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Il racconto diventa il fattore decisivo nella costruzione di un simulacro di realtà. In questo senso, il racconto è il più grosso responsabile della dimensione di apparenza

che domina sullo schermo. Tuttavia il cinema, sposando la narrazione, trova in essa

anche qualcosa d'altro. Infatti il racconto non porta solo il mondo reale a diventare nel

film un'inefficace illusione; [...] è anche l'ambito di un vero e proprio discorso133.

Casetti afferma che il cinema è palesemente illusione, dunque non può riuscire ad illudere del tutto; ma il racconto di cui si è appropriato permette anche un discorso, offre l'opportunità di «dimostrare che quanto appare sullo schermo non è la realtà ma una sua riformulazione»134. Abbiamo già visto nel breve capitolo introduttivo che Casetti considera l'oggetto filmico come un testo, un discorso intessuto con un linguaggio complesso e composto da una molteplicità di codici, tra cui quelli visivi, sonori, grafici, sintattici, tecnologici135. Casetti riprende la teoria di Metz sulla semiotica del film e ne trae un'osservazione importante per quanto riguarda la poliedricità del cinema.

Il linguaggio cinematografico è una realtà a due facce; per un verso è un insieme di

codici specifici (ciò che fa del cinema il cinema, e solo quello), per l'altro invece è l'insieme di tutti i codici che vengono messi in opera per costruire il film (ciò che

rientra nel cinema, anche proveniendo da altrove); insomma, è un nucleo duro e puro, e nello stesso tempo un aggregato di elementi diversi. Con questo, tutte le vecchie

ansie di definire il cinema una volta per tutte, distinguendolo dagli altri mezzi e dalle altre arti, vengono a cadere: ciò che lo caratterizza non è questo o quel tratto, ma un

133 F. CASETTI, Teorie del cinema (1945 - 1990), Bompiani, Milano 1993, p. 73; corsivo dell'autore 134

Ivi, p. 79

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insieme ordinato di codici che nel suo nucleo centrale gli appartiene in esclusiva,

mentre nelle sue zone periferiche lo connette al resto del territorio136.

La soluzione secondo Casetti dunque sta proprio nella natura ibrida del cinema, nell'accettazione della molteplicità di elementi che lo costituiscono, come si auspica Bisoni, senza negare una specificità propria. Anche Valentina Re riflette sulla complessità narrativa del cinema.

L’analyse «du film» n’ait jamais donné puor acquise son objet, et n’ait jamais idientifié

son objet avec le film stricto sensu, […] l’objet-cinéma est costamment redéfini. […].

Disposée [la forma-film], dans un contexte d’amples transformations des pratiques productives, distributives et de consummation, côte à côte avec une grand quantité de

forms textuelles et d’expériences médiales en partie inédites, la forme-film semblerait

perdre de son importance stratégique, sa particularité de lieu privilégié d’où observer le cinema (et le monde) contemporain137.

La studiosa osserva che la natura multiforme del cinema è composta anche da elementi digitali e informatici, ponendo l’accento sull’evoluzione di un mezzo di per sé ibrido e sull’assenza di una definizione univoca dell’oggetto-cinema. La Re parla inoltre di forma-film, focalizzando dunque il film come un modo, non come contenuto in sé del cinema. Casetti in Teorie del cinema riprende il concetto di testo filmico già individuato in Analisi del film, definendolo positivamente come

136

CASETTI, Teorie del cinema, op. cit., p. 155

137 V. RE, Introduction. Une approche «relationiste», in Cinéma&Cie, Vol. XII, n. 18, primavera 2012,

pp. 13-14; corsivo dell’autrice – L’analisi «del film» non ha mai dato per acquisito il suo oggetto e non ha mai identificato il suo oggetto con il film stricto sensu […] l’oggetto-cinema è costantemente ridefinito [...]. Disposta [la forma-film] in un contesto di ampie trasformazioni di pratiche produttive, distributive e di consumazione, fianco a fianco con una grande quantità di forme testuali e mediali in parte inedite, la forma-film sembrerebbe perdere la sua importanza strategica, la sua particolarità di luogo privilegiato da cui osservare il cinema (ed il mondo) contemporaneo.

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«un'entità coerente, compiuta e comunicativa»138, riconoscibile dal discorso attorno al quale si articola, al pari di altri discorsi che si presentano nel tessuto sociale: possiede un inizio e una fine, uno sviluppo imperniato su un tema centrale, veicola un senso. La testualità della pellicola cinematografica, primo corollario del discorso filmico, implica un contenuto, nella fattispecie del film un'unità narrativa; il film si può leggere perché «il film, come il libro, è il luogo di una scrittura»139. Nel Nuovo

discorso del racconto di Gérard Genette tuttavia leggiamo:

il y aurait donc apparemment place pour deux narratologies : l’une thématique […],

l’autre formelle, ou plutôt modale : analyse du récit comme mode de « représentation » des histoires, opposé aux modes non narratifs comme le dramatique, et sans doute

quelques autres hors-littératures. Mais il se trouve que les analyses de contenu,

grammaires, logiques et sémiotiques narratives, n’ont guère jusqu’ici revendiqué le terme de narratologie, qui reste ainsi la propriété (provisoire?) des seuls analystes du

mode narratif. Cette restriction me paraît somme toute légitime, puisque la seule spécificité du narratif réside dans son mode, et non dans son contenu, qui peut aussi

bien s’accommoder d’une « représentation » dramatique, graphique ou autre140.

Dunque non il modo si adatta a vari tipi di rappresentazione, ma il contenuto: uno stesso "soggetto" o storia può essere raccontato, diventare un soggetto figurativo,

138

CASETTI, Teorie del cinema, op. cit., p. 159

139 Ivi, p. 234 140

GENETTE, Nouveau discours du récit, Seuil, Parigi 1983, pp. 12-13, cit. in RE, op. cit., p. 10 - Ci sarebbe dunque posto per due narratologie: una tematica [...], l'altra formale, o meglio modale: analisi del racconto come modo di «rappresentazione» delle storie, opposto ai modi non narrativi come il drammatico, e senza dubbio alcuni altri di carattere extra-letterario. Ma si dà il caso che le analisi di contenuto, grammatiche, logiche e semiotiche narrative, non hanno fino a qui rivendicato il termine di narratologia, che resta così di proprietà (provvisoria?) delle sole analisi del modo narrativo. Tale restrizione mi pare del tutto legittima, poiché la sola specificità del narrativo risiede nel suo modo, e non nel suo contenuto, che può altrettanto bene accomodarsi ad una «rappresentazione» drammatica, grafica o altra.

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essere drammatizzato, e così via. In questo passo Genette sostiene che compito della narratologia è occuparsi del modo narrativo; si potrebbero istituire altre narratologie, ma l'unica esistente per ora è quella che si occupa dei testi narrativi. Tuttavia quando il contenuto, ovvero la storia raccontata, può essere comunicato di volta in volta con modalità diverse, si è proprio di fronte a una variazione della narrazione. Se il contenuto è una narrazione, e in quanto tale presenta un discorso attorno al quale si articola, allora la modalità è uno stile, che può cambiare a seconda degli strumenti adottati. La fiaba del Pifferaio magico dei fratelli Grimm è stata raccontata in forma scritta, musicata, drammatizzata e tradotta su pellicola: lo stesso contenuto ha conosciuto quindi diverse modalità narrative. Per quanto riguarda le differenze tra mimesi e diegesi si è già detto nel capitolo di premessa che non vengono qui considerate due forme differenti ed antitetiche, bensì costituiscono due modi spesso tangenti fra loro e che arricchiscono lo stile del testo a seconda della loro più o meno profonda compenetrazione.

Casetti in Analisi del film arriva a distinguere tre tipi di scrittura, in cui si possono riconoscere differenti categorie stilistiche. La scrittura classica si distingue per scelte registiche e di ripresa all'insegna della neutralità e dell'omogeneità, per cui sono pressoché assenti fattori di discontinuità, mentre sono rigorosamente rispettati i ruoli di narratore e narratario, senza possibilità di confusione. La scrittura barocca è quella propria dei film che presentano una certa coerenza, ma che utilizzano tecniche sperimentali. In questo caso si osservano opzioni marcate, estreme, legate tra loro dall'organicità complessiva. La terza scrittura infine è quella moderna, caratterizzata dalla disomogeneità e dalla più accentuata marcatura delle

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scelte espressive. Siamo nella tipologia stilistica per la quale la parzialità dei punti di vista viene esasperata, è reso manifesto l'aspetto tecnico del montaggio, la sintassi viene frazionata o se ne scoprono i meccanismi. La mediazione linguistica si svela per se stessa, ad esempio nella diacronia tra suono e immagine, tecnica molto usata per esempio da Godard. Queste tre tipologie stilistiche possono mescolarsi nella produzione di un film, generando quindi scritture più complesse.