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L'impatto degli emendamenti sullo Statuto di Roma

La definizione di questo bilancio sul successo globale dello Statuto di Roma è stata esaminato in rapporto a quattro tematiche principali che sono: la complementarietà, la cooperazione, l’impatto dello Statuto sulle vittime e sulle comunità coinvolte e la questione relativa ai concetti di pace e giustizia.

In primo luogo, la complementarietà, perché proprio in virtù di questo principio, la Corte agisce solo nel momento in cui uno Stato non può o non vuole perseguire in maniera credibile i soggetti che si sono presumibilmente macchiati di crimini talmente gravi da avere conseguenze su tutta la comunità internazionale. Essa interverrà soltanto nei casi più gravi mentre i crimini meno gravi rientrano sotto la responsabilità dello Stato. In altri termini gli Stati conservano la responsabilità principale nel giudicare gli autori dei crimini internazionali. In secondo luogo, la cooperazione, concetto che significa che gli Stati Parte hanno l’obbligo, in virtù dello Statuto di Roma, di cooperare con la Corte su diversi aspetti che vanno dagli arresti e le consegne dei soggetti alle localizzazioni e il congelamento dei beni, fino alla protezione delle vittime e dei testimoni. Gli stessi Stati devono inoltre adottare una legislazione di applicazione specifica con il fine di facilitare la cooperazione con la Corte in questi ambiti.

In terzo luogo, l’impatto dello Statuto di Roma sulle vittime e le comunità coinvolte, ossia il fatto che in virtù delle regole della Corte, le vittime possono inviare al Procuratore delle informazioni sui crimini che sono rilevanti per la competenza della Corte stessa. Inoltre, per la prima volta nella storia dei Tribunali penali internazionali, le vittime hanno il diritto di partecipare alle procedure come testimoni, ma anche esporre le loro opinioni e preoccupazioni in tutti gli stadi della procedura. Infine, la tematica della pace e della giustizia, dal momento che

è comunemente ammesso che pace e giustizia siano due condizioni inscindibili, è necessario discutere del modo in cui gli sforzi di pace e quelli di giustizia possano essere integrati, del ruolo della Corte, dei processi di verità e di riconciliazione e del bisogno di salvaguardare gli interessi delle vittime in tutte le situazioni che seguono i conflitti.

La Conferenza chiuse il suo bilancio adottando tre Risoluzioni, due dichiarazioni e alcuni rapporti di dibattiti102. Una

Risoluzione ribadiva la responsabilità principale dello Stato nelle inchieste sui crimini aventi una portata internazionale e l’auspicio che gli stessi si aiutassero tra loro per rinforzare le capacità nazionali di perseguire i responsabili di crimini internazionali: la c.d. complementarietà positiva103. D’altronde,

all’interno dello stesso Statuto di Roma, all’art. 1, il carattere complementare della Corte rispetto ai tribunali nazionali è enunciato chiaramente. E’ un dato di fatto che la Corte non sia stata concepita per essere una giurisdizione esclusiva nella repressione dei crimini internazionali. A confermare questa tesi troviamo anche l’art. 17, il quale afferma che un caso è irricevibile dalla Corte qualora uno Stato, che abbia giurisdizione rispetto ad esso, stia svolgendo indagini o stia esercitando la sua azione penale oppure abbia già svolto indagini e deciso di non perseguire le persone coinvolte. Infatti, mentre i Tribunali ad hoc prevedevano la supremazia delle loro

102ICC, Review Conference, ICC-ASP-20100612-PR546. 103ICC, RC/Res.1.

giurisdizione su quelle nazionali, i negoziatori esclusero da subito questa caratteristica per la CPI. Contrariamente a quanto previsto per i due Tribunali ad hoc per l'ex Jugoslavia e il Ruanda, la CPI appare come un organo di giurisdizione penale del tutto complementare agli organi statali. Se questi opereranno con imparzialità nella repressione dei crimini contemplati dallo Statuto di Roma, la giurisdizione della Corte non dovrà intervenire. Si è previsto inoltre che sia la stessa Corte a decidere sia sulla propria competenza ad intervenire secondo il caso concreto sia riguardo alla ricevibilità del caso. Al principio di complementarietà è ispirato anche l’art. 18 secondo il quale il Procuratore, prima di iniziare un’inchiesta, deve informare tutti gli Stati Parte e quelli che avrebbero ordinariamente competenza rispetto ai crimini di cui si tratta104.

La seconda Risoluzione verteva sull’impatto dello Statuto di Roma sulle vittime e le comunità coinvolte105, riconoscendo

importanza fondamentale al diritto delle vittime ad un accesso uguale ed effettivo alla giustizia, a beneficiare di una protezione e di un sostegno, a ottenere riparazioni adeguate al pregiudizio subito e ad avere accesso alle informazioni pertinenti il caso. Inoltre un proficuo dibattito si era tenuto anche sul tema del Fondo106a profitto delle vittime il quale aveva contribuito alla

dignità individuale, alla guarigione, al riadattamento e

104O. FERRAJOLO, Corte Penale Internazionale, op. cit. p. 8. 105ICC, RC/Res.2.

106Il Fondo è stato creato per le vittime e i loro familiari nel 2005 dall’Assemblea degli Stati Parti.

l’autonomizzazione dei soggetti colpiti. Infine, la terza Risoluzione riguardava l’ambito dell’esecuzione delle pene107. La

Conferenza inviò gli Stati ad informare la Corte del fatto che essi fossero disposti a ricevere dei condannati nei loro centri di detenzione e a confermare che le pene carcerarie potessero essere scontante in un centro di detenzione messo a disposizione attraverso un’organizzazione o un’agenzia internazionale o regionale.

Un notevole risultato per il bilancio sulla giustizia penale tenutosi in Uganda furono soprattutto la Dichiarazione sulla cooperazione108 e la Dichiarazione di Kampala109. La prima

sottolineava la necessità di una cooperazione effettiva e globale da parte di Stati, organizzazioni internazionali e regionali, in modo che la Corte potesse svolgere convenientemente il suo mandato di persecuzione dei crimini internazionali, ricordando che la lotta efficace contro l’impunità richiedeva una giustizia rapida e celere; l’obiettivo della dichiarazione era quello di cercare di incoraggiare gli Stati a trovare sempre nuovi modi per rinforzare la loro cooperazione volontaria con la Corte, attraverso compromessi o altre forme. Per questo si decise che l’Assemblea degli Stati Parte avrebbe poi dovuto, nell’esame della questione sulla cooperazione, mettere un accento particolare sulla condivisione delle esperienze. Infine si chiese

107ICC, RC/Res.3. 108ICC, RC/Decl.2.

alla stessa Assemblea di esaminare, in occasione delle future deliberazioni sulla questione della cooperazione, i modi per migliorare l’informazione al pubblico, così come di promuovere la comprensione riguardo il mandato e il funzionamento della CPI.

La Dichiarazione di Kampala invece era un atto solenne, quasi alla chiusura del dibattito della Conferenza, che trattava principalmente della riaffermazione della volontà degli Stati di promuovere lo Statuto di Roma e la sua piena messa in opera, oltre al suo carattere universale e generale. All’interno della stessa Dichiarazione veniva reiterata la determinazione a mettere fine all’impunità degli autori dei crimini più gravi aventi una portata internazionale, nel pieno rispetto delle norme internazionali dell’equo processo, e di contribuire anche alla loro prevenzione.

2.3. La distinzione tra crimine di aggressione e atto di