di Maurizio Gentile
3. Cooperative Learning
Gli studiosi del Cooperative Learning convergono nel definire tale mo- dello come «un insieme di tecniche di conduzione della classe, nelle quali gli studenti lavorano in piccoli gruppi per attività di apprendimento e rice- vono valutazioni in base ai risultati conseguiti» (Comoglio, 1996, p. 262). L’elemento comune, che lega insieme applicazione, teorizzazione e indagini sperimentali, è l’idea che il rapporto interpersonale tra gli allievi, orga- nizzato attorno al principio d’interdipendenza positiva, può favorire l’ap- prendimento scolastico e lo sviluppo sia cognitivo che socio-affettivo degli studenti (Comoglio, 1998; Comoglio e Cardoso, 1996).
Il lavoro sistematico di sviluppo e ottimizzazione degli impianti e, al contempo, di verifica sperimentale degli effetti ha permesso, da un lato, di dare fondamento empirico alla metodologia (Slavin, 1995), e dall’altro, di essere riconosciuta come uno dei fattori che influenzano l’apprendi- mento scolastico (Hattie, 2009, 2012; Marzano, Pickering, e Pollock, 2001). Ciò che lega insieme applicazione, teorizzazione e indagini speri- mentali è l’idea che il rapporto interpersonale tra gli allievi, strutturato in chiave cooperativa, possa favorire l’apprendimento scolastico e lo svilup- po sia cognitivo che socio-affettivo degli studenti (Comoglio, 1996; 1998; Comoglio e Cardoso, 1996).
Questa modalità di conduzione della classe non ha alcun rapporto con i tradizionali gruppi di lavoro. I gruppi cooperativi si differenziano dai gruppi tradizionali poiché implicano, da parte dell’insegnante, un’elevata capacità di organizzare i compiti, di decidere dove inserire momenti di lavoro individuale e cooperativo, di predisporre attività per educare gli al- lievi all’uso delle competenze sociali, di selezionare i criteri e le modalità con cui valutare l’apprendimento dei singoli e del gruppo, di scegliere i cri- teri e le tecniche con cui formare i gruppi.
Dishon e O’Leary (1984) hanno descritto alcune delle caratteristiche che differenziano i gruppi tradizionali da quelli cooperativi. Nei primi è l’inse- gnante che esorta a stare insieme e a portare avanti il lavoro in collabora-
zione, mentre nei gruppi cooperativi sono le condizioni strutturali che spin- gono i membri a collaborare e che dettano le ragioni e i motivi per lavorare insieme. Tali condizioni si creano programmando attività nelle quali sono presenti una forte condivisione di risorse e di materiali, una condivisione di premi e incentivi, una condivisione dell’obiettivo, una distribuzione funzio- nale di ruoli e compiti.
È in questa configurazione di vincoli che le persone dei gruppi coope- rativi sperimentano che i propri esiti dipendono dai risultati dei compagni e viceversa. Inoltre, nei gruppi tradizionali il ruolo di leader è assegnato a una sola persona, mentre in quelli cooperativi tutti possono assumere fun- zioni di leadership secondo le attività e le situazioni in cui agiscono: tutti possono esercitare una leadership quando le situazioni lo richiedono o è necessario e appropriato farlo. Spesso si osserva che chi opera all’interno di un gruppo tradizionale è centrato soprattutto sul compito piuttosto che sulla relazione o sul mantenimento di un clima interpersonale positivo; infine, si constata che non hanno una chiara idea di come si può andare d’accordo e di che cosa implica lavorare insieme.
3.1. La diffusione in Italia del Cooperative Learning
Il Cooperative Learning ha una lunga storia di applicazioni e indagini sperimentali, di riflessione teorica e formazione in servizio dei docenti. I protagonisti del movimento sono i molteplici centri di ricerca e di for- mazione sparsi in diverse parti nel mondo: America del Nord, centrale e meridionale, Europa, Medio Oriente, Asia e Africa, Paesi del bacino del Pacifico.
In Italia, il Cooperative Learning è stato introdotto dal lavoro seminale del Prof. Mario Comoglio. Nel 1996 è stato istituito presso l’ISRE di Vene- zia il primo Centro di Ricerca sul Cooperative Learning (Comoglio, 1999). Il Centro riuniva docenti e ricercatori desiderosi, da un lato, di introdurre l’apprendimento cooperativo nelle classi italiane (Ellerani e Pavan, 1999; Maini, 1999; Mozzato, 1999), e dall’altro, di affiancare le scuole nella sperimentazione controllata della metodologia (Ellerani, Gentile e Pavan, 2000; Gentile, 1998; 2000; Gentile et al., 2002; Gentile e Pavan, 2013; Gentile e Ramellini, 1999; 2000).
La costituzione di un gruppo di ricerca fu un primo tentativo di realiz- zazione di un centro nazionale sul Cooperative Learning. Nel decennio successivo, grazie all’opera di ricerca e formazione svolta dal Prof. Pier- giuseppe Ellerani, presero corpo due iniziative complementari. La prima fu l’istituzione del Gruppo per l’Innovazione Scolastica (GIS) presso il Cen-
tro Servizi Didattici (CESEDI) di Torino6. Il GIS fu l’esito di un lungo per-
corso di formazione in servizio dei docenti, cominciato nell’anno scolastico 1997-98 per iniziativa del CESEDI, con il sostegno di Confcooperative e la partecipazione in qualità di formatore del Prof. Mario Comoglio. Qualche anno dopo, l’esperienza culminò nella costituzione di reti di scuole de- dicate alla sperimentazione di pratiche didattiche basate sul Cooperative Learning e su strategie d’insegnamento innovative. Nell’anno scolastico 2006-07 si costituisce il Gruppo per l’Innovazione con lo scopo di orga- nizzare corsi di formazione e offrire supporto alle scuole che decidevano di impegnarsi in percorsi di innovazione didattica in un’ottica di comunità di pratiche (Ellerani, 2015; Gentile, 2015).
La seconda iniziativa nacque dall’interesse di gruppi di docenti attivi in regioni come il Veneto e il Piemonte, i quali sentirono il bisogno di costituire una rete nazionale di riflessione sulle pratiche didattiche coope- rative. Nell’anno 2002 fu così costituita l’Associazione di Ricerca Italiana sull’Apprendimento Cooperativo (ARIAC)7. L’Associazione conta gruppi
di docenti attivi in Puglia, Emilia Romagna, Piemonte, Liguria e Veneto. Uno dei temi d’interesse di ARIAC sono le politiche scolastiche, nella misura in cui queste hanno incidenza sulla professione insegnante e l’in- novazione didattica.
Recentemente il Cooperative Learning è stato introdotto in tutte le scuole del primo ciclo del Comune di Prato (Gentile et al., 2014). Come ricordato nell’Introduzione, l’iniziativa parte da un progetto di ricerca-in- tervento finanziato dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani, sostenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, coordinato dal Comune di Prato, in collaborazione con la Cooperativa sociale Pane&Rose. Grazie a tre anni di sperimentazione, è stato elaborato un modello educativo che integra i principi e le tecniche del Cooperative Learning con i principi e le tecniche della Facilitazione Linguistica. Tale integrazione ha gettato le basi per una didattica interculturale e inclusiva a classe intera, secondo l’i- potesi che l’inclusione scolastica si attua mediante un lavoro didattico svol- to all’interno della classe curricolare ed eterogenea. Di questo si discuterà ampiamente negli ultimi due capitoli del volume.
3.2. Che cosa rende i gruppi cooperativi
Con il Cooperative Learning il docente limita l’utilizzo della lezione frontale a favore di attività che danno responsabilità agli alunni nel compi-
6. Per maggiori dettagli si consulti il sito web: www.apprendimentocooperativo.it. 7. Per maggiori dettagli si consulti il sito web: www.ariac.eu.
to di apprendere (Ames, 1984b; Comoglio, 1996). Tale metodologia si può definire come un insieme di strategie didattiche che guidano i docenti nella strutturazione delle attività di piccolo gruppo.
Come ampiamente discusso nei precedenti paragrafi, l’interdipendenza positiva determina una situazione di apprendimento cooperativo. Il prin- cipio di interdipendenza è rafforzato dal concetto di responsabilità per- sonale. Entrambi i principi possono promuovere la capacità dei docenti di impostare attività didattiche in apprendimento cooperativo.
L’interdipendenza positiva è il fattore più rilevante di una didattica co- operativa. Abbiamo visto gli effetti molteplici sull’apprendimento ma non abbiamo ancora affrontato il tema della sua strutturazione nella didattica. L’interdipendenza positiva esiste quando gli studenti comprendono che il raggiungimento di uno scopo richiede cooperazione tra loro ed esige impegno da parte di tutti (Comoglio, 1998). La responsabilità personale è una conseguenza dell’interdipendenza positiva. La responsabilità persona- le è l’impegno offerto da una singola persona per il raggiungimento di un obiettivo di gruppo. È proprio l’impegno personale a rendere efficace la cooperazione.
Affinché vi sia responsabilità è bene che ogni studente abbia chiari i compiti e i ruoli da svolgere, ma soprattutto percepisca che le valutazioni che lui otterrà saranno influenzate dai voti dei compagni e viceversa. La responsabilità personale può essere ottenuta impostando una condizione di interdipendenza, e verificando il risultato raggiunto dai singoli membri in termini di completamento del compito assegnato o di risultati ottenuti. In quest’ottica la responsabilità personale è l’effetto di una struttura di interdipendenza positiva. In altre parole, tanto più l’attività didattica è as- sociata a scopi misurabili, a criteri di valutazione espliciti, a compiti che implicano necessariamente il contributo di più soggetti per essere com- pletati, quanto più si creerà una condizione utile a favorire l’impegno e i risultati scolastici.
Esistono due forme di interdipendenza positiva in grado di favorire l’im- pegno individuale durante un’attività didattica. Comoglio (1998) propone una duplice classificazione secondo un principio di oggettività e soggetti- vità. Nel primo caso la natura del compito è tale che, per raggiungere un obiettivo, il legame con altri è necessario e fondamentale. Lo scopo e i compiti sono superiori, per complessità o condizioni in cui si opera, alle capacità di un singolo individuo. Nel secondo caso, ogni singolo studente sente di essere “legato a”, di “avere un rapporto con”. Oltre a questo primo livello di distinzione, si possono individuare dieci tipologie specifiche d’in- terdipendenza, che si rivelano utili poiché possono guidare i docenti nella conduzione di attività cooperative. La Tabella 1 riporta un elenco di tali tipologie e le rispettive definizioni.
Tab. 1 - Tipologie d’interdipendenza e singole definizioni
1. Scopo Gli studenti lavorano insieme per raggiungere un risul-