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III – L’ITALIA IN MISSIONE

Nel documento L'arte da salvare (pagine 90-95)

TRAFUGAMENTI E RESTITUZION

II. III – L’ITALIA IN MISSIONE

Inizialmente queste operazioni di recupero su suolo tedesco furono sotto la responsabilità del governo alleato, ma ben presto ci si rese conto che il lavoro da fare sarebbe stato di grande spessore e di conseguenza si capì quanto fosse necessaria una collaborazione anche con gli altri governi che in prima persona assistettero alle violenze operate contro il proprio patrimonio artistico.

Nel marzo 1945 il governo alleato, nella persona dell’ammiraglio Ellery W. Stone, acconsentì fosse nominato per l’Italia un ispettore tecnico nel campo delle belle arti, ruolo che a quel tempo sembrava ancora vacante, che si sarebbe occupato di conservare e rintracciare il patrimonio artistico italiano mancante.

L’allora Ministro della Pubblica Istruzione, Vincenzo Arangio Ruiz, decise alla fine del mese di convertire a questa finalità specifica la Commissione interministeriale per la difesa del patrimonio artistico nazionale attiva già dal novembre precedente.

Il 9 aprile si decise che Lionello Venturi sarebbe stata la personalità più adatta per gestire le suddette operazioni201.

Venturi nacque a Modena il 25 aprile 1885. A soli tre anni si trasferì con la famiglia a Roma per questioni lavorative del padre; qui nel 1907 si laurea alla facoltà di Lettere e Filosofia.

L’interesse per l’arte la eredita dal padre Adolfo che fu una personalità molto importante nel panorama degli studi dell’arte italiana: inizialmente venne nominato ispettore alla Galleria Estense occupandosi anche del riordino del museo e successivamente divenne funzionario delle Belle Arti dando un contributo molto importante per quanto riguarda la catalogazione del patrimonio artistico italiano.

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Rovati Federica, Italia 1945: il recupero delle opere d’arte trafugate dai tedeschi, in “ACME”, III, Settembre-Dicembre 2005

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Non c’è da stupirsi, pertanto, che Lionello, stimolato dagli interessi del padre ne abbia seguito le orme.

Iniziò la sua carriera come ispettore alle Gallerie di Venezia tra il 1909 e il 1910 per poi esser nominato, qualche anno più tardi direttore e soprintendente alla Galleria Nazionale di Urbino.

In seguito a questa breve parentesi nelle istituzioni museali, impostò la sua carriera nel ramo della docenza che svolse prevalentemente a Torino dove nel 1915 venne nominato professore straordinario.

Nel novembre del 1931 venne chiesto ai professori universitari di effettuare un giuramento di fedeltà al fascismo; ciò si inserisce pienamente nel processo di fascistizzazione delle istituzioni iniziato negli anni venti, ma che trovò massima espansione proprio nel decennio seguente.

Venturi, che non aveva mai appoggiato il pensiero fascista in parte anche per la visione autarchica del sistema, si rifiutò di prestare giuramento e conseguentemente perse la cattedra di docenza.

Perseguitato a seguito di questa decisione, nel 1932 decise di trasferirsi a Parigi dove continuò la sua attività culturale con la pubblicazione di opere e l’organizzazione di conferenze.

Successivamente nel marzo del 1939 partì per New York: inizialmente il suo intento era di trascorrervi solamente alcuni mesi, ma lo scoppio della guerra da un lato e la nomina di professore all’università di Baltimora dall’altro lo portarono alla decisione di rimanere; anche qui continuò la sua attività di ricerca e, contemporaneamente, anche la propaganda contro il regime che non aveva mai abbandonato.

Tuttavia nel 1944 con la liberazione di Roma, il governo decise di riammettere tutti quei docenti che erano stati licenziati in seguito al rifiuto di giuramento al Fascismo e Venturi decise di rientrare in Italia.

Nel febbraio 1945 gli venne assegnata la cattedra di Storia dell’arte moderna e medievale.

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Un mese più tardi, come si è già detto, venne coinvolto nelle operazioni di rimpatrio delle opere d’arte confiscate e trasportate in Germania nel corso della guerra.

Egli consegnò un piano di lavoro articolato organizzato in quattro punti202: - realizzare un catalogo di tutti gli oggetti rubati o asportati, ciascuno

dei quali doveva avere cinque fotografie rispettivamente per il Commissariato Italiano, per la Commissione Alleate e per i tre funzionari preposti al lavoro;

- entrare in contatto con la sezione delle Belle Arti della Commissione

alleata, con la Commissione di recupero delle opere d’arte delle nazioni Unite insediata a Londra, con l’autorità ecclesiastica e con le singole Soprintendenze italiane;

- seguire i movimenti di liberazione nell’Italia settentrionale;

- avere con assoluta certezza la possibilità di viaggiare in Germania e

nei Paesi neutrali dove si sospettava fossero le opere state trafugate. Il preventivo che Venturi presentò ammontava a 5 milioni: venne calcolato su un’attività supposta di quattro mesi e comprendeva l’acquisto di due auto, delle diarie, dei costi delle produzioni fotografiche e il trasporto degli oggetti ritrovati, mentre egli avrebbe lavorato a titolo completamente gratuito203.

In seguito ai primi risultati conseguiti dagli alleati, si ritenne che l’impresa fosse conclusa e il ministro sciolse Venturi dal suo incarico.

In realtà quello fu solo l’inizio dei ritrovamenti delle opere italiane.

All’interno di questa commissione, inoltre, operò anche il già citato Rodolfo Siviero che fu il più accanito nella lotta per il ritorno in patria delle opere d’arte nonché fautore della modifica dell’art. 77 del Trattato di Pace riuscendo così a stabilire il rimpatrio anche per quelle opere d’arte non

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Rovati Federica, cit., p. 268

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rubate, ma estorte con il ricatto e con la minaccia prima dell’8 settembre 1943.

Nel 1947, inoltre, Siviero venne posto a capo della missione diplomatica presso il governo militare alleato in Germania incaricata di restituire le opere d’arte presenti nei vari collecting points e si occupò personalmente del trasporto, dei mezzi da utilizzare e delle persone coinvolte in queste operazioni.

Quando le opere tornarono in Italia, il governo decise di celebrare il grande evento con una mostra organizzata a Roma e inaugurata il 9 novembre 1947, la quale conteneva principalmente le opere dei musei napoletani e quelle, provenienti da diverse città italiane, che vennero messe in protezione presso l’abazzia di Montecassino nel corso della guerra.

Alla cerimonia di inaugurazione presenziarono il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il Ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonnella, i membri del governo e del corpo diplomatico e il Generale Lucius Clay, governatore dell’area sotto il controllo americano in Germania204.

Nel discorso inaugurale Guido Gonnella, oltre a sottolineare come il rimpatrio di queste opere fosse il frutto di un lungo, segreto e pericoloso lavoro condotto durante e subito dopo la guerra in territorio nemico grazie alla cooperazione tra le forze armate alleate assieme a quelle italiane della liberazione, ci si pronunciò così riguardo la spoliazione sistematica da parte del nemico:

«La spoliazione del patrimonio artistico italiano faceva parte di un ben

architettato disegno politico.

L’umiliazione della civiltà latina nelle sue memorie, la distruzione o sottrazione delle testimonianze più certe del suo prestigio, l’annientamento dei documenti più eloquenti della cultura umanistica – come l’incendio

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Mostra delle opere d’arte recuperate in Germania, Ministero della Pubblica Istruzione, 1947,

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dell’Archivio di Stato di Napoli – parevano ai seguaci delle teorie di Rosenberg la condizione necessaria dello stabilimento del nuovo ordine razziale.

Soltanto sulle rovine della storia potevano innalzarsi i simboli pagani del mito della terra e del sangue».

E ancora:

«Il messaggio di bellezza e di verità, di solidarietà e di pace che questa mostra ci reca, non vuole offrire facili fughe dalle cure e dal dolore, quanto piuttosto motivi di come una speranza che solo la luce della vita può consacrare e salvare»205.

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Mostra delle opere d’arte recuperate in Germania, Ministero della Pubblica Istruzione, 1947,

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II. IV – VENEZIA: TRAFUGAMENTI E RESTITUZIONI

Nel documento L'arte da salvare (pagine 90-95)