Con il neorealismo e con la partecipazione della realtà nella produzione della finzione anche lo spettatore diventa un narratario cosciente e smette di svolgere una funzione passiva. La presenza dello spettatore nella comunicazione filmica fiorisce e si sviluppa nella Nouvelle Vague, quel fenomeno cinematografico che interessò soprattutto giovani registi francesi sul finire degli anni Cinquanta. Nouvelle
Vague, che in italiano si traduce con "nuova onda", è la formula adottata
dall'Express nel 1957 nell'ambito di una inchiesta giornalistica sulla gioventù francese dell'epoca e che viene adoperata per definire la tipologia di film presentati al Festival di Cannes due anni più tardi, tra i quali I quattrocento colpi che fa vincere il premio per la miglior regia a François Truffaut.
Truffaut e Jean-Luc Godard sono le figure di spicco di questo nuovo modo di fare cinema, che appunto considera lo spettatore come un interlocutore da non illudere, bensì da rendere partecipe dello stesso testo filmico a lui destinato. «Il cinema per gli autori della Nouvelle Vague era un modo di scrivere analogo al poema, al romanzo, al saggio»175 grazie al quale il regista diviene un vero e proprio scrittore di cinema, con un proprio stile riconoscibile, senza attenersi alla logica dello studio cinematografico, perché ciò che conta non è più il contenuto ma la scrittura, la comunicazione stessa. Del 1960 è Fino all'ultimo respiro di Godard, uno dei film più rappresentativi della nuova produzione cinematografica francese, girato in soli ventitré giorni scavalcando le convenzioni più diffuse: la suddivisione delle inquadrature e i dialoghi venivano stabiliti di volta in volta, non c'era
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L. SEBASTIANELLI, Riflessioni sulla Nouvelle Vague, in Cinema Magazine OnLine, 1997-1998, www.novaera.it/cinema/vague/, consultato il 15 settembre 2012
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premeditazione nel lavoro registico di Godard, bensì una creazione in itinere. Viene quasi da pensare al film di Guido Anselmi, con la differenza che in questo caso il testo filmico si dispiega chiaramente davanti allo spettatore nel suo divenire e non già nel suo processo immaginativo.
Primato della ripresa e della sua immediatezza, uso di tecniche agili, non appesantite
dalle consuete apparecchiature [...], grande velocità di realizzazione e conseguente basso costo, tutto ciò fa parte del naturale modo di procedere della Nouvelle Vague e
in genere di tutte le giovani cinematografie nazionali che emergono in questi anni176.
Si tratta dunque di uno stile che rifugge l'artificiosità del cinema classico, che cerca di mostrare con trasparenza il film nel suo farsi, senza mediazione, senza nemmeno ingannare il narratario con gli usuali accorgimenti tecnici e di montaggio: «l'anarchia di À bout de souffle era infatti soprattutto tecnica e linguistica: "scavalcamenti di campo" [...], raccordi di montaggio a singhiozzo [...], momenti narrativamente importanti risolti in poche e fulminee inquadrature»177. Fino all'ultimo respiro è un metafilm perché si sviluppa sulla comunicazione cinematografica e la mostra senza veli allo spettatore, ma anche perché è intriso di citazioni filmiche, con lo stesso Godard nella parte di un passante. Anche qui la soglia tra realtà e finzione, come in tutti i metafilm, gioca un ruolo fondamentale: infatti a causa del metodo di ripresa in molte scene i passanti reali guardano con curiosità la coppia di attori, contribuendo con la loro reazione, propria di persone che si scoprono parte di un set, ad apportare inevitabilmente una vena realistica nel film. D'altra parte Michel, il
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A. FARASSINO, Jean-Luc Godard, Il castoro cinema, Milano 2002, p.30
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protagonista, «vive recitando e muore recitando, il suo ultimo gesto sono delle smorfie, tutto gli è facile [...] perché vive nel mondo della finzione, nella libertà del raccontare»178. Il personaggio principale dunque, immerso nella realtà durante le riprese, agisce comunque in quanto personaggio al segno dell'antiracconto, rompendo l'autonomia della finzione stessa dal mondo reale.
Non si tratta più primariamente di raccontare secondo i canoni tradizionali o di
raccontare secondo nuovi paradigmi (o se si vuole, di non-raccontare): quello che è in gioco [...] è più essenzialmente il raccontare il proprio raccontare, vale a dire l'esibire la
propria azione di narratore, il manifestare il testo in quanto tale, e il rendere espliciti i
meccanismi e le grandi scelte che stanno alla base dell'intera operazione179.
La narrazione che racconta se stessa è la vera protagonista della Nuovelle Vague e in Godard questa soluzione comunicativa è adottata in maniera radicale se pensiamo che neppure le battute degli attori venivano elaborate prima delle riprese. Fino all'ultimo respiro non possiede rappresentazioni interne perché, come
Otto e mezzo, il film è anche il contenitore di se stesso, grazie all'epifania della
propria costruzione dinamica. Lo stile registico, secondo le tipologie individuate da Casetti, è indubbiamente moderno, in quanto la sintassi del testo filmico è frazionata dalle stesse formule tecniche ed espressive che Godard predilige, grazie alle quali appunto la grammatica cinematografica si svela come parte della narrazione stessa e la mediazione linguistica cessa di essere tale. Il ruolo del demiurgo in questo metafilm moderno può essere attribuito al protagonista Michel,
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Ivi, p. 37
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in quanto nella sua finzionalità gestisce agevolmente la narrazione e la comunicazione del testo filmico, senza che gli elementi della realtà presenti nel film rendano improbabile il suo personaggio. Soprattutto attraverso il nuovo metodo eterodosso di curare le riprese, Fino all'ultimo respiro si schiera criticamente nei confronti della tradizione cinematografica precedente, ma presenta numerosi elementi intertestuali che lo collocano senza dubbio all'interno del mondo cinematografico a cui appartiene e lo definiscono come un film su e per il cinema.
Infatti À bout de souffle è intessuto di citazioni, di allusioni, di riferimenti che spesso
solo i cinefili, o addirittura solo gli amici, possono cogliere. E se è vero che esso è ormai un classico della storia del cinema (o della sua età moderna) come tutti i testi classici, e
come poi tutti gli altri film di Godard, dovrebbe essere letto in edizioni con note a piè
di pagina, che segnalino appunto i "calchi", i prestiti, i riferimenti culturali e cinematografici, le presenze significative. [...] Tutti questi rimandi nei film di Godard
sono i mezzi specifici attraverso cui egli supera la narratività tradizionale in cu ogni elemento deve essere funzionale al racconto per proporre una forma ad
accumulazione, un nuovo genere di film-saggio [...] in cui discorso critico e discorso
narrativo sono compenetrati180.
I riferimenti cinematografici non sono i soli a costellare il film di Godard: oltre alla presenza di Philippe de Broca e Jean-Pierre Melville in ruoli minori, a foto di attori, locandine di film, sono numerose le citazioni dal mondo della letteratura, al punto che i titoli di alcuni romanzi diventano parte costituente delle battute. Se Godard arriva alla critica attraverso la messa a nudo della metrica con cui compone il proprio film verso per verso, Truffaut si serve del discorso filmico in maniera più
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prosastica, rivelandone i procedimenti pur rimanendo all'interno della narrazione canonica. Rispetto al turbine metalinguistico del collega e co-fondatore della
Nouvelle Vague, Truffaut preferisce raccontare tutti i trucchi della produzione
filmica attraverso un film, alla stregua di uno scrittore che renda oggetto del proprio romanzo la stesura d'un libro. Effetto notte, in francese La Nuit américaine, prende il titolo proprio da un artificio cinematografico che permette di trasformare le riprese diurne in modo da farle apparire notturne e consiste nell'inserire un filtro blu davanti all'obiettivo.
Truffaut è presente nel suo stesso film, come Godard nel proprio; tuttavia mentre Godard appare di sfuggita in un ruolo minore, qui Truffaut diventa il regista del film nel film ed è visibile dall'inizio alla fine della pellicola, assumendo la figura del personaggio demiurgo. Egli infatti è doppiamente regista, sia nella realtà sia nella finzione, è il punto di riferimento per l'intero ciclo delle riprese, a lui si rivolgono in continuazione tutti gli agenti della produzione per le diverse scelte tecniche di ambientazione, oggettistica e costumi. Ferrand, interpretato da Truffaut, è il regista che spesso cambia idea per sopperire agli imprevisti dell'ultimo minuto, ma che quando iniziano le registrazioni ha già una sceneggiatura definita e una determinata suddivisione delle scene. La differenza con Godard parte innanzitutto da qui: la grammatica che Godard stravolge viene rispettata da Truffaut, il quale invece di spiazzare il narratario con la tecnica linguistica sceglie di mostrare gli stratagemmi e gli espedienti che stanno dietro l'illusione. In questo modo Truffaut permette al pubblico di conoscere l'aspetto più artigianale della produzione di un film, facendo leva sulla sua curiosità. Si tratta di un film che parla del sistema
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tecnico dei film, certamente svelandone gli artifici ma non sovvertendone le norme; la sola regola che contravviene è quella di non rivelare quali siano gli accorgimenti fittizi necessari alla buona riuscita di un film. Effetto notte si colloca nel metacinema perché ha per oggetto la realizzazione di un film e ne smaschera tutti i trucchi in modo verosimile, possiede il film interno, di cui vediamo non già la proiezione finale ma alcune scene nel momento in cui vengono riprese, e prospetta numerosi riferimenti al mondo del cinema nel suo insieme. Già durante i titoli di testa lo spettatore sente la voce di Ferrand che intima di ricominciare la ripresa dall'inizio e quando il film comincia, mostrando la folla in uscita dalla metropolitana che si riversa nel traffico, il narratario non pensa immediatamente alla registrazione di un film - per quanto ne sa la voce udita pochi secondi prima può provenire da uno studio cinematografico al quale si sta recando uno dei passanti.
Tutto viene svelato al minuto successivo, quando viene interrotta la registrazione e le comparse si radunano attorno all'assistente del regista, mentre Ferrand aiuta i due attori principali a provare la scena dello schiaffo: allora comprendiamo che la sequenza appena vista appartiene ad un film in fase di realizzazione. Il livello della pièce cadre è sempre ben distinto dalla rappresentazione interna, non capita mai di confondere i due piani narrativi, perché Truffaut ha l'intenzione di mostrare la lavorazione del film in quanto finzione. Mantenendo la separatezza dei livelli diegetici e dichiarandone ogni volta le soglie Truffaut permette al film più esterno di assumere appieno la caratteristica verosimiglianza già riscontrata in tutte le rappresentazioni che ne contengono altre, nel metateatro come nel metacinema. In particolare, una figura colorata e allegra
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che ci aiuta fin dall'inizio a determinare in quale livello ci troviamo è quella della truccatrice, una giovane ragazza sempre avvolta nel grembiule professionale: quando le prime riprese terminano e allo spettatore viene presentato l'atrio di un albergo è proprio l'introduzione della truccatrice nel campo visivo a farci comprendere di essere nel primo piano diegetico. L'inquadramento della rappresentazione interna è ovviamente di tipo decomposée grazie al frazionamento delle riprese e all'alternanza delle scene con il lavoro registico e tecnico di contorno. Al dodicesimo minuto si trova anche una proiezione interna alla quale assiste tutto lo staff per fare il punto sul lavoro svolto, cosicché si potrebbe parlare anche d'inquadramento multiplo.
Effetto notte è un film che parla dei segreti effetti cinematografici e dunque
ne prospetta al narratario una serie numerosa e ben assortita. Lo scenografo spiega come ottenere un fuoco da caminetto che risponda alle esigenze di recitazione, rivelandone la bombola a gas che, al momento opportuno, si può maneggiare in modo che accentui l'importanza di una battuta aumentando l'altezza delle fiamme. Così come Ferrand deve affrontare l'imprevisto di un'attrice incinta che deve indossare un costume e che al termine delle riprese avrà naturalmente cambiato aspetto: piuttosto che licenziarla, il regista decide che si possono scegliere i fotogrammi in cui la donna compare di spalle o di tre quarti. Quando poi un'altra attrice è troppo ubriaca per ricordare tutte le proprie battute, la soggettista appende al mobilio di scena dei grandi fogli con i suggerimenti, che non sono visibili dal punto di registrazione della macchina. Sono numerosi gli esempi, alcuni collegati alle contingenze incidentali, altri di carattere meramente tecnico, come la pioggia
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alla finestra prodotta da un tubo provvisto di rubinetti o i binari su cui si muove la macchina per inquadrare il protagonista durante la sua camminata. Appena passata la prima mezz'ora nel film vengono proposte inoltre delle vere e proprie citazioni letterarie e cinematografiche mediante i libri che Ferrand estrae da un pacco a lui riservato e che impila l'uno sull'altro facendoli inquadrare dalla telecamera. Si tratta di titoli come Pour Bunuel, The films of Jean-Luc Godard, Ingmar Bergman,
Hitchcock's films, il numero di una rivista dedicato a Lubitsch, periodici di cinema, e
così via. È facile ravvisare in questo elenco di autori del cinema una dichiarazione di poetica, come se Truffaut facesse una lista dei suoi auctores di riferimento. È interessante notare anche la presenza di un leitmotiv che appare tre volte nel film e che solo alla terza occasione si mostra allo spettatore nella sua interezza. Rispettivamente ai minuti trentunesimo, novantottesimo e dieci minuti dopo la prima ora vediamo Ferrand addormentato, disteso nel suo letto al buio, con il respiro affannato; successivamente la scena diventa in bianco e nero e scorgiamo un bambino di qualche decennio prima che sgattaiola in un vicolo di notte e si guarda le spalle mentre corre. Nelle prime due occorrenze il sogno viene interrotto a questo punto, mentre nella terza il ragazzino torna a correre e si reca all'ingresso di un cinema dal quale riesce a procurarsi le foto del film Citizen Kane di Orson Welles, staccandole dal supporto al quale erano assicurate nonostante la chiusura della grata a soffietto. Questa proiezione onirica va indubbiamente affiancata alla letteratura cinematografica di riferimento che Truffaut si premura di mostrare allo spettatore e quindi va presa come un'ulteriore affermazione di discendenza culturale, in particolare in merito alle scelte espressive. Inoltre, come a voler
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dipanare ogni eventuale dubbio, in tutti e tre i momenti iterativi, a metà tra il ricordo e il sogno, la scena torna a colori e viene inquadrato l'ingresso agli studios in cui lavora il regista adulto. Questa sequenzialità di passato e presente intende demarcare una linea di continuità tra i sogni del regista bambino, le sue passioni e l'affermazione dell'uomo maturo che è riuscito a tradurre le sue aspirazioni nella realtà, producendo a sua volta pellicole cinematografiche: soprattutto un regista che nella propria arte sviluppa uno stile dal quale era rimasto impressionato quand'era bambino e spettatore. Il cinema aveva sempre affascinato Truffaut sin da ragazzino, durante l'adolescenza difficile che trascorse da un riformatorio all'altro fu un elemento costante. Nel film Ferrand cerca di convincere Alphonse a non abbandonare lo studio dopo che la ragazza con cui aveva una relazione l'ha lasciato improvvisamente. Nelle parole che usa Ferrand si potrebbe agilmente riconoscere il pensiero di Truffaut:
Sei un bravissimo attore e il lavoro va a gonfie vele. Lo so, c'è la vita privata; ma la vita privata zoppica per tutti quanti. I film sono più armoniosi della vita, Alphonse, non ci
sono intoppi nei film, non ci sono rallentamenti. I film vanno avanti come i treni, capisci? Come i treni nella notte. La gente come te e come me, lo sai bene, siamo fatti
per essere felici solo nel nostro lavoro al cinema181.
Il giovane attore accetta momentaneamente il discorso del regista, ma poco dopo discutendo con la prima attrice Alphonse in qualche modo risponde a Ferrand, anche se non direttamente: «Ma ti sembra normale scappare così, da un momento all'altro? Allora vuol dire che è tutto falso, che è tutto un inganno [...]. E poi sono
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convinto che Ferrand sbaglia: la vita è più importante del film»182. Le diverse posizioni di Ferrand e Alphonse sulla priorità tra realtà e finzione non fanno che ampliare e sviluppare la tematica che percorre il film nella sua interezza, ovverosia lo svelamento dell'illusione che propone il cinema, acuendo la distanza tra la perfezione della pellicola, che si può manipolare allo scopo, e gli ostacoli della vita reale, che non si possono aggirare né tagliare. Si tratta di una riflessione che non poteva non essere presentificata in un metafilm, specialmente in Effetto notte che ruota attorno alla finzionalità della produzione filmica. Quando terminano le riprese del film, i giornalisti tentano senza riuscirci di sdrucire a Ferrand qualche commento sul lavoro appena ultimato, ottenendo solo dall'assistente scenografo un congedo pronunciato in macchina: «speriamo che il pubblico si diverta quanto ci siamo divertiti noi»183. Con questo saluto diretto allo spettatore Effetto notte è in chiusura definitiva e tutte le figure della produzione si accomiatano l'un l'altro, immancabilmente durante i titoli di coda.