originaria mancanza di capacità distintiva del segno non osta alla valida registrabilità come marchio, ove prima della domanda di registrazione, a seguito dell‟uso che ne sia stato fatto, il segno abbia acquisito quella capacità.

Al riguardo la giurisprudenza comunitaria richiede che il segno, perché possa affermarsi la “riabilitazione”, sia divenuto idoneo ad identificare il prodotto o il servizio recante il marchio come proveniente da un‟impresa determinata agli occhi di almeno una frazione significativa del pubblico di riferimento. Precisa poi che per verificare se ciò è avvenuto occorre fare riferimento ad elementi concreti, quali la quota di mercato detenuta dai prodotti o servizi, l‟intensità, l‟estensione geografica e la durata dell‟uso del marchio, l‟entità degli investimenti pubblicitari effettuati, la percentuale dei consumatori che grazie al marchio identifica il prodotto o il servizio come proveniente da una certa impresa.

In ordine al grado di tutela da attribuire ai marchi di forma, l‟orientamento prevalente (seppur con qualche eccezione, dovuta alle caratteristiche del caso concreto) si è assestato nel senso di riconoscere che i marchi alfabetici e soprattutto il monogramma sono marchi c.d. “deboli”.

Si ritiene che siano da considerare “deboli” i marchi che non possiedano una particolare originalità e che abbiano, perciò, un minor valore distintivo, anche in dipendenza del numero degli altri marchi simili esistenti in commercio.

Ai marchi più originali, i c.d. marchi “forti”, è riconosciuta una protezione contro qualsiasi tentativo di contraffazione e pertanto devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti e significative, che lasciano

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sussistere l‟identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo. Viceversa, ai marchi “deboli” la tutela è limitata solamente alle contraffazioni totali, per cui la protezione non si estende a tutto il segno ma solo alle parti dotate di originalità, e per tali marchi lievi modifiche o aggiunte sono idonee ad escludere la confondibilità.

Nelle decisioni relative ai marchi costituiti da lettere alfabetiche ripetutamente si afferma che essi, in quanto “deboli”, non sono tutelabili nel tipo, ma nella specificità della rappresentazione grafica che li caratterizza, conferendogli una sia pur limitata originalità costituita non dalla contrapposizione, sovrapposizione o comunque accostamento tipico di una determinata lettera dell‟alfabeto, ma dal risultato grafico globale, con la conseguenza che la contraffazione è da escludere ogni qual volta sussistano anche lievi modificazioni o aggiunte sufficientemente rilevanti da essere percepite dai destinatari del prodotto in ragione della loro particolare qualificazione174.

Per quanto riguarda l‟estensione della tutela del marchio anche alla funzione ornamentale da esso svolta, nel caso della utilizzazione del marchio stesso come disegno del prodotto, attuato mediante impressione del monogramma sull‟intera superficie del bene, la giurisprudenza ha da tempo affermato che la circostanza che il medesimo monogramma avrebbe dovuto essere brevettato come disegno ornamentale non è di per sé preclusiva dell‟utilizzazione di cui si tratta da parte del titolare del marchio, con carattere di privativa.

Ciò implica, per converso, il divieto di imitazione pedissequa da parte della concorrenza, che nemmeno nella limitata prospettiva del disegno ornamentale potrà adottare motivi riconducibili al proprium della rappresentazione grafica prescelta dal titolare del marchio.

Peraltro, anche in questo caso, tenuto conto della “debolezza” del marchio composto da lettere alfabetiche, la tutela di esso copre solo la specifica soluzione grafica monogrammatica, comportando il divieto per gli altri imprenditori di usare raffigurazioni che la riproducano come disegno ornamentale con impercettibili

174 GUGLIELMETTI, Parole, figure o segni di uso generale in funzione di marchi di impresa, in

Riv. Dir. Ind., 1961, pagg. 92 ss. in cui l‟Autore afferma che “si tratta naturalmente di marchi deboli, dato il loro scarso carattere fantastico, sicché anche minime differenziazioni potranno dirsi sufficienti ad impedire la contraffazione”.

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varianti. Al contrario, nel caso in cui le varianti in questione siano percettibili, ancorché lievi, si deve negare che la tutela del marchio realizzi un monopolio da parte del titolare, soprattutto nella prospettiva di una tutela del disegno ornamentale.

La modalità d‟uso del segno come fregio riceve, dunque, una protezione limitata che dipende dalla riconosciuta natura “debole” del marchio costituito da lettera alfabetica.

Questi orientamenti hanno trovato espressione nella sentenza della Corte di Cassazione che si è pronunciata sulla registrabilità del marchio costituito dalla lettera dell‟alfabeto greco “Ω”, usato dalla società Ferragamo per contraddistinguere la forma dell‟anello di chiusura di una borsa (figura 11)175

.

Figura 11

Il procedimento aveva preso le mosse dalla domanda della Salvatore Ferragamo Italia S.p.a. di accertamento della responsabilità della società Biagini Giovanni e C. S.n.c. per contraffazione e concorrenza sleale per aver prodotto e messo in commercio borse contraddistinte da due segni che riproducevano in maniera pressoché identica il marchio usato dalla casa di moda fiorentina fin dal 1970 e poi registrato.

Sia in primo che in secondo grado la domanda era stata rigettata.

La società Ferragamo aveva, dunque, proposto ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte d‟Appello di Firenze, nel negare la registrazione della lettera come

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marchio, fosse incorsa nella violazione dell‟art. 16 l.m. (oggi art. 7 c.p.i.) e, soprattutto, non avesse considerato che la lettera “Omega” apparteneva ad un alfabeto diverso da quello italiano e che, quindi, in sé considerata, non aveva valenza espressiva.

Il motivo del ricorso è stato accolto dalla Cassazione, che ha ritenuto che la Corte d‟Appello fosse incorsa “in una sovrapposizione di piani” che l‟aveva portata a confondere tra le lettere dell‟alfabeto, in sé e per sé considerate come segni normalmente destinati – da soli o in combinazione con altre lettere dell‟alfabeto, in singole parole o frasi o periodi più complessi – ad una funzione comunicativa quali strumenti di linguaggio, e “le lettere dell’alfabeto utilizzate come segni

identificativi di prodotti o attività e cioè per una funzione che non è quella loro propria, e che proprio per questo può assumere efficacia distintiva, senza precludere agli altri l’utilizzo della stessa lettera come strumento di linguaggio”.

La Corte di Cassazione ha, infatti, stabilito che la validità di un marchio costituito da una lettera deve essere affermata o negata non in ragione dell‟appartenenza delle lettere alfabetiche ai segni del linguaggio, ma “della capacità distintiva di

cui il segno sia o meno dotato una volta che fosse riuscito a creare un collegamento con i prodotti dell’impresa che ha fatto uso di quella determinata lettera e l’ha registrata, come marchio proprio in funzione distintiva dei prodotti, e non come tramite di comunicazione secondo la destinazione naturale e tipica dei segni alfabetici e delle parole”.

Tali principi, ha dichiarato la Corte, validi con riguardo alle lettere dell‟alfabeto in generale, si impongono con maggiore evidenza allorché si tratti di lettere di lingua straniera (come, nel caso di specie, la “Omega” maiuscola della lingua greca), relativamente alle quali è ancora meno frequente non solo l‟uso in funzione distintiva, ma la stessa utilizzazione in funzione semantica come tramite linguistico e di comunicazione.

Una volta riconosciuta la validità della registrazione, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull‟avvenuta contraffazione, che nei precedenti gradi di giudizio era stata esclusa. L‟aver affermato che la lettera “Omega” non fosse distintiva aveva, infatti, portato la Corte d‟Appello di Firenze a ritenere che l‟utilizzo da parte della società convenuta di un semplice anello con la funzione di chiusura della borsa

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che, per il modo in cui veniva inserito, aveva una forma ad “Omega”, non costituiva contraffazione del marchio dell‟attrice costituito dalla lettera greca. Tale conclusione non è stata condivisa dalla Cassazione, la quale ha ritenuto che la forma ad anello utilizzata dalla convenuta altro non era altro che una mera riproduzione dell‟”Omega” e a nulla valeva il fatto che quest‟ultima avesse eccepito la diversa colorazione, dal momento che questa non escludeva la confondibilità con il marchio della Ferragamo, nonché l‟apposizione del proprio cognome “Biagini” sulle borse, dato che “la distintività deve essere intesa come

capacità di individuare un prodotto dall’altro, mentre è estranea all’essenza della funzione del marchio la capacità di indicare il produttore”.

Non è stato neppure attribuito rilievo all‟eccezione che i prodotti di Ferragamo erano rivolti ad una clientela di élite per la loro qualità e per i prezzi più elevati, dato che “la differenza qualitativa dei prodotti e la differenza di prezzo, anche se

notevole, non elimina il rischio di confusione, essendo possibile, anzi probabile, che il consumatore meno avveduto sia indotto a ritenere che la stessa impresa produca a prezzi diversi prodotti di diversa qualità.”.

Sono state, pertanto, ritenute erronee le valutazioni della Corte d‟Appello sul presupposto che il marchio costituito da lettera sia da qualificarsi come marchio “debole”.

Infatti, si è detto che anche con riferimento a questi segni la tutela contro la contraffazione non è esclusa dall‟adozione di varianti formali inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l‟aspetto caratterizzante, ossia “il nucleo cui è affidata la funzione distintiva”.

Successivamente, Ferragamo ha dovuto nuovamente fronteggiare un caso di contraffazione inerente l‟utilizzo del marchio rappresentato dalla lettera

“Omega”176

.

Il Tribunale di Milano, adducendo le stesse motivazioni della Corte di Cassazione nella sentenza sopra menzionata, ha riconosciuto che la particolare caratterizzazione grafica della lettera e l‟uso protratto nel tempo da parte della maison fiorentina avevano sicuramente conferito al segno una notevole capacità distintiva e che, conseguentemente, le minime differenziazioni adottate dalla

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società convenuta non risultavano di una entità tale da evitare un effetto confusorio.

Anche la nota casa di moda Chanel si è trovata coinvolta in numerose vicende relative al suo marchio costituito da due lettere “C” contrapposte, impiegate per contraddistinguere capi di abbigliamento ed accessori (figura 12).

Figura 12

Il Tribunale di Milano177, nel giudicare una controversia vertente sulla fabbricazione di bottoni che riproducevano la doppia “C” contrapposta, ha innanzitutto riconosciuto la idoneità della lettera a costituire un valido marchio richiamando quanto rilevato dalla giurisprudenza in precedenti decisioni178.

Successivamente, ha ritenuto che costituisse “contraffazione dell’altrui marchio

celebre l’adozione dello stesso in funzione ostensiva, valendo a segnalare la provenienza del prodotto non solo al momento dell’offerta in vendita, ma anche in un momento successivo, quando l’oggetto recante il marchio (nella specie dei bottoni) veniva adoperato dal consumatore con evidenziazione e mostra del segno come qualità, pregio o lusso”.

È stato inoltre sostenuto che il segno adoperato dalla convenuta, pur nelle varianti

177

Trib. Milano, 8 febbraio 2007, in GADI, 2007, pagg. 635-639 (caso Chanel S.a.s. vs

Bottonificio Silga S.n.c.).

178 Trib. Firenze, 3 novembre 1993, in GADI, 1994, pag. 476 in cui si è affermato che: “il marchio

Chanel formato da due lettere “C” contrapposte è segno distintivo tutelabile perché la sua fisionomia grafica è tale da superare il semplice uso delle lettere dell’alfabeto e acquista una valenza che prescinde dal significato letterale, mentre la notorietà del marchio, anche fuori del più ristretto ambito dell’alta moda non ne determina affatto l’affievolimento”. Inoltre Trib. Torino,

19 maggio 1995, in Dir. Ind., 1996, pag. 368, secondo cui: “una lettera dell’alfabeto, per poter

validamente fungere da marchio, deve aver subito un’elaborazione (vuoi mediante abbinamenti ad altri segni, vuoi mediante una particolare configurazione grafica) tale da conseguire per questa via efficacia emblematica”: per tale motivo il Tribunale ha ritenuto che il marchio Chanel,

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rappresentate dalla diversa curvatura della “C” e la minore, maggiore o nulla sovrapposizione delle due lettere, non serviva a conferire una significativa distinzione, in quanto lo stesso evocava indubbiamente il famoso marchio della Chanel che, proprio per la sua vasta notorietà, tendeva a sovrapporsi, all‟occhio del consumatore, al segno ad imitazione.

Tali assunti erano basati non solo sulla particolare caratterizzazione grafica del monogramma, ma anche sul c.d. secondary meaning, derivante dall‟uso protratto nel tempo e dall‟ampia notorietà raggiunta, che aveva permesso ai consumatori di associare i prodotti contrassegnati con tali segni alla casa di moda francese.

Un altro celebre monogramma, costituito dalle lettere “L” e “V” utilizzate dalla casa di moda Louis Vuitton per articoli di pelletteria ed accessori (figura 13), è stato oggetto di una controversia vertente sia sulla validità delle lettere ad essere registrate come marchi, sia sulla contraffazione avvenuta nel settore della gioielleria, classe merceologicamente diversa da quella in cui la società francese era solita operare.

Figura 13

Il Tribunale di Torino179, esprimendosi sull‟idoneità delle lettere a costituire un valido marchio, ha affermato che fosse opportuno distinguere tra quelle impiegate con funzione comunicazionale, quali strumenti di linguaggio, e quelle utilizzate con funzione distintiva, come segni identificativi di prodotto.

Nel caso di specie, il Tribunale ha dichiarato che le lettere “L” e “V”, per la loro particolare caratterizzazione grafica, non potevano essere di per sé considerate di

179 Trib. Torino, 26 novembre 2007, in GADI, 2008, pagg. 589-609 (caso Il Mondo S.r.l. vs Louis

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uso comune, in quanto nel giudizio si discuteva non dell‟uso del monogramma nel linguaggio comune ma del suo uso nel commercio come segno distintivo.

Per quanto riguardava la capacità distintiva dei marchi alfabetici, i giudici hanno ritenuto che fosse necessario prendere in considerazione sia le qualità intrinseche del marchio ossia l‟attinenza concettuale con il prodotto, la novità, la liceità e la rappresentazione grafica, sia quelle estrinseche riguardanti la quota di mercato che era riuscito a detenere, l‟intensità, l‟estensione geografica, la durata dell‟uso, l‟entità degli investimenti promozionali e la percentuale degli ambienti interessati che identificavano il prodotto come proveniente da un‟impresa determinata. Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato che il monogramma “LV” “non

presenti alcuna attinenza concettuale con alcun genere di prodotto e questa è una delle caratteristiche dei marchi forti”.

Inoltre, “le lettere L e V corrispondono pacificamente alle iniziali del fondatore

della maison, appunto Louis Vuitton, e nessuno dubiterebbe della natura di marchio forte di un segno costituito dal suo nome iscritto per intero. Tale conclusione vale anche per il monogramma poiché – in relazione all’origine ed alla storia della società – il pubblico è immediatamente portato a ricollegarlo al nome Louis Vuitton, sia per la sua notorietà ed anche perche non risulta che altri imprenditori sino nel commercio tale monogramma.”.

A supporto di queste affermazioni, i giudici hanno osservato che la convenuta aveva prodotto in causa quanto dichiarato sui più importanti siti e dizionari online, i quali confermavano come tali iniziali fossero diventate icone e simbolo della società francese, la quale aveva accuratamente coltivato la sua celebrità avvalendosi di famose modelle ed attrici nelle sue campagne di marketing, aveva prodotto collezioni di borse divenute oggetto di culto tra i consumatori, aveva incrementato il proprio fatturato in maniera esponenziale ed aperto punti vendita in tutto il mondo.

Da tutto ciò poteva desumersi che il monogramma “LV” non solo fosse conosciuto da gran parte del pubblico di riferimento all‟interno della Comunità Europea e quindi qualificabile come marchio noto o rinomato, ma addirittura celebre, con la conseguenza che la soluzione della controversia doveva fondarsi sull‟art. 9.1 lett.

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La difesa della controparte, pur riconoscendo una certa notorietà al marchio di Louis Vuitton, riteneva che il proprio segno, costituito dalle lettere iniziali intrecciate della frase “I Love You” (figura 14), non costituisse contraffazione in quanto il monogramma della società francese, rappresentato dalle lettere “L” e “V” intrecciate, era conosciuto esclusivamente per i prodotti di pelletteria ed

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 126-147)