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LA CONVENZIONE DELL’AJA DEL

Nel documento L'arte da salvare (pagine 138-143)

I BENI CULTURALI NEI CONFLITTI ARMATI OGG

LA CONVENZIONE DELL’AJA DEL

La Convenzione dell’Aja per la salvaguardia dei beni culturali in caso di guerra, tenutasi dal 21 aprile al 14 maggio 1954, fu una risposta alla distruzione su vasta scala del patrimonio artistico durante la II Guerra Mondiale, la quale mostrò, inoltre, la non adeguatezza delle normative relative alla protezione dei beni artistici fino a quel momento vigenti che non ne impedirono la distruzione.

Venne, per di più, stilata per fare in modo che i beni culturali, sia mobili che immobili, venissero salvaguardati e rispettati come patrimonio dell’umanità.

La definizione di “bene culturale”, stabilita dalla Convenzione è molto ampio323 e include significativi monumenti architettonici, opere d’arte, libri e manoscritti artistici o di importanza storica, musei, grandi biblioteche, archivi, siti archeologici ed edifici storici; il simbolo scelto per la loro protezione fu lo “Scudo Blu”. Inoltre, è la prima volta che questo termine viene inserito all’interno di un contesto internazionale come quello della Convenzione324.

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Convenzione dell’Aja, 1954, Capitolo I “Disposizioni generali concernenti la protezione”, art.1, Definizione dei beni culturali. Ai fini della presente convenzione sono considerati beni

culturali, prescindendo dalla loro origine e dal loro proprietario: a) i beni, mobili o immobili, di grande importanza per il bene culturale dei popoli, come monumenti architettonici,di arte o di storia, religiosi o laici; le località archeologiche; i complessi di costruzioni che, nel loro insieme, offrono un interesse storico o artistico; le opere d’arte; i manoscritti, libri e altri oggetti di interesse archeologico, artistico o storico; nonché le collezioni scientifiche e le collezioni importanti di libri o archivi o di riproduzioni dei beni sopra definiti; b) gli edifici la cui

destinazione principale ed effettiva è di conservare o di esporre i beni culturali mobili definiti al capoverso a), quali i musei, le grandi biblioteche, i depositi di archivi come pure i rifugi destinati a ricoverare, in caso di conflitto armato, i beni culturali definiti al capoverso a); c) i centri comprendenti un numero considerevole di beni culturali, definiti ai capoversi a) e b), detti “centri monumentali”.

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Brocca Marco, Il diritto dei beni culturali in tempo di guerra:lo stato dell’arte in Predella n°34, Pisa, Felici Editore

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E’ molto importante sottolineare anche come questa Convenzione rappresenti un punto di svolta anche per quanto riguarda la concezione stessa di bene culturale: non vi è più la distinzione tra beni pubblici e privati o lo Stato in cui il bene si trova e quello aggressore325.

Emerge pertanto, un concetto di bene culturale come bene dell’umanità che pertanto deve essere tutelato a prescindere da tutto.

Vennero istituiti, infine, due modelli di protezione:

- la protezione generale: concessa a tutti i beni culturali nell’accezione

fornita dall’articolo 1 della Convenzione stessa. Per poter godere della protezione il bene culturale non deve essere un obiettivo militare né essere utilizzata a scopi militari. Il detentore del bene,

inoltre, può contrassegnarlo con l’apposito simbolo, ma

l’apposizione del suddetto non è condizione necessaria per la sua protezione326;

- la protezione speciale: concessa a un numero limitato di beni

culturali di grande importanza, nonché a rifugi permanenti destinati a raccogliere i beni mobili in occasione di un conflitto. Questi beni devono essere registrati all’interno di un apposito elenco – la Lista Internazionale dei Beni Culturali – e devono essere contrassegnati dal simbolo della Convenzione ripetuto tre volte. L’apposizione del simbolo è indispensabile per la protezione del bene327.

Inoltre, un’importante innovazione risiede nell’applicazione della convenzione stessa, le cui normative sono vincolanti non solo dove è

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Frigo Manlio, La circolazione internazionale dei beni culturali: diritto internazionale diritto

comunitario e diritto interno, Milano, Giuffrè, 2001 326

Protezione dei beni culturali in casi di conflitto armato: convenzione dell’Aia del 14 maggio 1954. Regolamento d’esecuzione della convenzione, Berna, Dipartimento Federale dell’Interno,

1963

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Protezione dei beni culturali in casi di conflitto armato: convenzione dell’Aia del 14 maggio 1954. Regolamento d’esecuzione della convenzione, Berna, Dipartimento Federale dell’Interno,

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presente uno “stato di guerra” nell’accezione più letterale, ma in qualunque caso di conflitto armato o di occupazione bellica328.

Questa novità non è da trascurare o sottovalutare se si pensa che oggi, una tra le principali minacce al patrimonio culturale, è l’aumento dei conflitti etnici o delle guerre civili interne: queste guerre non solo non vengono tutelate dai tradizionali accordi interstatali in casi di conflitto, ma hanno molto spesso come obiettivo quello di saccheggiare o distruggere il patrimonio culturale della fazione avversaria.

Per quanto riguarda la circolazione dei beni durante i conflitti e la loro successiva restituzione, la Convenzione dà importanti indicazioni nel Primo Protocollo329 annesso alla stessa.

Il Primo Protocollo, all’articolo 1, sancisce l’obbligo, da parte di ogni Stato contraente, di impedire l’esportazione di beni culturali da un territorio nel corso di un conflitto armato e impone, inoltre, all’articolo 2, di porre sotto sequestro i beni culturali importati sul proprio territorio e provenienti da un qualsiasi altro territorio occupato330.

Per quanto riguarda la restituzione, invece, essa è obbligatoria al termine delle ostilità ed è specificato il divieto assoluto di trattenere i beni stessi a titolo di risarcimento per i danni subiti al termine del conflitto.

In realtà la Convenzione dell’Aja venne violata diverse volte come il bombardamento di Paphos, Cipro, nel 1974 e le operazioni militari attorno e

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Forrest Craig, Internationa law and the protection of cultural heritage, New York – London, Routledge, 2010

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La Convenzione dell’Aja è frutto di una Conferenza diplomatica che si concluse con l’adozione di tre documenti: la Convenzione, il Regolamento di esecuzione e un Primo Protocollo. Mentre la Convenzione e il Regolamento costituiscono un’unica cosa, il Primo Protocollo nasce come distinto Trattato Internazionale e , come tale, non vincola automaticamente gli Stati che si siano obbligati al rispetto della Convenzione, ma necessita di apposita ratifica.

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Primo Protocollo della Convenzione dell’Aja, 1954. Art. 1: ognuna delle Alte Parti contraenti

si impegna ad impedire l’esportazione, da un territorio occupato da un conflitto armato, di beni culturali quali sono definiti dall’articolo 1 della Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata all’Aja, il 14 maggio 1954; art. 2: ognuna delle Alte Parti contraenti si impegna di porre sotto sequestro i beni culturali importati sul suo territorio e provenienti direttamente o indirettamente da un qualsiasi territorio occupato. Il sequestro sarà pronunciato sia d’ufficio al momento dell’importazione, sia, in difetto di detto provvedimento, a richiesta delle autorità del territorio suddetto.

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all’interno del sito archeologico di Tiro tra il 1982 – 1983 durante il conflitto tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Libano331.

L’Iraq, inoltre, si rifiutò di porre bandiere con il simbolo della Convenzione all’interno dei propri siti archeologici spiegando che «questo simbolo può esser visto dagli aeroplani, non solo dai missili e dall’artiglieria, che attaccano le città Irachene senza nessuna eccezione332».

Durante il più recente conflitto nel Golfo Persico, sempre l’Iraq violò prepotentemente la Convenzione non solo nascondendo aerei da guerra nei siti archeologici di Ur, ma anche saccheggiando più di 30.000333 pezzi facenti parte della collezione di arte islamica del Museo Nazionale del Kuwait.

Le più eclatanti violazioni delle norme stabilite dalla Convenzione dell’Aja, però, si verificarono durante gli scontri in Jugoslavia quando lo Scudo Blu posto sui monumenti storici per protezione, venne in realtà usato come mirino di un bersaglio per scatenare ulteriormente la violenza in una guerra culturale e terroristica334.

I conflitti degli anni 1980 e 1990, quando la distruzione del patrimonio culturale divenne un elemento chiave nelle campagne di umiliazione per sottomettere opposti gruppi etnici335, forzarono la comunità internazionale a riesaminare la Convenzione dell’Aja che solo parzialmente si rivolgeva alle guerre interstatali.

Ne seguì, nel 1999, la stesura del Secondo Protocollo, entrato in vigore sul piano internazionale solamente il 4 marzo del 2004, il quale rafforzava la precedente Convenzione e tracciava delle misure preventive per la salvaguardia del patrimonio culturale da applicare in tempo di pace; queste

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G.E. Gorman and Sydney J. Shep, cit., p. 135

332

G.E. Gorman and Sydney J. Shep, cit., p. 136

333

G.E. Gorman and Sydney J. Shep, cit., p.137

334

G.E. Gorman and Sydney J. Shep, cit., p. 140

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includono la preparazione di inventari, la progettazione di piani d’emergenza per la protezione contro incendi o cedimenti strutturali, l’organizzazione di progetti in caso di rimozione di beni culturali mobili, il provvedere ad adeguate misure di protezione in situ di diversi beni e la designazione di autorità competenti responsabili della salvaguardia del patrimonio culturale336.

I suoi 47 articoli introducono numerose soluzioni, finalizzate a superare i limiti del testo del 1954 puntando in prima istanza a rafforzare gli strumenti di supervisione e controllo sulla concreta applicazione della Convenzione da parte degli Stati segnatari.

Tuttavia non interviene esplicitamente in merito alla questione della restituzione, né introduce nuovi obblighi circa la circolazione internazionale dei beni culturali, ma si limita semplicemente a ribadire il divieto di esportazione, rimozione e trasferimento illecito di beni.

Tra le innovazioni più significative, vi è la creazione di un organo con lo specifico compito di controllare l’applicazione della Convenzione: una delle principali lacune del testo del 1954 era, infatti, la mancanza di un simile organo, ma era previsto invece un sistema di controllo molto complesso e per niente adatto alle esigenze che richiedeva la tempestività di un intervento, che oltretutto individuava i soggetti preposti a questo compito all’esterno della Convenzione, oltretutto non preliminarmente ma solamente quando un Paese fosse già coinvolta in un conflitto armato337. Viene quindi creato il “Comitato per i Beni Culturali in caso di conflitto armato”, un’istituzione intergovernativa composta da 12 membri che garantiscono un’equa rappresentanza delle diverse regioni del mondo338. Nel Protocollo, infine, sono definiti con precisione i compiti del neonato

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Van Woudenberg Nout, Lijinzaad Liesbeth, Protecting cultural property in armed conflict: an

insight into the 1999 Second Protocol to the Hague Convention of 1954 for the protection of cultural property in the event of armed conflict, Boston, Martinus Nijihoff Publishers, 2010 337

Brocca Marco, cit.

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Zagato Lauso, La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato all’alba del Secondo

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Comitato ed è stabilito il ruolo del Segretariato Generale dell’UNESCO

come strumento operativo del nuovo organo339.

Il Protocollo, infine, apporta un grande miglioramento poiché obbliga i firmatari a lavorare sulla prevenzione dei danni bellici ai beni culturali anche durante i tempi di pace con l’auspicio di ottenere dei risultati più concreti rispetto a quelli ottenuti fino a quel momento.

IL COMITATO INTERNAZIONALE DELLO SCUDO BLU (ICBS)

Nel documento L'arte da salvare (pagine 138-143)