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“Orgoglioso e schietto, l’uomo dell’Iliade si prodiga senza riserve con l’azione e con la parola, anche se le forme nelle quali si esprime sono regolate dalle norme di un’educazione aristocratica. Di ciò che la vita gli riserva accetta tutto senza condizioni; anche la morte”. Con queste parole Herman Fränkel341sintetizza al propria visione dell’uomo dell’Iliade: la citazione, esemplare nella sua chiarezza e linearità, è un’utile introduzione alle riflessioni che seguono, poiché pone in evidenza un aspetto essenziale, come premessa, alla comprensione della

persona epica: nel suo estremo concedersi alla scelta di vita eroica, l’uguale importanza

tributata alla parola e all’azione, talvolta rappresentata metaforicamente dalle mani, e l’esistenza di un rigido codice etico che ne regola, appunto, l’agire fisico e verbale.

Il processo di definizione dell’identità guerriera si fonda senz’altro sulle azioni del guerriero per come esse vengono condotte in relazione all’uso di mezzi che si rivelano essenziali non solo in un’ottica puramente strumentale ma anche in senso funzionale. Il valore dell’aggettivo funzionale deve essere compreso in quanto direttamente connesso alla funzione

guerriera attiva nel mondo narrato dall’Iliade, funzione che dipende, in parte, dalla percezione

che il guerriero ha della propria persona in relazione al proprio agire e alle altre persone e della propria storia intesa come una parabola di vita virtualmente infinita; le ragioni di tale virtualità risiedono in un passato mitico, giustificato dalla genealogia, e in un futuro segnato dalla radicale scelta di vita conforme all’ideale eroico, in grado di garantire ai posteri memoria imperitura.

I principali mezzi di cui il guerriero dispone sono il proprio corpo, alle varie parti del quale si adatta la panoplia nelle sue molteplici componenti, e il proprio pensiero, per come esso riesce adeguatamente ad adattarsi, in forma di parole, alle situazioni di fronte alle quali il guerriero è obbligato a operare una scelta quasi sempre radicale e determinante per se stesso e per la propria collettività di riferimento.

Tra le molte definizioni tentate, in base allo studio della casistica degli usi nei poemi omerici, per il termine mu§qo", quella di “pensiero linguisticamente strutturato” rende abbastanza bene il valore, tra gli altri, del mu§qo" come il mezzo con cui un individuo riesce a rendere effettuale, in senso verbale, la “parola-detta”, l’e[po"342.

341

Cfr. Fränkel 1962, p. 136 della trad. it. del 1997. 342

Chi si interessi allo studio della parola, unità minima del narrato epico e principale elemento di comunicazione tra i personaggi raccontati ma anche tra l’aedo e il suo pubblico, può avvalersi oggi di

La verbalizzazione di un pensiero è un processo complesso che non si esaurisce nel gesto concreto della produzione ed emissione della parola ma, oltre a proseguire nel meccanismo di ricezione, che avvia a sua volta un meccanismo di reazione e instaura una relazione tra emittente e destinatario/i, trova un forte elemento di finalità nella sua contestualizzazione. Un mu§qo" è sempre qualcosa di nettamente contestualizzato e finalizzato a obiettivi concreti343

. Un esempio omerico esprime in maniera chiara e illuminante questo concetto344:

w\ pevpon, ou[ toi Trw§e" ojneideivoi" ejpevessi nekrou§ cwrhvsousi: pavro" tina; gai§a kaqevxei. ejn ga;r cersi; tevlo"

ejn ga;r cersi; tevlo"ejn ga;r cersi; tevlo"

ejn ga;r cersi; tevlo" polevmou, ejpevwn d jejni; boulh/§: polevmou, ejpevwn d jejni; boulh/§: polevmou, ejpevwn d jejni; boulh/§: polevmou, ejpevwn d jejni; boulh/§: tw§ ou[ ti crh; mu§qon ojfevlleinmu§qon ojfevlleinmu§qon ojfevllein, ajlla; mavcesqai. mu§qon ojfevllein mavcesqai. mavcesqai. mavcesqai.

(...)caro mio,

non certo a forza d’insulti i Troiani lasceranno il cadavere: prima qualcuno finirà sotto terra! Il bandolo della guerra

un buon numero di contributi anche recenti, più o meno specifici ma che, in generale, forniscono un’argomentazione esauriente e soddisfacente della questione, per quanto complessa essa sia. Le questioni su cui l’attenzione degli studiosi si è appuntata sono, in particolare, due: la differenza di valore semantico tra i due principali vocaboli che, in Omero, designano la parola (mu§qo" ed e[po") e il reale significato e peso semantico da attribuire alle formule omeriche e[pea pteroventa e a[ptero" mu§qo". Lo studio dei vari contesti in cui troviamo utilizzato l’uno o l’altro termine è condotto, di volta in volta, in relazione all’ottica da cui l’autore sceglie di analizzare la questione della parola nell’epica: uno studio a carattere monografico e con pretesa di esaustività rispetto al problema generale della comunicazione verbale, è quello di Fournier 1946, il quale pone, nonostante si tratti di un contributo per molti aspetti datato, l’accento su un aspetto importante che varrebbe da solo a correggere l’approccio dualistico alla questione mu§qo"/e[po". Ciò che Fournier fa notare è il fatto che “la notion de mot n’est pas élémentaire, mais suppose une évolution avancée de la linguistique: les expressions les plus anciennes e[po" e mu§qo" ne la comportent pas.” (p. 225) In un articolo più recente Andrea Cozzo (Cozzo 1996) parte proprio da quest’osservazione e compie un’analisi della coppia di significanti alla luce di un terzo elemento, vale a dire la quasi totale assenza in Omero del termine lovgo" (attestato solo in O, 390-94 e a, 56): l’attenzione è posta sul valore semantico dei vocaboli in relazione al modo di argomentare specifico dei personaggi epici al fine di mostrare come ciò sia solidale con il pochissimo spazio riservato al termine lovgo". Ciò che interessa l’autore è un “problema di ordine concettuale” (p. 17), vale a dire mostrare i criteri della razionalità che si esprime nei discorsi in Omero, criteri ritenuti socialmente corretti. Lo studio più completo e interessante sul problema è quello di Martin 1989, al quale si rimanda per una disamina esaustiva delle posizioni dei principali studiosi sui due vocaboli. La prospettiva scelta dall’autore è quella, come recita il sottotitolo dell’opera, Speech and performance in the Iliad, volta alla comprensione del legame tra l’uso dell’uno o l’altro termine in relazione all’aspetto performativo dell’enunciato del singolo eroe (l’autore si sofferma in particolare su Achille, sul quale cfr. anche Frontisi-Ducroux 1986) e, più in generale, al problema della performance aedica. L’autore parte da un quesito, cioè “what does this poetry say about its very stuff, words themselves?”(p. 10) e conclude con un breve capitolo intitolato “The Poet as Hero”.

343A proposito della differenza tra muvqo" ed e[po" numerosi i contributi sulla questione delle “parole

alate”, visti anche i possibili sviluppi comparativi, a partire da un’analisi linguistica del problema: per un inquadramento della questione in quella, più vasta, della preistoria della tradizione poetica greca segnaliamo in particolare il fondamentale saggio di Marcello Durante (Durante 1976, pp. 123 ss.); lo stesso Milman Parry si è pronunciato sulla questione specifica, negando recisamente, corente con la propria idea di formularità, ogni tipo di intenzionalità espressiva annessa a tale modulo formulare largamente impiegato in Omero (Parry 1937, pp. 59 ss.); negli stessi anni si pongono sul versante opposto, addirittura intenti a trovare implicazioni “affettive”, Calhoun 1935 e Couch 1937. Per un’ampia rassegna e discussione delle varie posizioni assunte nel tempo sul problema delle “parole alate” cfr. D’Avino 1980-1981.

344

è nelle braccia, delle parole nel saper decidere: non bisogna dunque cianciare, ma battagliare.

(Trad. di G. Cerri)

Si tratta di un processo che trova il proprio compimento nel mu§qo" che si esprime pubblicamente, così come le mani degli eroi giungono al compimento della guerra per mezzo del combattere. I due aspetti del combattere e del parlare sono chiaramente divergenti e l’azione di combattere e uccidere nemici si oppone nettamente qui a quella di ojfevllein muvqon: un mu§qo" non si presta ad essere “gonfiato” ma è un’azione verbale che richiede una reazione non solo da parte di chi ha ricevuto il messaggio ma anche nella realtà su cui tale messaggio va ad incidere.

Il parallelismo contenuto nel verso chiastico mette in risalto come i due strumenti, le mani e le parole (e[pea), siano entrambi finalizzati a un tevlo" contingente: sia la guerra che le parole tendono verso un fine concreto345 la cui effettualità potenziale risiede nelle mani/braccia di chi combatte in un caso e, nell’altro, nella boulhv, termine che designa allo stesso tempo la situazione e il luogo in cui i capi e gli anziani (gevronte") si radunano per discutere e deliberare e la deliberazione stessa346.

Se è vero che “sul piano intellettuale, per un eroe, l’aspirazione è ad essere il migliore boulh§/ kai; muvqoisin (n, 298)”347

ed è innegabile che “l’eroe deve essere un buon parlatore e far buon uso di questa qualità al momento opportuno”348, emerge senz’altro nell’Iliade, tra le altre349, una polarità che vede opposte parola e azione e, più in particolare, abilità in guerra e nella formulazione e uso della parola al momento opportuno. Non si tratta, tuttavia, di una polarità statica e definita una volta per tutte: spesso è messo in risalto il rapporto critico e dialettico tra i due aspetti, la complementarità che li anima persino nella fisionomia individuale di un singolo eroe.

Quando supplica la madre Teti di aiutarlo, Achille le suggerisce di rivolgersi a Zeus ricordandogli

ei[ pote dhv ti h] e[pei

h] e[peih] e[pei

h] e[pei w[nhsa" kradivhn Dio;" hje; kai; e[rgwhje; kai; e[rgwhje; kai; e[rgwhje; kai; e[rgw/.

se mai un giorno facesti cosa gradita al suo cuore, con la parola o con l’azione. 350

(Trad. di G. Cerri)

345

Cfr. Onians 1951, pp. 510 ss. della trad.it. del 1998. 346

In italiano un parallelo calzante è costituito dal termine “consiglio”: un passo iliadico che chiarisce inequivocabilmente la bivalenza semantica del termine è B, 53-55 in cui si dice che Agamennone, prima di convocare l’assemblea plenaria dell’esercito, fa sedere la boulhv degli anziani, al cui giudizio sottopone il proprio “piano” (boulhv).

347

Cozzo 1996, p. 18. 348

Cfr. Cantarella 1979, pp. 144 ss. 349

Una polarità per certi versi analoga e senz’altro produttiva è quella che vede opposte guerra e daiv" (cfr. Marrucci 2005, p. 89 n. 184) ma anche quella tra povlemo" e filovth" più volte enunciata che trova tuttavia una correzione in senso critico nel caso dell’esito del duello tra Ettore e Aiace, culminato con uno scambio di doni e in un gesto che sanziona il legame di filovth" ma che non esclude ulteriori scontri e reciproci tentativi di annientamento da parte dei due eroi in guerra.

350

ma, prima di pronunciare il vaticinio sulla causa dell’ira di Apollo, Calcante chiede ad Achille di difenderlo e[pesin kai; cersi;n351. Mentre nel primo caso il legame sintattico tra e[pei e e[rgw è costituito dal nesso h]...hje; ; ; che implica una distinzione netta tra le due modalità di ; rendere un favore a Zeus352, nelle parole di Calcante emerge chiaramente l’aspetto di complementarità insito in questa opposizione duale: il kaiv distingue e unisce due valori differenti ma entrambi indispensabili all’interno delle dinamiche interpersonali che intervengono in un contesto bellico. Calcante, prima di rendere il proprio vaticinio, si assicura che, qualora ce ne fosse bisogno, Achille farà ricorso, per difenderlo dalle ire di Agamennone, non solo agli strumenti della dialettica ma anche a quelli della forza, conducendo, se necessario, l’alterco verbale verso un reale combattimento giocato con gli strumenti che la guerra impone. Achille, del resto, è stato educato da Fenice in entrambi i sensi ed esiste una reale omologia non solo tra ciò che l’eroe dice e ciò che l’eroe fa ma anche tra come lo dice e come lo fa353.

Essere bravi nell’uno e nell’altro campo è opportuno e utile ma si tratta di una qualità non da tutti. In genere i personaggi cui è riconoscitua questa doppia abilità sono qualificati da epiteti che ne connotano le qualità intellettuali tipiche, per esempio, degli anziani o di categorie particolari come quella degli indovini e dei khvruke": mi riferisco in particolare all’epiteto eju>fronevwn che si trova riferito in varie occasioni a Nestore ma anche a Odisseo, al mavnti" Calcante e a Polidamante e, tra gli altri, all’eroe etolo Tòante354 di cui si dice che era ejsqlo;" d jejn stadivh/: ajgorh§/ dev eJ pau§roi jAcaiw§n nivkwn, oJppovte kou§roi ejrivvsseian peri; muvqwn.

Odisseo ne è l’esempio sommo, l’eroe cui è universalmente riconosciuto un valore particolare in entrambi i campi355:

w] povpoi, h\ dh; muriv j jOdusseu;" ejsqla; e[orge boulav" t jejxavrcwn ajgaqa;" povlemovn te koruvsswn: Ehilà, certo che Odisseo mille ne ha fatte di cose splendide

a proporre scelte azzeccate e ad animare la guerra;(...) (Trad. di G. Cerri)

Anche l’identità del prototipo dell’ajristeuv" in azione, il furioso Diomede, è connotata dall’equilibrio e dalla dialettica tra l’eccellenza in entrambe le abilità356:

Tudei>vdh, pevri me;n polevmwpolevmwpolevmwpolevmw/ e[ni karterov" ejssi, kai; boulhboulhboulh§/ meta; pavnta" oJmhvlika" e[pleu a[risto". boulh

351

A, 77. 352

Nestore, del resto, oppone l’uso delle parole al raggiungimento di un mh§co", un mezzo concreto con cui risolvere la situazione: au[tw" ga;r ejpevess jejridaivnomen, oujdev ti mh§co" (B, 342).

353

Cfr. Parry 1957, pp. 5-7 nota nel linguaggio di Achille, in particolare nella risposta data ad Odisseo nell’ambasceria, un discostarsi dal modo tradizionale di parlare tipico dell’eroe epico che l’Autore legge come un prendere le distanze, parzialmente consapevole, da parte del personaggio, dall’etica e dalla “Weltanschauung” epica.

354

Per Nestore cfr. A, 253, B, 78, H, 326, I, 95; per Odisseo cfr. B, 283, per i mavnteiı Calcante e Polidamante cfr. rispettivamente A, 73 e S, 253; per Toante O, 281 ss.

355

Cfr. B, 272-273 ma anche G, 205 ss. 356

La polarità, a proposito di Diomede, ricorre già in D, 400 ss. Agamennone provoca, a scopo esortativo, Diomede, rimproverandolo a torto di essere “peggiore in battaglia” ma “migliore in consiglio” rispetto al padre Tideo. Il passo riportato e dicusso si trova in I, 53 ss.

Ou[ ti" toi to;n mu§qon ojnovssetai, o{ssoi jAcaioiv, oujde; pavlin ejrevei: ajta;r ouj tevlo" i{keo muvqwn. h\ me;n kai; nevo"nevo"nevo" ejssiv, ejmo;" dev ke kai; pavi>" ei[h" nevo" oJplovtato" geneh§fin: ajta;r ppppeeeepnumpnumpnumpnumeeeevnavnavnavna bavzei" jArgeivwn basilh°§a", ejpei; kata; moi§ran ekata; moi§ran ekata; moi§ran ekata; moi§ran e[eipe[eipe[eipeı. [eipeı. ı. ı.

Tidide, sei forte più degli altri alla guerra,

e sei il migliore a consiglio fra tutti quelli della tua età. Nessuno, quanti sono gli Achei, smentirà il tuo detto

nè parlerà in senso contrario; ma non hai concluso il discorso. Certo, sei ancora giovane, e potresti essermi figlio,

l’ultimo ad essere nato; eppure dici cose assennate ai re degli Achei, sì che hai parlato a proposito.

(Trad. di G. Cerri)

È molto significativo il contesto in cui si colloca l’osservazione di Nestore che riassume e chiarisce sia il nesso tra anzianità, capacità di formulare pensieri e parole adeguati al contesto e alla realtà su cui dovranno incidere (kata; moi§ran e[eipe") e particolare finezza intellettuale (pepnumevna bavzei"), sia l’opportunità e la felicità di una situazione in cui questo nesso sia sovvertito e anzi la giovane età, garanzia di eccellenza in battaglia, unita all’abilità in consiglio costituisce la sintesi ideale dell’eroe. Nestore elogia il precedente discorso di Diomede in cui l’eroe, offeso dalla proposta di fuga avanzata da Agamennone, ne mette in discussione l’autorevolezza, scindendo il possesso dello scettro, dono divino e non merito del soggetto, da quello dell’ajlkhv che il re dimostra di non esercitare: laddove l’identità di sovrano assoluto di Agamennone è, ancora una volta, minata e messa in discussione dall’interno e il simbolo del potere implicitamente individuato nelle mani sbagliate, la perdita di credibilità e l’inadeguatezza del sovrano rispetto al proprio ruolo è connotata come mancata compresenza di due elementi in costante rapporto dialettico, lo scettro e la forza. Lo scettro, oltre che il principale simbolo dell’autorità regale, è anche simbolo della parola autorevole, pubblica ed efficace, la parola che passa nell’ajgorav autorizzata e sanzionata dal passaggio e dal possesso momentaneo dello scettro stesso, è, in un certo senso, attributo sacro che oggettiva il principio del kata; moi§ran eijpei§n: se leggiamo la critica di Diomede estendendo la polemica dal dato di base dell’autorità regale a questa più ampia prospettiva, ancora più senso assume, per contrasto, l’elogio di Nestore a Diomede e la sua riconosciuta capacità di eccellere in entrambi i contesti.

La doppia abilità che caratterizza sia Odisseo che Diomede è alla base dell’esperienza comune della spedizione notturna al campo troiano: proprio in virtù di una sintesi di qualità, che noi sappiamo accomunare i due eroi, Diomede sceglie Odisseo come compagno ideale per la missione; le qualità essenziali sono avere provfrwn kradivh kai; qumov" ajghvnwr, uniti al favore di Atena e alla capacità di “pensare bene”, perivoide noh§sai357.

Talvolta le dinamiche comunicative tra due personaggi sono giocate sull’opposizione

guerra-parola. Il fatto emerge chiaramente nell’ambasciata ad Achille, in cui ad Aiace, eroe

mastodontico del corpo-a-corpo ed eroe di poche parole, non è affidato il compito di rivolgere un discorso persuasivo ad Achille ma è richiesta la sola presenza in qualità di valido rappresentante e fondamentale baluardo delle forze achee impegnate in campo.

Per elogiare il particolare valore in guerra dei due Aiaci e sottolinearne il ruolo indispensabile nell’andamento positivo della guerra, Agamennone esprime il desiderio che tutti

357

i combattenti achei potessero avere lo stesso loro qumovı: lo stesso ruolo essenziale per la collettività è attribuito all’abilità oratoria, nell’ambito dell’ajgorav, di Nestore358:

ai] gavr, Zeu§ te pavter kai; jAqhnaivh kai; [Apollon toi§" pa§sin qumo;" ejni; sthvqessi gevnoito:

toiou§toi devka moi sumfravdmone" ei\en jAcaiw§n tw§ ka tavc jhjmuvseie povli" Priavmoio a[nakto", cersi;n uJf jhJmetevrh/sin aJlou§sav te perqomevnh te.

Magari, Zeus padre e Atena e Apollo, così saldo a tutti l’animo stesse nel petto

avessi dieci consiglieri così, come te, fra gli Achei presto allora si piegherebbe la città di Priamo sovrano sotto le nostre mani presa e saccheggiata.

(Trad. di G. Cerri)

Due personaggi di opposto carattere come Polidamante ed Ettore possono essere presentati come valenti l’uno con le parole l’altro con la lancia sebbene lo stesso Polidamante venga più volte annoverato tra i più valorosi Troiani: il suo ruolo e quello di Ettore come guide dell’esercito sono complementari durante l’azione di assalto al muro degli Achei fino al momento in cui Ettore non condivide il consiglio di non spingersi fino alle navi sulla base dell’interpretazione del volo dell’aquila con il serpente in bocca. In questa fase si ha la rottura della complementarità e il primo accenno, da parte del “quasi-mavnti"” Polidamante, alla criticità della relazione comunicativa tra i due in contesto pubblico359:

{Ektor, ajei; mevn pwv" moi ejpilhvssei" ajgorh/§sin ejsqla; frazomevnw/, ejpei; oujde; e[oike

dh§mon ejovnta pare;x ajgoreuvemen, ou[t jejni; boulh/§ ou[te pot jejn polevmw/, so;n de; kravto" aie;n ajevxein: nu§n au\t jejxerevw w{" moi dokei§ ei\nai a[rista. Ettore, in assemblea tu mi riprendi sempre,

anche se do buoni consigli, giacchè non è certo bene che uno del popolo dica il contrario, sia nel consiglio,

sia tanto meno alla guerra, ma che sempre esalti il tuo potere. Tuttavia ora dirò come credo sia per il meglio.

(Trad. di G. Cerri)

Dalla dinamica comunicativa che si instaura tra i due, spesso critica e fondata su tale opposizione costituzionale, in particolare dal potere discrezionale di Ettore e dall’autonomia che egli dimostra nell’opporsi ai consigli di Polidamante supportati da un sapere assai prossimo a quello mantico, scaturiscono sviluppi narrativi fondamentali e, nel caso di S, disastrosi per i

358

Cfr. D, 288-291 ≈ B, 371-374.

359M, 210. Polidamante interpreta e spiega tecnicamente il prodigio ma egli stesso specifica di non

essere un qeoprovpio", di non essere cioè un sacerdote specializzato nell’interpretazione dei messaggi divini ma sufficientemente capace di intepretare segnali evidentemente ominosi (vv. 228 ss.).

Troiani: l’enfasi posta sull’incompletezza dell’identità guerriera di Ettore, bravo in battaglia ma poco accorto nel comprendere quale sia la decisione giusta e nell’ascoltare i consigli di chi è istituzionalmente riconosciuto come più saggio, valorizza il motivo della responsabilità del principe troiano nei confronti della propria città e collettività e rende ancora più tragico e paradossale il destino del personaggio. L’identità guerriera di Ettore è, in fin dei conti, debole e insufficiente sia sul piano auto-referenziale che su quello del riconoscimento pubblico: lo