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I meta-tag.

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 185-187)

LA CONTRAFFAZIONE SUL WEB: LE SFIDE DI INTERNET AL SISTEMA DELLA MODA

3. I meta-tag.

Un'ulteriore ipotesi di contraffazione di marchi rinomati online che è andata delineandosi con lo sviluppo di Internet e che rappresenta una forma di contraffazione del marchio famoso altrui più indiretta o, per meglio dire, nascosta, non essendo immediatamente percepibile dal consumatore215, consiste nell'uso del marchio rinomato altrui come meta-tag.

I meta-tag o metadati sono parole chiave, codificate nel linguaggio della rete – HTML – e non immediatamente visibili sulla pagina web, che i motori di ricerca utilizzano per individuare ed indicizzare i vari siti presenti sul web.

Tramite il meta-tag il creatore di un sito può sia descrivere il contenuto ed il servizio offerto, sia inserire parole chiave idonee a renderlo maggiormente visibile nelle ricerche online tramite motori di ricerca. In pratica, il meta-tag consente al motore di ricerca di associare la pagina di un sito con la parola o le parole che il navigatore digita nel campo di ricerca.

L'adozione come meta-tag di un marchio consentirà al sito di comparire nei risultati dell'utente che ha effettuato la ricerca sulla base di tale marchio, normalmente perché interessato ad acquistare online i beni da esso contrassegnati o ad avere comunque informazioni su di essi.

Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che l‟uso del marchio altrui nei meta-tag costituisce, oltre che una pratica di concorrenza sleale per violazione dei principi di correttezza professionale, una nuova ipotesi di contraffazione. Sebbene nella fattispecie il marchio rinomato non venga apposto sui prodotti e

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SIRONI, Commento all'art. 20 c.p.i., in (a cura di) VANZETTI, Codice della proprietà

industriale, Giuffrè, Milano, 2013, pag. 412, che rileva come questa in fattispecie, sebbene “il segno del terzo non sia immediatamente percepibile dal consumatore (lo è solo il sito “richiamato”) tuttavia il suo impiego è uno strumento per interferire con le funzioni protette del marchio e con gli interessi del suo titolare.”.

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non identifichi alcun servizio, esso viene utilizzato allo scopo di richiamare tali beni e deviare gli utenti verso il proprio sito216.

In questo modo si determina una lesione della certezza dell‟indicazione d‟origine e della provenienza dei prodotti e dei servizi contraddistinti dal segno ed un effetto confusorio sul pubblico.

La semplice associazione del marchio altrui con quello del titolare del sito è idonea a pregiudicare sia la capacità distintiva del segno sia la sua notorietà per la perdita di valore che deriva dall‟essere accostato ad un marchio di minor valore o a messaggi negativi e distorsivi.

Inoltre, l‟utilizzatore trae un indebito vantaggio nello sfruttare parassitariamente la notorietà del segno distintivo altrui perché il suo sito godrà sul motore di ricerca di una maggiore visibilità e raggiungibilità, per la migliore posizione tra i risultati, e di un maggior numero di accessi, con un conseguente sviamento della clientela a danno del titolare del marchio rinomato.

Si deve però considerare che non tutti gli usi di meta-tag di marchi rinomati altrui sono illeciti.

Sono ritenuti leciti gli usi effettuati a fini descrittivi da parte di terzi, come i rivenditori di prodotti originali o di pezzi di ricambio o i riparatori indipendenti che inseriscono sul proprio sito i relativi marchi come meta-tag. Questi usi del marchio altrui potranno beneficiare dell'esimente di cui all'art. 21 comma 1 c.p.i. se conformi alla correttezza professionale e se non si traducono nel tentativo di un indebito agganciamento alla rinomanza del marchio, come ad esempio potrebbe avvenire allorché il titolare del sito susciti nell'utente l'impressione di appartenere, contrariamente al vero, alla rete ufficiale di distribuzione o di assistenza del titolare del segno.

Parte della dottrina è, inoltre, propensa ad ammettere una funzione pubblicitaria

216 Osserva giustamente Tosi che “i «meta-tag», pur non visibili, svolg(o)no una funzione

identificativa a livello interno, in via indiretta idonea ad influenzare la scelta del consumatore utente. È vero che il marchio o il nome altrui non viene posto esternamente e quindi tecnicamente sembrerebbe non sussistere alcuna violazione; tuttavia, nel momento in cui l'utente ricorre ai motori di ricerca la funzione distintiva del «meta-tag», apparentemente inesistente, giunge ad esteriorizzarsi assumendo un evidente valore lesivo del diritto esclusivo di marchio («invisible trademark infringement»), in violazione dell'art. 21.2 CPI che introduce un vero e proprio statuto di non decettività del marchio.” TOSI, Contraffazione di marchio e concorrenza sleale in Internet: dal classico “domain grabbing” all'innovativo “keyword” marketing confusorio, in Riv. Dir. Ind.,

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dei meta-tag, ritenendo che l‟uso strumentale di questi potrebbe rappresentare un caso di pubblicità ingannevole217, definita dall‟art. 2 del D.lgs. 145/2007 come “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è

idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea ledere un concorrente”.

Secondo altra parte della dottrina si potrebbe invece parlare di pubblicità occulta, in quanto il consumatore si troverebbe dinnanzi ad un prodotto o servizio che non cercava, non pensando e non rendendosi conto, dunque, di ricevere un messaggio promozionale e di subirne o meno l‟influenza nella sua scelta di uso del bene o del servizio stesso.

I sostenitori di questa tesi argomentano sulla base dell‟art. 1 del D.Lgs 145/2007, dove al comma 2 si precisa che “La pubblicità deve essere palese, veritiera e

corretta.”.

Questa opinione non è, però, accolta all‟unanimità, sostenendo taluni che “il

concetto di «nascosto» nel caso dei meta-tag è parzialmente diverso, poiché non porta con sé l’idea dell’ingannevolezza. Il meta-tag, infatti, è nascosto nel senso letterale del termine, e non camuffato”218.

4. Il keyword advertising: la responsabilità dell’inserzionista, del motore

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 185-187)