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L’ambito di protezione per il titolare del marchio.

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 44-47)

LA DISCIPLINA A TUTELA DEL MARCHIO NEL SETTORE DELLA MODA

1. L’ambito di protezione per il titolare del marchio.

Nel settore della moda il fenomeno contraffattivo non si limita ad una mera riproduzione del prodotto, ma si concentra anche nell‟imitazione dei marchi delle più importanti case di moda, con lo scopo di spingere i clienti ad acquistare prodotti che, grazie all‟apposizione di tali segni, possano risultare riconducibili alle note griffes.

Proprio perché la contraffazione non si manifesta solo con la messa in commercio dei prodotti, ma inizia già nella prima fase del processo produttivo, il legislatore si è prefissato lo scopo di tutelare il marchio con particolare riferimento ai possibili effetti confusori ed allo sfruttamento parassitario dei valori di avviamento commerciale incorporati in esso, che nel settore moda si traducono in un‟identificazione di maggiore qualità, originalità del prodotto, eleganza e

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tradizione per i quali il consumatore è disposto a spendere un delta in più del prezzo di acquisto.

Il nuovo sistema del diritto dei marchi risponde ad una ratio di protezione del segno in funzione non tanto distintiva, quanto di attrazione che alcuni marchi possiedono in sé e che, dovuto alla grande notorietà di cui godono, alla massiccia pubblicità ed agli ingenti investimenti di cui sono oggetto, al loro legame con personalità di spicco, si traduce in una elevata capacità di vendita del prodotto che contrassegnano, il c.d. selling power del marchio.

Tale protezione è stata codificata nel nostro ordinamento a seguito dell‟attuazione della Direttiva 89/104/CEE avvenuta ad opera del D.lgs. 480/1992 ed è attualmente prevista all‟interno dell‟art. 20 del Codice di Proprietà Industriale, disposizione che specifica i diritti conferiti al titolare del marchio dalla registrazione e che consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. La “facoltà” in questione è poi ampiamente analizzata ma in termini negativi, ossia viene enunciata come possibilità di vietare ai terzi determinati comportamenti.

Vale certamente la pena riportare per intero l‟articolo in questione poiché caratterizzerà, in particolare con il comma 1, tutti gli approfondimenti relativi a questo capitolo:

“1. I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà

di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica:

a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.

41 2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.”.

Il risultato di questa norma è certamente stato dato dall‟affinamento nel corso degli anni delle interpretazioni dei giudici comunitari dell‟art. 5 della Direttiva 89/104/CEE (oggi art. 5 della Direttiva 08/95/CE).

L‟art. 20 disciplina la sfera esclusiva di cui gode il marchio e dunque l‟ambito di protezione a disposizione del titolare di questo. Di conseguenza, sono utilizzi illeciti del marchio quelli elencati dalla lettera a) alla lettera c) del comma 1. Tuttavia, si deve trattare di “usi” effettuati “nell’attività economica”. In forza di un‟opinione oramai consolidata ai due termini deve attribuirsi un significato lato. In particolare, alla nozione di uso corrisponde sia l‟utilizzo attuale e concreto sia quello potenziale consistente negli atti idonei e diretti in modo non equivoco a preparare il futuro concreto impiego del marchio (ad esempio, riproduzione del marchio su etichette apposte a campioni dei prodotti, riproduzione del marchio sulla carta per la corrispondenza commerciale, ecc.).

L‟attività economica è da intendersi come qualsiasi attività non diretta alla esclusiva soddisfazione personale dell‟agente e che abbia una valenza patrimoniale. Questo presuppone che i beni sui quali viene apposto il marchio siano destinati alla vendita o comunque prevedano uno scambio in denaro o altre utilità a prescindere dal settore produttivo o dei servizi cui il bene scambiato appartenga, rimanendone escluso invece l‟uso in ambito privato.

Il legislatore riconosce poi al titolare del marchio il diritto di impedire che altri tengano specifici comportamenti ma questo diritto è subordinato all‟assenza di un suo consenso a che questi comportamenti vengano posti in essere.

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del titolare di far valere il suo diritto, ossia come mera accettazione della contraffazione, la norma sarebbe del tutto ovvia. Pertanto, si ritiene che al consenso debba essere attribuito un significato diverso, ossia di un consenso espresso, pur revocabile.

La previsione che il consenso del titolare del marchio possa rendere legittimi comportamenti confusori è la manifestazione più evidente del carattere privatistico che la legge dà al diritto sul marchio, che viene poi confermato dalla possibilità per il suo titolare di cederlo o di concederlo in licenza, ossia in godimento a terzi.

Nel documento La contraffazione del marchio nella moda (pagine 44-47)