Sostenere la narratività del cinema accostandolo alla letteratura potrebbe non suscitare approvazione, data la distanza tra le due modalità artistiche. Claudio Bisoni nel suo saggio per Cinéma&Cie riflette sulla difficoltà che presentano le teorie cinematografiche a trovare punti di contatto con l'estetica analitica, in particolare di recente non pare abbiano considerato utilmente le trattazioni di Gérard Genette, «in cui gli studi filmici hanno tradizionalmente mostrato poco interesse»122, eccetto alcuni tra cui Casetti come abbiamo visto.
Film aesthetics does hardly revolve around the role that cinema occupies in a general
system of art. [...] To film theorists a concept like intertextuality is understood only as
an "aesthetic" figure, rather than the acknowledgment by criticism and theory that
meaning is not a function of textual interiority, but is constituted in a complex web of different practices and institutions123.
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Espressione coniata da CINQUEGRANI, op. cit., p. 9
122
C. BISONI, Cinema within the aesthetic relation: film studies and Gérard Genette's art theory, in
Cinéma&Cie, Vol. XII, n. 18, primavera 2012, p. 91 - in which film studies have traditionally shown
little interest.
123
Ivi, p. 92 - L'estetica cinematografica difficilmente è imperniata attorno al ruolo che il cinema occupa in un sistema generale delle arti. [...] Dai teorici del film un concetto come l'intertestualità è compreso solo come una figura "estetica", piuttosto che come riconoscimento da parte della critica e della teoria che il senso non è una funzione dell'interiorità testuale, bensì è costituito da una complessa rete di diverse pratiche ed istituzioni.
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Eppure il cinema deve alla letteratura le sue prime pellicole articolate attorno ad una trama, in quanto nel suo sviluppo proprio verso una configurazione estetica la settima arte necessitava di contenuti: «quale bacino migliore di storie si poteva trovare se non la tradizione letteraria, che da sempre non faceva che inventare intrecci e raccontare destini?»124. Il primo legame fra le due arti è dunque positivo e si configura come una dipendenza del cinema dalla letteratura, sia perché il cinema nasce quando la letteratura ha alle spalle secoli di consolidata tradizione, ma anche e soprattutto perché il cinema per evolvere ha bisogno proprio di ciò di cui la letteratura si è sempre occupata. Tuttavia l'autonomia culturale del cinema viene da subito rilevata sin dai dibattiti tra i primi critici cinematografici, i quali si confrontano per cercare di comprendere fino a che punto l'opera di riferimento possa influenzare la resa cinematografica della storia raccontata. Si nota già a partire dagli anni Venti, infatti, che i tempi della narrazione letteraria non sono efficaci per la produzione di un film, anzi sembrano danneggiare l'operazione traduttiva dal libro alla pellicola cinematografica.
La diversità dei due linguaggi artistici portò quasi subito alla rottura l'affinità iniziale che aveva permesso un primo vincolo. La dignità estetica del cinema necessitava di una leggittimata autonomia dalle arti a cui era debitore, ovvero fotografia, letteratura e teatro: Gabriele d'Annunzio contribuì ad avviare quel processo che avrebbe portato il cinema alla sua autodeterminazione culturale. «D'Annunzio riconosce al cinema un potenziale dirompente nella cultura e nella
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società»125 che fino a quel momento non era stato intravisto, ma soprattutto sposta l'ago della bilancia a favore dell'arte emergente. Sebbene il progetto non si concretizzò in una pellicola cinematografica, D'Annunzio produsse una sorta di sceneggiatura che si intitolava L'uomo che rubò la Gioconda, sviluppata attorno ad un fatto realmente avvenuto, ovvero la misteriosa scomparsa della Gioconda dal Louvre nell'estate del 1911. Il merito di questo tentativo dannunziano sta nell'aver compreso che si doveva intraprendere una scrittura diversa, adeguata al nuovo mezzo. Verga invece incontra delle difficoltà nell'apportare delle modifiche alla
Cavalleria rusticana per una trasposizione filmica; tuttavia comprende «che la
rappresentazione cinematografica ha altre esigenze di quelle [letterarie]»126 e riesce a collaborare con la casa cinematografica Tepsi Film.
Il mondo degli scrittori insomma comincia fin da subito a fare i conti con questo nuovo strumento espressivo e vi si approccia in modo sperimentale, come richiede la novità dell'opportunità artistica. Pirandello è particolarmente emblematico come figura intellettuale italiana dell'epoca, poiché rappresenta sia lo scrittore di romanzi e novelle, sia l'autore di teatro. Innanzitutto i Quaderni di
Serafino Gubbio operatore sono già una testimonianza di come il cinema inizi a
diffondersi nell'immaginario collettivo e a costituire un soggetto narrativo. Pirandello in questo romanzo, come è risaputo, riflette sulla meccanizzazione della produzione artistica dovuta proprio all'uso della camera, che costringe ad inframmezzare la recitazione attoriale a seconda delle scene da girare e ad adattarla all'esigenza tecnica dell'inquadratura. Inoltre nei saggi Contro il film parlato e Se il
125
Ivi, p. 16
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film parlante abolirà mai il teatro Pirandello sostiene la necessità per il cinema di
mantenersi distante dalla letteratura e dal teatro.
L'errore fondamentale della cinematografia è stato quello di mettersi fin dal primo
principio [...] su una strada a lei impropria, quella della letteratura (narrazione o dramma). Su questa strada si è trovata per forza in una doppia impossibilità e cioè: 1)
nell'impossibilità di sostituire la parola; / 2) nell'impossibilità di farne a meno. E con
questo doppio danno: 1) un danno per sé, di non trovare una sua propria espressione libera dalla parola (espressa o sottintesa); / 2) un danno per la letteratura, la quale,
ridotta a sola visione, viene per forza ad averne diminuiti tutti i suoi valori spirituali,
che per essere espressi totalmente hanno bisogno di quel più complesso mezzo espressivo che è loro proprio, cioè la parola127.
È interessante notare anzitutto il raggruppamento della narrazione e del dramma all'interno della letteratura, che qui rideterminiamo; infatti la letteratura e il dramma appartengono alla categoria comprensiva della narrazione, in quanto rappresentano modalità diverse che hanno però lo stesso scopo diegetico di veicolare un testo narrativo. Ad ogni modo si capisce bene da queste frasi cosa possa essere stata l'«ambivalenza affettiva» che legava letteratura e cinema. Secondo Pirandello il nodo della questione è l'usurpazione del linguaggio e al contempo l'incapacità di farne a meno, poiché con l'introduzione del sonoro il cinema si appropria della parola. Dal punto di vista di Pirandello «le immagini non parlano; si vedono soltanto; se parlano, la voce viva è un contrasto insanabile con la loro qualità di ombre e turba come una cosa innaturale che scopre e denunzia il
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meccanismo»128. In un'intervista del 1933 Ramón Del Valle-Inclán sostiene che per la rinascita del teatro spagnolo si debba recuperare il «contenuto 'letterario' del teatro»129 proprio accostandosi alle moderne arti visive. Il drammaturgo infatti si riferisce al teatro di parola, come quello shakesperiano o del siglo de oro, che possa spaziare in molteplici scenari, «contro l'asfissia dello spazio del salotto del teatro borghese [...] sotto il segno del cinema, ma di un cinema, si badi, ancora muto e che il teatro poteva pensare di fronteggiare col suo differenziale 'letterario' della parola che si ascolta»130.
Y entonces habrà que hacer un teatro sin relatos [...] que siga el ejemplo del cine
actual que, sin palabras y sin tono, únicamente valiéndose del dinamismo y la variedad de imágines, de escenarios, ha sabído triunfar en todo el mundo131..
Sia Pirandello sia Valle-Inclán, quindi, considerano positivo il cinema muto, perché per entrambi costituisce un'illusione diversa dal teatro, fatta d'immagini. L'autore spagnolo in particolare si auspica che il teatro possa imparare dal cinema e rintracciarvi quella risorsa potenziale costituita dalla visività nella parola teatrale: «il teatro poteva, allora, godere del privilegio della parola rispetto alle meraviglie evocatrici del cinema muto»132.
128
Ibidem
129
VESCOVO, Napoli e Madrid di notte, in Rivista di letteratura teatrale, marzo 2011, Fabrizio Serra Editore, Roma 2011, p. 136
130 Ivi, p. 137 131
R. DEL VALLE-INCLÁN, cit. in VESCOVO, Napoli e Madrid.., op. cit., p. 137 - E allora ci dovrà essere un teatro senza racconti [...] che segua l'esempio del cinema contemporaneo che, senza parole e senza voce, valendosi unicamente del dinamismo e della varietà delle immagini, degli scenari, ha saputo trionfare in tutto il mondo..
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