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di Maurizio Gentile

4. Metodi cooperativi e recenti svilupp

4.4. Lo Student Team Learning e il modello Success for All

Lo Student Team Learning può essere applicato al contenuto di qualsi- asi disciplina purché vi sia, da un lato, la possibilità di preparare prove di

verifica settimanali, e dall’altro, la disponibilità a selezionare o costruire materiali didattici ad hoc (Gentile, 1998).

Slavin (1988, 2014) sostiene che la cooperazione promuova un migliore rendimento scolastico per effetto dell’intervento di variabili motivazionali. Una di queste è l’attesa di migliorare i propri punteggi e quelli del gruppo. Tale miglioramento è sempre associato alla possibilità di ricevere premi e gratificazioni. Basare la valutazione sul miglioramento significa sancire quanto di meglio lo studente e il suo gruppo hanno saputo ottenere rispetto alla prova precedente. In ragione di ciò, il metodo si è caratterizzato per un’attenzione alla valutazione, alla comunicazione degli esiti delle prove, all’offerta di premi e ricompense per i risultati raggiunti individualmente e in gruppo (Gentile, 1998).

Tre le variabili che possono creare un intreccio positivo tra cooperazione di piccolo gruppo, motivazione ad apprendere e rendimento scolastico.

1. Ricompensa di gruppo. Per ricompense di gruppo s’intende l’attribuzione di un voto al risultato ottenuto dal gruppo e il conseguente riconoscimento che dà visibilità sociale a ciò che il gruppo ha saputo ottenere. Il voto di gruppo è costituito dalla somma dei punteggi dei singoli membri calcolati secondo il criterio del miglioramento individuale (Comoglio e Cardoso, 1996). I premi possono essere di natura immateriale – tali come celebrazione in gruppo del successo, complimenti e lodi dell’insegnante, gratificazioni, ecc. – e mate- riali – ad esempio diplomi, figurine, braccialetti, magliette, cappelli, ecc. 2. Ricompensa individuale. Per ricompensa individuale s’intende una gra-

tificazione ricevuta in rapporto al miglioramento che ciascuno è riuscito a conseguire rispetto alla verifica precedente. Non tutti i ragazzi partono con un medesimo livello di abilità e pari conoscenze. È giusto ed equo es- sere comparati con se stessi piuttosto che con i compagni. Durante la co- municazione dei risultati si cerca di enfatizzare i miglioramenti che i singoli studenti hanno ottenuto rispetto alla prova precedente (Gentile, 1998). 3. Responsabilità individuale di successo. Il gruppo non è un’occasione per

lavorare meno. Il successo finale, sia del gruppo sia del singolo, dipenderà da quanto quest’ultimo sarà capace di contribuire al conseguimento di ri- sultati positivi. Ciascun studente è chiamato a impegnarsi per favorire non solo il proprio apprendimento, ma anche quello degli altri.

L’enfasi su queste tre variabili ha fatto si che il metodo sia stato appli- cato in scuole con una consistente presenza di alunni demotivati, di scarso rendimento scolastico, e con difficoltà croniche accumulate nell’apprendi- mento della lingua madre e della matematica (Slavin, 1999; 2008). Il meto- do contribuisce a creare un ambiente di apprendimento che permette a ra- gazzi con diversi livelli di abilità e appartenenti a diversi ambienti sociali, di raggiungere risultati importanti e di trovare motivazioni per migliorare il proprio rendimento scolastico.

Nello Student Team Learning, gli studenti più dotati interagiscono con compagni che hanno un rendimento inferiore in un certo periodo scola- stico. La concezione del successo e del fallimento è provvisoria: alcune verifiche e lavori possono andare bene, altre meno. Questo, tuttavia, non costituisce motivo di vergogna o disagio. Il metodo offre agli alunni mol- teplici opportunità di apprendimento e di riuscita. La strutturazione attenta dei compiti, infine, facilita l’acquisizione e l’applicazione successiva delle conoscenze.

Il docente che individua nello Student Team Learning un metodo adatto alla propria realtà scolastica, dovrebbero porre attenzione ai seguenti ele- menti (Comoglio e Cardoso, 1996; Gentile, 1998):

a) scegliere i contenuti da presentare, preparare spiegazioni di non più di un’ora e selezionare gli strumenti e le attività mediante le quali svolgere la spiegazione;

b) decidere la numerosità e i criteri di formazione dei gruppi in modo tale che siano rappresentati almeno tre livelli di rendimento scolastico (alto, medio, basso), il sesso degli alunni, il livello delle abilità scolastiche;

c) decidere i tempi, i materiali, le sequenze di istruzione e le attività da far svolgere agli allievi durante il lavoro di gruppo;

d) decidere mediante quali strumenti e quali contenuti verificare l’apprendi- mento degli studenti durante le settimane di lavoro;

e) applicare i metodi di correzione dei risultati che implicano il calcolo del punteggio di base minimo, della votazione di gruppo e del punteggio di miglioramento;

f) decidere le modalità di comunicazione pubblica dei risultati predisponen- do bacheche per l’affissione delle tabelle dei punteggi, schede di anda- mento individuale e cartelloni di gruppo con l’obiettivo principale di enfa- tizzare i miglioramenti ottenuti da ciascuno studente e quelli che ha fatto raggiungere al gruppo.

All’inizio degli anni ’80, si è avuta una prima evoluzione dello Student Team Learning (Slavin, 2008). Sebbene i docenti partecipassero con un grado elevato di coinvolgimento ai seminari di formazione, l’applicazione delle strategie cooperative ai curricoli non era immediata. Si osservava che, una delle difficoltà maggiori era di adattare i materiali didattici e i libri di testo alle attività cooperative. Furono ideate, così, due nuove strate- gie: il Team Accelerated Instruction, per l’apprendimento della matematica (Slavin, Madden e Leavey, 1984), e il Cooperative Integrated Reading and Composition per lo sviluppo della competenza di lettura-comprensione e di scrittura (Stevens et al., 1987; Stevens e Slavin, 1995). Entrambe ri- chiamano il principio base che caratterizza il metodo: i gruppi ricevono riconoscimenti e ricompense sulla base del rendimento scolastico ottenuto dai singoli membri e non su un unico prodotto realizzato dal gruppo. Nel

rapporto tra risultati individuali e scopi di gruppo si salda la relazione tra interdipendenza positiva e responsabilità personale (si veda il par. 3.2). Gli estensori del metodo avvertirono, dunque, la necessità di combinare le stra- tegie cooperative con i contenuti curricolari, con lo scopo di proporre per- corsi didattici comprensivi di metodo e contenuto. In altre parole, dei veri e propri curricoli operativi.

Alla fine degli anni ’80, il distretto scolastico di Baltimora chiese al gruppo di ricerca coordinato da Robert Slavin, di creare un modello che assicurasse a tutti gli alunni pari opportunità di successo. Per rispondere a tale richiesta, i ricercatori avviarono una serie di studi sull’efficacia dei programmi educativi finalizzati al successo scolastico di alunni a rischio (Slavin, 2008). Il Cooperative Learning si arricchì di nuovi elementi. Il tutto sfociò nel modello Success for All. Il modello nasce con lo scopo di incrementare le probabilità di successo di alunni a rischio che frequenta- no scuole inserite in contesti sociali caratterizzati da alti tassi di povertà. Secondo quanto affermato da Slavin (2004), tale probabilità può essere influenzata da un insieme di molteplici elementi:

a) garantire un supporto e lo sviluppo professionale continuo degli attori sco- lastici;

b) applicare strategie didattiche efficaci tra cui il tutoraggio tra pari;

c) dare spazio ed enfasi alle attività cooperative nell’apprendimento della matematica e della competenza di lettura-comprensione;

d) organizzare la scuola secondo il modello di una leadership distribuita; e) aiutare la famiglia, mediante uno staff dedicato, nell’educazione dell’alun-

no per quanto riguarda lo studio a casa, la frequenza scolastica, la gestio- ne del comportamento, l’alfabetizzazione dei genitori;

f) dare enfasi allo sviluppo del linguaggio, delle capacità potenziali e del concetto di sé nella scuola dell’infanzia;

g) valutare i progressi degli alunni nella lettura-comprensione dopo ogni otto settimane di scuola.

A ben vedere, l’approccio si configura in termini molto ampi, tanto da poter essere visto più come un modello educativo integrato. La didattica cooperativa non gioca un ruolo esclusivo. Essa è combinata con fattori, di natura sia educativa e sia organizzativa, interni ed esterni alla scuola (Slavin et al., 2009). Negli USA il modello è stato diffuso in 1200 scuo- le, tra elementari e medie, distribuite in 47 Stati (Slavin, 2008). Nel Re- gno Unito, la diffusione ha avuto inizio al termine degli anni ’90: Succes for All è praticato in più di 100 scuole dell’Inghilterra, della Scozia e del Galles.