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Thomas Elsaesser e Malte Hagener nella loro Teoria del film hanno organizzato l'analisi delle teorie cinematografiche in modo particolare. Se scorriamo l'indice del saggio ci accorgiamo che i due autori si sono approcciati all'oggetto della loro indagine raggruppando le proprie osservazioni come se considerassero il cinema dotato dei cinque sensi: i capitoli si intitolano infatti Specchio e volto, Occhio e

sguardo, Pelle e contatto, Orecchio e suono, Mente e cervello. Nel libro vengono

ricapitolate le teorie più significative sul cinema insieme alle interessanti riflessioni degli autori che fungono da collante. Prima dei capitoli "sensoriali", tuttavia, troviamo le sezioni Finestra e cornice, Porta e telo, gli elementi liminari del cinema e che quindi, posti all'inizio, determinano la conformazione del corpo-cinema. Immediatamente viene richiamata alla memoria del lettore il film La finestra sul

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cortile di Alfred Hitchcock, in quanto lo spettatore viene rappresentato

metaforicamente all'interno del testo filmico attraverso la figura del protagonista, il fotografo L. B. Jefferies, che costretto alla convalescenza dopo un incidente osserva dalla finestra di casa propria, con l'ausilio di un binocolo, quanto avviene negli appartamenti del condominio di fronte. Il fotografo, proprio come lo spettatore al cinema, non può fare altro che osservare dalla posizione in cui si trova: il cinema quindi, in questa immagine simbolica, è una finestra e consta di «una visione (in genere) rettangolare, la quale sembra venire incontro alla curiosità visiva dello spettatore»148.

Tuttavia lo spettatore guarda anche all'interno dello schermo, viene proiettato nella storia raccontata, legittimando così anche l'analogia dello schermo con la cornice, poiché la cornice presuppone un quadro, un contenuto che si trova in uno spazio delimitato. La demarcazione dello schermo concepito come finestra o cornice, osservano i due autori, influenza il modo di fare e di vedere il cinema: nel primo caso il narratario nella sala osserva senza intervenire e il contenuto del film viene presentato in maniera trasparente; nel caso della cornice invece la visuale si apre su un mondo chiuso, circoscritto, in cui lo spettatore viene catapultato. «La forma chiusa è centripeta e tende verso l'interno, il mondo nella sua totalità termina ai confini della cornice visiva. La forma aperta è invece centrifuga e tende all'esterno, la cornice (come finestra) rappresenta piuttosto una porzione modificabile di un mondo potenzialmente sconfinato»149, che potrebbe continuare

148 T. ELSAESSER, M. HAGENER, Teoria del film, trad. it. di F. DE COLLE e R. CENSI, Einaudi, Torino

2009, p. 4

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ad esistere indipendentemente dalla macchina da presa. Il film che propone un mondo potenzialmente reale chiaramente avvicina la storia raccontata alla realtà dello spettatore. Rudolf Arnheim riteneva fondamentale peculiarità del cinema la distanza fra il modo in cui si mostra il film e la percezione quotidiana dello spettatore. Perciò nel saggio Bellezza muta e disturbo sonoro boccia l'introduzione del sonoro nell'immagine che scorre, proprio perché a quel punto il film somiglia troppo alla realtà, accorciando il distacco dall'illusione - tale posizione non manca di ricordarci quella molto simile di Pirandello, esposta nel saggio Se il film parlante

abolirà il teatro, precedente di qualche anno.

Secondo Ejzenštejn la cornice e l'oggetto filmico rappresentato generano una tensione produttiva: «il punto di ripresa, in quanto materializzazione del conflitto tra la logica organizzativa del regista e la logica inerte dell'evento, è una forma di conflitto che manifesta la dialettica dell'angolazione cinematografica»150. Il regista deve così sostanzialmente scegliere ed organizzare le inquadrature, operazione che Ejzenštejn ritiene di vitale importanza nel proprio pensiero cinematografico, ovvero il montaggio. Secondo André Bazin, sostenitore del neorealismo italiano, l'autore deve assumere nei confronti del proprio materiale un atteggiamento tale da schiudere una finestra su una realtà preesistente o su una data situazione storica. Dopo aver ragionato sull'osservazione del film da una finestra o all'interno di una cornice, i due autori si soffermano sui termini porta e

telo per determinare quale sia la soglia del cinema. La teoria filmica ha da sempre

cercato di formulare in modo sistematico quando comincia l'ingresso dello

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spettatore nell'illusione del mondo diegetico. Innanzitutto il limite fisico e materiale da considerare è proprio quello dello schermo, parola della quale i due autori forniscono una breve etimologia facendoci notare che designa prima una protezione e solo successivamente, coll'avvento del cinema, anche un accesso a qualche cosa d'altro. Il telo del cinema presenta un significato marcato rispetto a quello più comune, stravolgendolo anzi quasi nel suo contrario, trasformandosi in un pertugio. Lo spettatore però non viene proteso nel film di punto in bianco: ad accompagnarlo nell'illusione ci sono i paratesti, ovvero cartelloni pubblicitari, trame di presentazione on line, titoli di testa.

Gli autori utilizzano una parola del lessico genettiano perché in effetti tutti questi elementi rappresentano una zona di transizione, di passaggio, come un atrio tra un ambiente ed un altro. «I paratesti mediano quindi fra il testo vero e proprio e il suo esterno, e insieme costituiscono per la maggior parte degli spettatori la soglia, ossia il luogo dell'entrata e dell'uscita, e stringono un contratto comunicativo fra spettatore e testo»151. Dalla realtà lo spettatore fa il suo ingresso nel testo filmico solo dopo aver affrontato precedentemente i paratesti che lo circondano, più o meno stratificati e distribuiti nello spazio e nel tempo, scegliendo di farsi narratario e accettando il punto di osservazione che si troverà ad occupare nella sala. Per quanto tutte queste operazioni siano ormai inconsce e abituali, si ritiene interessante l'individuazione degli elementi comunicativi che ruotano attorno al film: il testo filmico, il narratario, il paratesto.

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