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Le armi per il guerriero, gli strumenti effettivi con cui egli affronta l’avversario, sono innegabilmente valori d’uso, in tal senso distinti dalla categoria delle armi da parata cui appartengono, per esempio, quelle offerte in premio “come ricompense sostanziali e a loro modo molto positive”159 nella tradizione dei giochi più antichi e, a maggior ragione, da quella

delle armi magiche dotate di virtù protettrici160. Gli oggetti di pregio che Louis Gernet qualifica e analizza in quanto beni di prestigio presentano una doppia caratteristica che ben descrive visivamente la natura del loro valore stesso, statica e dinamica al contempo: essi possono restare conservati nel tesoro dei palazzi oppure essere portati dagli uomini nei vari contesti d’azione, mescolati agli avvenimenti che costituiscono la trama stessa della vita degli eroi.

Date queste premesse, essendo il nostro campo di indagine il contesto prettamente bellico e dinamico dell’Iliade, sarà opportuno puntualizzare alcune osservazioni a proposito delle armi: si tratta di oggetti materiali che connotano un guerriero nella sua identità e funzione e ne denotano ricchezza e valore ma è fuor di dubbio che esse siano anche materia e strumento di un

rapporto umano, se non altro perché ogni singola tipologia di arma, sia essa di offesa o di

difesa, è promanazione diretta di una corrispondente parte del corpo161. In questa prospettiva

159

Gernet 1948, p. 85 della trad. it. di Gernet 1968 del 1983. 160

Gernet cita l’esempio dello “scudo di Argo” dotato, oltre che di valore effettivo in quanto oggetto metallico anche di un carattere di talismano correlato all’instaurazione o alla trasmissione di un potere regale e di una virtù protettrice.

161

Sull’armatura come “prolongement du corps” cfr. Monsacré 1984, pp. 58-62: “L’armure est à la fois une protection, un relais, un complément et, dans notre perspective surtout, un prolongement du corps. Dans le champ de l’activité guerrière le corps et l’armure partagent une série de propriétés identiques”. Longo 1996 si sofferma piuttosto sul dato, ulteriore, dell’unità inscindibile tra il corpo e l’armatura: cfr. a p. 28: “ Le héros homérique se réalise dans l’unité indivisible de l’homme avec ses armes; il n’existe pas, au moment de la bataille -où se consume la plus grande partie du temps narratif du poème- de héros sans armure, privé de cette dotation en instruments de défense et d’offense qui le constitue comme guerrier”.

particolare rilievo assume la mano, lo strumento primo di offesa, difesa e comunicazione gestuale di cui l’uomo dispone, a differenza degli altri animali162.

1) Nella sua natura metallica l’arma possiede un intrinseco valore economico che la rende oggetto passibile di scambio e circolazione.

2) Nella sua forma, relativa a una precisa funzione e adattata al corpo dell’uomo o, al limite, del singolo guerriero cui essa è destinata, essa è il frutto di un lavoro umano fondamentale e riflette l’esistenza e la necessità di un contesto sociale in cui, accanto a uomini dediti alla funzione bellica, ve ne siano altri capaci di costruire gli strumenti essenziali allo svolgimento di tale funzione.

3) Nella sua funzione specifica di strumento di offesa e difesa, infine, essa riflette la dinamica giocata sul meccanismo reciproco di azione e contro-azione che regola gli scontri di massa e la monomachia, gli uni in maniera più caotica e casuale, l’altra in modo altamente codificato.

4) Possiamo spingerci anche oltre: l’arma di offesa è un’appendice della mano umana, è la mano che la fa funzionare ed è la mano che, in definitiva, governa le sorti e dà la morte attraverso i colpi sferrati mediante l’ausilio delle varie armi (o, qualora alla fine non ci siano ancora un vinto e un vincitore, di pietre e oggetti contundenti trovati per terra), la stessa mano che obbliga attraverso tutta una serie di gesti simbolici di varia natura e sancisce il valore cogente della reciprocità.

5) Infine, l’armatura è un elemento essenziale alla definizione della funzione di chi la indossa e della sua identità: è l’immagine che sul campo di battaglia il guerriero dà di sé, la veste integrale e originale che ne consente il riconoscimento in mezzo a una massa di altri combattenti163.

Tentando di sintetizzare, dunque, riconosciamo nelle armi dell’eroe iliadico (a cui dovremmo aggiungere anche i cavalli164) diverse funzioni, le prime due relative alla natura materiale dell’arma in quanto oggetto e strumento del rituale bellico, le altre alle sue

162

Cfr. Pincin 1982, pp. 181-186. 163

Questo dato assume un peso essenziale negli sviluppi narrativi del poema, in particolare nell’episodio di Patroclo che appare in campo con le armi di Achille e semina il terrore tra i Teucri. Considerazioni interessanti sull’episodio e, in particolare, sul dato della trasmissione delle armi, lo strumento materiale che serve ad esplicitare la funzione guerriera, come trasmissione della totalità della funzione stessa, in Di Donato 2006, pp. 43-44. Quanto al tema del rapporto tra armi e identità guerriera, tema che tenteremo di sviluppare in questo capitolo, cfr. Monsacré 1984, p. 60: “Et en effet l’armure c’est, d’une certaine façon, le héros lui-même”. Stimolanti accenni anche nell’Introduzione di Maria Grazia Ciani a Iliade 1998, pp. 51- 52: “É una guerra ad alto profilo quella narrata da Omero, una cerimonia solenne scandita da precisi rituali. Sacerdote del rito è il principe guerriero che in battaglia affida il suo nome, il suo onore, la sua speranza di gloria alle sole realtà concrete che in quel momento possiede: le armi, il corpo. Non può perdere nè le une nè l’altro senza rimanere privo della propria identità reale, quella che non si affida alla genealogia e al rango. Le armi “sono” l’eroe, sono fatte per lui, adatte al suo corpo.” Sul tema riflette anche Oddone Longo, in un articolo particolarmente utile e congruo rispetto alle argomentazioni proposte in questa tesi (cfr. Longo 1996, pp. 25-51).

164

Sui cavalli nell’Iliade cfr. la monografia di Delebecque 1951, supportata da un lessico che esamina tutte le occorrenze del cavallo nei poemi omerici.

potenzialità mitiche in quanto oggetto che sopravvive a chi lo indossa e lo usa e che veicola la storia di chi lo ha posseduto insieme al klevo" di chi lo ha conquistato:

- quella funzionale; - quella economica; - quella simbolica; - quella magica.

Qui abbiamo forzato leggermente i termini: l’ultimo è un aggettivo impegnativo, tanto più se il campo di indagine è un poema come l’Iliade, in generale piuttosto lontano dal concetto e dalla sfera del magico. Il ricorso a tale aggettivo è giustificato dall’uso che ne fanno Marcel Mauss e Louis Gernet165: l’armatura e l’arma racchiudono il mana di chi le possiede, tanto più quando diventano oggetto di dono o di scambio. Nella funzione che le armi di Achille rivestono in relazione al destino di Patroclo è ben evidente sia la forza del mana di Achille insito in esse sia l’ambiguo valore, efficacemente protettivo ma disastrosamente pernicioso, tipico dell’oggetto di valore.

Le armi splendono e tuonano come elementi della natura166, come segni di una tempesta che ha come primo effetto quello di atterrire chi vi si trova dinanzi: il guerriero che balza a terra, armato, dal carro sta per mettere in opera la furia che è oggetto del timore. Le armi si prendono e si portano dalla propria parte: si possono indossare o dare ai compagni o esibire in un tempio come segno di onore. Sono oggetti dotati di grande valore concreto, tanto più preziosi quanto più prezioso è il materiale di cui son fatte: si pensi alle armi di Glauco, a quelle di Sarpedone, alle armi di Reso167. Le armi si donano e si scambiano; quando ve ne sia necessità i più forti prendono le migliori e i più deboli le meno valide. Ma le armi, oggetti che passano per eccellenza e il cui percorso costituisce una storia degna di klevo" e in grado di conferire il klevo" a chi le indossa, portano con loro, vividamente, la propria storia, qualcosa di chi le ha possedute, degli eventi che ne hanno determinato i movimenti: un mana, una sorta di anima viva in cui il valore protettivo e quello pernicioso si intrecciano ambiguamente. Niente è più vero per quanto riguarda la vicenda delle armi di Achille, variamente prefigurata nei vari episodi di scambio e movimento di armi e nelle parole di Andromaca168 sul trattamento riservato da Achille alle armi di Eezìone, in cui si coglie chiaramente la minaccia inquietante che le armi hanno il potere di evocare in quanto oggetti i cui percorsi di varia appartenenza ne costruiscono e corroborano l’identità e l’efficacia simbolica.

(...) kata; d je[ktanen jHetivwna,

oujde; min ejxenavrixe, sebavssato ga;r tov ge qumw/§, ajll ja[ra min katevkhe su;v e[ntesi daidalevoisin, hjd jejpi; sh°§m je[ceen: (...)

(...)dunque uccise Eezìone pur senza spogliarlo dell’armi, se ne fece scrupolo in cuore,

165

Tornando all’applicazione dell’aggettivo “magico” alle armi e agli scambi di armi, dunque, la si può intendere come l’espressione della forza che deriva dalla virtù del rito, ciò che Huvelin (Huvelin 1907, pp. 1-47) definisce “forza giuridica” cfr. Gernet 1951, p. 213 dell’ed. it. di Gernet 1968, del 1983. 166

É un topos quello delle armi che tuonano cadendo sul corpo del guerriero atterrato (ajravbhse de; teuvce jejp jaujtw/§): cfr. D, 504; E, 42, 58, 540; Q, 260;P, 50, 311; (ajmfi; dev oiJ bravce teuvcea poikivla calcw/§) M, 396; X, 420.

167

L’episodio è narrato in K, 433 ss. Dolone descrive l’armatura di Reso, re di Tracia, come gigantesca e tutta d’oro, simile alle armi degli dèi.

168

ma lo mise sul rogo insieme alle armi ben lavorate e sopra versò un tumulo di terra. (...)

(Trad. di G. Cerri)

I. 2. 1

Armi e klevo"klevo"klevo" klevo"

L’intima associazione tra le armi in quanto oggetti materiali e l’idea astratta del klevo" è ben chiarita dal nesso formulare epiteto-nome kluta; teuvcea. L’epiteto, che deriva dalla medesima radice del sostantivo klevo", è comune a molte altre cose: oggetti, luoghi e persone169possono definirsi in relazione al klevo". Ta; kleva sono le imprese degli eroi dell’epica170ma anche le voci di strada, le informazioni che circolano pubblicamente, il rumore

169

In H, 451 è il muro costruito dai Greci a possedere il klevo"; in Q, 192 si tratta dello scudo di Nestore; anche le dimore e le città possono essere klutav e tali sono definite anche le stirpi degli uomini (X, 361) ed il popolo dei morti (k, 526).

170

Sul valore dell’espressione ta; kleva ajndrw§n cfr. Durante 1976, pp. 50 ss.; Nagy 1979, pp, 16-18 e 174-194. Nel recente contributo di Camerotto 2003 troviamo una definizione di kleva ajndrw§n in relazione all’attività dell’aedo, come “insieme teorico di tutte le vicende degli eroi conosciute e narrate in qualsiasi genere e specie di composizione poetica” (p. 15 cfr. anche n. 27 e n. 1 p. 263 di Camerotto 2001).

fatto intorno a una notizia171; tutto ciò che arriva all’orecchio e diventa oggetto di conversazione possiede un klevo"172. Il klevo" è, per eccellenza, ciò che si ascolta, anche se non si vede; nell’invocazione alle Muse173che precede il Catalogo delle navi il concetto è espresso chiaramente:

uJmei§" ga;r qeaiv ejste, pavrestev te, i[stev te pavnta, hJmei§" de; klevo"klevo"klevo"klevo" oioioioi\\\\on ajkouvomen oujde; ti i[dmen. on ajkouvomen oujde; ti i[dmen. on ajkouvomen oujde; ti i[dmen. on ajkouvomen oujde; ti i[dmen.

Voi siete infatti dee e siete presenti e sapete ogni cosa, mentre noi soltanto la fama ascoltiamo e nulla sappiamo.

(Trad. di G. Cerri)

Tutto ciò è logico e perfettamente coerente con l’etimologia174del sostantivo. Nel momento in cui tali luoghi, cose o persone diventano oggetto di discorsi entrano nel processo dinamico che conduce all’acquisizione del klevo": ciò assume un peso notevole a livello antropologico poiché si tratta di un processo di acquisizione e definizione di un’identità agli occhi degli uomini.

Il possesso del klevoı da parte degli uomini è spesso determinato dal possesso di armi (o cavalli, per esempio175) e dalla possibilità di farne uso e giovarsene in combattimento, unita all’ostentazione delle stesse in quanto trofei: la presenza delle armi di un eroe tra le mani di un altro dichiara immediatamente il successo di quest’ultimo ed è oggetto di vanto. Chi si batte in mezzo alla mischia e non arretra dinanzi al corpo-a-corpo, si espone al massimo rischio di morte, proporzionale alla possibilità di annientare fisicamente molti nemici. Le armi dei nemici, custodite per essere utilizzate all’occorrenza ma anche esibite come trofei, sono il segnale tangibile della quantità di morti prodotta e del valore dell’eroe trionfatore, inteso come il coraggio di meta; prwvtoisi mavchn ajna; kudiavneiran/ i{stamai176.

Così Idomeneo risponde alla richiesta di una lancia da parte di Merione177:

douvrata d j, ai[ k jejqevlh/sqa, kai; e}n kai; ei[kosi dhvei" eJstaovt jejn klisivh/ pro;" ajnwvpia pamfanovwnta,

Trwvi>a, ta; ktamevnwn ajpoaivnumai: ouj ga;r oji?w; ajndrw§n dusmenevwn eJka;" iJstavmeno" polemivzein. Twv moi douvratav t je[sti kai; ajspivde" ojmfalovessai, kai; kovruqe" kai; qwvrhke" lampro;n ganovwnte". Di lance, se lo desideri, ne troverai sia una che venti

appoggiate nella mia tenda alle pareti lucidissime,

171

Cfr. I, 524 e 189 (Achille canta con la sua cetra ta; kleva ajndrw§n). in L, 21 mevga klevo" è una “grande nuova”. Cfr. anche alcuni esempi nell’Odissea: p, 461 e y, 13.

172

Cfr. L, 227; N, 364 (si tratta qui di spedizioni di guerra). 173

Cfr. B, 484- 488. 174

Cfr. Chantraine 1968 s.v. klevo". 175

Cfr. E, 273: la conquista e il possesso dei cavalli di Enea è presentata da Diomede come garanzia di klevo".

176

N, 270-271. Cfr.anche, a proposito del concetto di meta; prwvtoisi mavcesqai: U, 338, E, 536, 575, Z, 445 (Ettore lo dice di se stesso, aggiungendo come questo suo coraggio sia fonte di klevo" per se e per il padre), M, 321, 324, (Sarpedone a Glauco), I, 709. Sul concetto dell’ajristeuv" come primo eroe della fila e sulla sua esigenza costituzionale di primeggiare cfr. Camerotto 2001, p. 272 nn. 36- 40. Sui provmacoi cfr. van Wees 1997, pp. 687-689.

177

armi troiane, che ho tolto ai caduti: non sono propenso a combattere stando a distanza dai miei nemici!

Perciò sono in possesso di lance e scudi ombelicati, di elmi e di corazze, che luccicano per il nitore.

(Trad. di G. Cerri)

Il klevo" che deriva dalla rapina del cadavere del nemico ucciso è complementare rispetto a quello connesso alla spoliazione e all’acquisizione delle sue armi ed entrambi sono consequenziali rispetto all’atto dell’uccisione. Ne troviamo un esempio chiaro e completo nella vicenda del cadavere di Patroclo e delle armi di Achille: il sostantivo klevo" è usato per tre volte in relazione ad azioni tra loro differenti ma complementari. Patroclo è ormai un cadavere vestito di spoglie insanguinate ma Euforbo, nel contrastare Menelao mentre costui cerca di difendere il cadavere, sottolinea il fatto che offendere con la lancia il corpo dell’eroe prediletto da Achille è un gesto in grado di conferire klevo" a chi lo compie178; in seguito179 si dice che le armi sottratte a Patroclo sono esse stesse mevga klevo" per Ettore e, infine, l’impresa di appropriarsi del cadavere di Patroclo si presenta talmente ardua che il klevoı che ne deriva può essere addirittura spartito con l’omicida Ettore in persona, insieme alle spoglie del caduto180.

Le armi, si è detto, sono gli oggetti klutav per eccellenza181 poiché esse possiedono e conferiscono il klevo" e lo fanno in virtù del fatto di essere il prodotto di un lavoro che è passato di mano in mano per alterne vicende degne di essere raccontate, in altre parole in virtù della loro storia. Esse possiedono, dunque, un’identità determinata dalla storia del loro percorso e una potenzialità infinita di accrescimento del proprio valore mitico poiché, per la loro intrinseca natura metallica, resistono oltre il disfacimento dei corpi che le hanno indossate. Il processo di definizione del valore mitico delle armi è in fieri e la loro identità è suscettibile di assumere un peso sempre crescente agli occhi degli uomini che le vestiranno, le vedranno indosso ad altri guerrieri o ne ascolteranno il racconto dalla voce degli aedi.

Dello scudo di Nestore si cita esplicitamente il klevo" che arriva fino al cielo182:

ajspivda Nestorevhn, th§" nu§n klevo"klevo"klevo" oujrano;n i{kei klevo" pa§san cruseivhn e[menai, kanovna" te kai; aujthvn lo scudo di Nestore, la cui fama ormai arriva alle stelle

che sia tutto d’oro esso stesso e le stecche.

(Trad. di G. Cerri).

178

Cfr. R, 12-17. 179

R, 131: kluta; teuvcea al v. 125 e teuvcea kalav al v. 130 180

Cfr. R, 232. 181

Scorrendo le occorrenze iliadiche dell’aggettivo notiamo l’abbondanza e la ricorrenza, unica tra i vari nessi epiteto-nome relativi a questo sostantivo, del nesso kluta; teuvcea: su un totale di 37 occorrenze (esclusi i composti) ben 16 volte si ha l’associazione con le armi.

182

Q, 192-193. Lo scudo in questione non è altrove menzionato, come del resto la corazza d’oro di Diomede fabbricata da Efesto di cui si parla subito dopo. Cfr. Iliade 1998, pp. 408-409 n. 12 del commento di E. Avezzù): “Si osservi come gli oggetti, e in particolare le armi, abbiano una loro intima forza che si trasmette a chi se ne appropria, diventando così garanzia di successo. Si noti altresì come la corazza forgiata da Efesto, non necessitata peraltro dalla narrazione, richiami non solo la divina panoplia fornita ad Achille ma anche quella hJfaistovteukto" di Memnone nell’Etiopide; e come lo scudo tutto d’oro richiami ancora una volta l’armatura di Memnone e le armi scambiate da Glauco nel canto VI. Il procedimento di elaborazione del brano sembra seguire una libera associazione di idee che non esclude però la possibilità di un intervento rapsodico” Cfr. Kirk 1990 ad loc.

Anche laddove non si riscontri un uso diretto del termine klevo" troviamo esempi interessanti a proposito del potenziale mitico delle armi e dello statuto di cui godono: come gli eroi stessi, le armi possiedono una identità che dipende dalla loro natura materiale cui è connessa una funzione concreta ma anche dalla loro storia, dal percorso che hanno seguito, tra le mani degli uomini, superando i limiti imposti dalla finitezza della vicenda umana in virtù della propria natura metallica e incorruttibile. É il caso, per esempio, dell’arco di Pandaro, del casco di Odisseo nella Dolonia, delle armi di Ereutalione, dello scudo di Nestore o di quello di Aiace, della corazza di Agamennone e quella di Mege, delle armi di Sarpedone fino all’intera armatura di Peleo passata ad Achille i cui ulteriori passaggi determinano gli sviluppi ben noti183.

Le armi in quanto oggetti sopravvivono ai corpi che le hanno animate: le loro storie si dipanano attraverso le generazioni dei mortali e accade spesso che le armi la cui storia è ritenuta degna di essere raccontata trovino la propria origine materiale nelle mani di un artefice non umano ma divino. Le armi godono del privilegio di una sorta di genealogia che trova spesso il proprio punto d’avvio nel dominio dell’immortalità e del non-finito e che prosegue attraverso varie tappe in cui l’incontro o lo scontro ma, più in generale, la relazione che si instaura tra due persone secondo le dinamiche belliche, genera il passaggio delle armi stesse dall’una all’altra: un percorso non molto differente da quello che costituisce la storia e la genealogia di un uomo in quanto determinata, di volta in volta, dall’incontro e dall’unione corporea di due persone, siano esse umane e/o divine.

La persona dell’eroe si presenta spesso enunciando di fronte al nemico la propria genealogia, si identifica con la propria linea genealogica, parzialmente evocata dal patronimico, e dalle azioni compiute dagli avi trae un valore personale che corrobora la propria dignità, il proprio valore e la propria statura epica, nel senso più ampio del termine.

L’unità della persona epica, che nei poemi omerici non trova un’espressione generica e sintetica adeguata se non, al limite, il nome proprio dei singoli eroi184, ha un carattere empirico che si compone di vari elementi, tutti vivi, concreti e interrelati l’uno all’altro in maniera dinamica185 e ciascuno commisurato ad un aspetto essenziale ad una definizione più esauriente possibile dell’eroe come persona dotata di un peculiare statuto funzionale e sociale:

183

Cfr. per l’arco di Pandaro D, 105-111; per il casco di Odisseo cfr. K, 261-271; per lo scudo di Aiace H, 219-223; per la corazza di Agamennone L, 20 ss., per quella di Mege O, 528 ss.; Tra gli oggetti che non rientrano nella categoria delle armi ma cui è riservata un’attenzione mitica particolare uno dei più