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Le controversie attorno all'attivazione della giurisdizione della CPI sul crimine d

3.2. Il processo di ratifica degli emendamenti di Kampala

3.2.2. Le controversie attorno all'attivazione della giurisdizione della CPI sul crimine d

L'art. 15 bis, già ampiamente analizzato nel corso dell'elaborato, definisce le “regole di ingaggio” della Corte Penale Internazionale con riferimento al crimine di aggressione in caso di esercizio della giurisdizione proprio motu o a seguito di segnalazione da parte di uno Stato Membro. La norma prevede che la CPI abbia giurisdizione solo qualora uno Stato Membro commetta aggressione contro un altro Stato Membro178. A ciò si

aggiunga che è stato stabilito che la norma sia applicabile solo a quegli Stati Membri che hanno effettivamente ratificato gli emendamenti di Kampala, vale a dire 37 degli attuali 123 Stati parte dello Statuto di Roma (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Germania, Portogallo, Polonia, Spagna, Svizzera ed altri 27 piccoli Stati o comunque meno influenti179).

178D. A

KANDE, The ICC Assembly of States Parties Prepares to Activate the ICC’s

Jurisdiction over the Crime of Aggression: But Who Will be Covered by that Jurisdiction?, in "EJIL Talk! Blog of the European Journal of International Law”,

2017.

179Lichtenstein, Trinidad & Tobago, Lussemburgo, Botswana, Cipro, Slovenia, Andorra, Uruguay, Costa Rica, Croazia, Slovacchia, Lettonia, San Marino, Georgia,

E ad ulteriore limitazione dell’applicabilità del nuovo crimine, sappiamo che è stata prevista la possibilità per ogni Stato ratificante di dissociarsi dagli emendamenti in ogni momento (cd. clausola di opt-out180).

Quanto appena osservato è stato confermato nel secondo paragrafo della Risoluzione di attivazione della giurisdizione della CPI che conferma “nel caso di un rinvio da parte dello Stato o di un’indagine proprio motu la Corte non eserciterà la propria giurisdizione su un crimine di aggressione se commesso da un cittadino o sul territorio di uno Stato Parte che non ha ratificato o accettato questi emendamenti”. La pronuncia ha dunque privilegiato la dottrina più conservatrice, alla quale aderiscono accademici quali Dapo Akande181 e Kevin Jon

Heller182, a discapito dell'approccio più permissivo sostenuto da

un gruppo di Stati guidati dal Lichtenstein. Secondo Stefan Barriga, rappresentante di quest’ultimo Stato in seno all’Assemblea degli Stati Parte, tale presa di posizione fa sì che uno Stato Membro della CPI che abbia ratificato gli emendamenti di Kampala sia protetto solo se vittima di aggressione da parte di uno degli altri 37 Stati ratificanti. Si tratterebbe quindi di un regime troppo favorevole ad eventuali

Malta, Lituania, Macedonia del Nord, El Salvador, Stato della Palestina, Olanda, Cile, Islanda, Argentina, Panama, Irlanda, Guyana; da notare che tra i Paesi firmatari è assente l'Italia.

180K.J. H

ELLER, Opt-Ins and Opt-Outs, in “Opinio Juris”, 2010.

181D.AKANDE, What Exactly was Agreed in Kampala on the Crime of Aggression?, in"EJIL Talk! Blog of the European Journal of International Law", 2010.

potenziali aggressori che potrebbero in qualunque momento successivamente dissociarsi dalle nuove norme grazie alla clausola di opt-out prevista dal paragrafo 4 dell'art. 15 bis183.

Data la scarsa probabilità che tutte le condizioni elencate dall'art. 15 bis si verifichino, si prevede che il più plausibile degli scenari veda il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rinviare uno Stato (Parte o non Parte) di fronte alla CPI a norma dell'art. 15 ter. Solo in caso di deferimento da parte del Consiglio di sicurezza, la Corte potrà processare un individuo per il crimine di aggressione, quale che sia lo Stato responsabile dell’atto di aggressione all’origine di esso, dal momento che in caso di questa tipologia di referral non è possibile utilizzare la clausola di opt-out. Tuttavia, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, sempre che nel frattempo non siano divenuti Parte dello Statuto, potranno impedire il deferimento di una situazione che li riguardi o tocchi i loro interessi esercitando o anche solo minacciando il veto alla relativa Risoluzione.

Come sottolineato da Alex Whiting184, già Capo dell'Uffico della

Procura della CPI, la ristretta prospettiva di una rapida e concreta utilizzabilità della norma rischia di confermare la percezione, ad oggi molto forte, che la Corte si attivi solo contro gli Stati c.d. “deboli” senza mai sfidare le grandi potenze mondiali. Oltre a ciò, l’evidente asimmetria fra i due regimi di

183S.BARRIGA, The scope of ICC jurisdiction over the crime of aggression: a different

perspective, in “EJIL Talk! Blog of European Journal of International Law”, 2017.

184A.WHITING, Crime of Aggression Activated at the ICC: Does it Matter?, in “Just Security”, 2017.

attivazione della giurisdizione (uno per i tre crimini “originali” dello Statuto e l’altro per il nuovo crimine di aggressione) fa sì che la CPI non possa intervenire a fronte di un aggressione di uno Stato non firmatario ai danni di uno firmatario ma ne abbia invece la facoltà per quanto riguarda i conseguenti crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità commessi nel contesto della medesima situazione. L'esclusione della giurisdizione della Corte penale internazionale a norma dell'art. 15 bis par.4 è a maggior ragione oggi considerata una disposizione troppo ambigua e controversa, laddove ogni Stato Membro dello Statuto potrà in ogni momento rifiutare la giurisdizione della CPI sul crimine di aggressione schermando in tal modo anche gli atti commessi dai propri cittadini su di un diverso territorio nazionale. Tale approccio, oltre ad essere espressamente previsto dallo Statuto, conferisce in aggiunta un vantaggio meno immediatamente percepibile agli Stati che si dissociano dal nuovo crimine. Difatti, qualora uno Stato non ratificante aggredisca uno Stato ratificante, la CPI non potrà esercitare alcuna giurisdizione mentre potrà, paradossalmente, nel caso contrario.

Considerazioni conclusive

Il risultato raggiunto dagli Stati riuniti nella Conferenza di revisione di Kampala è stato sicuramente un importante successo per l’evoluzione del diritto penale internazionale. L’accordo concluso sulla definizione del crimine di aggressione e sulle condizioni di esercizio della giurisdizione, al contrario di quanto previsto dagli scettici, ha mostrato come la comunità internazionale fosse finalmente pronta ad accogliere le istanze di coloro che sottolineavano la necessità della repressione del crimine di aggressione, in modo da assicurare la pace nell’ambito delle relazioni internazionali. L’inclusione nello Statuto di ben tre articoli ( 8 bis, 15 bis, 15 ter) evidenzia il buon lavoro compiuto dallo Special Working Group on the Crime of Aggression, formatosi ascoltando le istanze più diverse di tutte le delegazioni degli Stati che hanno voluto dare il proprio contributo affinché le più alte cariche di uno Stato, colpevoli di dare avvio a guerre di aggressione, fossero finalmente punite dalla comunità internazionale. Il crimine di aggressione si caratterizza per la sua duplicità, sia nella definizione sia sul piano delle competenze. Nella definizione in quanto contiene la doppia fattispecie dell’atto statale da cui deriva la responsabilità dell’individuo-organo, fattispecie che hanno tra di loro una relazione biunivoca in quanto non può sussistere responsabilità

del singolo se non sia già stata stabilita pregressamente la responsabilità dello Stato aggressore e, d’altra parte, lo Stato come un’entità astratta le cui azioni sono compiute concretamente da individui. Dal punto di vista dell’esercizio della giurisdizione invece, la duplicità si riferisce al meccanismo del rinvio a giudizio: da una parte il referral motu proprio dal Procuratore della CPI e dall’altra parte la possibilità che ha il Consiglio di sicurezza dell’Onu di rinviare un caso alla Corte. Non bisogna però dimenticare quali sono state le difficoltà incontrate dagli Stati Parti nell’ambito delle discussioni sull’aggressione. Difficoltà che hanno portato all’adozione di alcune soluzioni di compromesso che hanno reso meno incisivo l’emendamento approvato a Kampala. È apparso chiaro come gli interessi contrastanti fossero numerosi, a causa del fatto che la repressione del crimine di aggressione è legato allo jus ad bellum degli Stati, ossia ai limitati casi in cui uno Stato può legittimamente usare la forza nei confronti di un altro Paese. La circostanza che, per la sua natura di Leadership Crime, l’aggressione vada a toccare il vertice delle gerarchie o gli uomini più potenti di uno Stato, lo pone come un crimine atipico rispetto agli altri core crimes, che sono ricompresi sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale. Per questi motivi, era inevitabile l’avversione di poteri forti come quelli dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu.

Sembra che condizionamenti politici fossero inevitabili per ciò che concerne l’esercizio della giurisdizione. In particolare per

quanto riguarda il ruolo problematico del Consiglio di sicurezza concernente la determinazione preventiva dell’esistenza di un atto di aggressione da parte di uno Stato. Come sappiamo la Corte appare limitata e condizionata dal fatto che gli emendamenti adottati stabiliscano che il Procuratore, ogniqualvolta ritenga di poter procedere con le indagini, debba prima verificare che il Consiglio di sicurezza abbia determinato l’esistenza di un atto di aggressione da parte dello Stato interessato. Senza dimenticarci che il Consiglio può sempre rinviare un caso alla Corte penale e, a norma dell’art. 16 dello Statuto di Roma, adottare una Risoluzione per bloccare le indagini o i procedimenti della CPI, per un periodo di 12 mesi rinnovabile.

D'altro canto resta il dato di fatto che l’attivazione del crimine di aggressione rappresenta un enorme contributo al mantenimento della pace e alla prevenzione dei più gravi crimini di interesse per la comunità internazionale nel suo insieme. Dopo i processi di Norimberga e Tokyo, la CPI ha ricevuto ufficialmente l’opportunità storica di rafforzare il divieto dell’uso della forza sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e completato nello Statuto di Roma. I passi in avanti fatti a New York completano il lavoro delle Conferenze di Roma e di Kampala e segnano il culmine di una continua evoluzione del concetto di aggressione durato di fatto un secolo. Pur con tutte le sue imperfezioni, il recente consenso raggiunto in seno alle Nazioni Unite ha inviato

un appello particolarmente tempestivo185 alla coscienza

dell’umanità sull’importanza della proibizione dell’uso della forza in un ordinamento giuridico internazionale finalizzato a preservare la pace.

185La Russia ha recentemente attraversato la linea rossa e annesso forzatamente il territorio della Crimea. La Corea del Nord e gli Stati Uniti si sono scambiati minacce sull’avvio di un conflitto nucleare. La Turchia ha iniziato una massiccia invasione militare in Siria senza alcuna concessione all’idea che il divieto dell’uso della forza fosse rilevante.

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