3. P ER UNA “ GEOPOLITICA UMANA ”
3.2 Il corpo politico
Immaginiamo di prendere il sole in spiaggia. Siamo molto rilassati.
ELVIRA – Senti però, a pensarci bene, dai, il colonialismo non esiste. DANIELE – È vero. Non esiste. Non è mai esistito. Forse qualcosa nel ’500, ’600, ’800, gli inglesi, i francesi, boh forse il Sudafrica, con l’apartheid, ma chissà adesso come si vive in Sudafrica… ELVIRA – C’è il sole. (Pausa) Ma sì, il colonialismo non esiste, quello italiano poi. È roba vecchia, sì, mica possiamo rivangarla in eterno, cosa c’entra con noi, guardiamo avanti, guardiamo al mondo senza frontiere che abbiamo, che ce lo siamo meritato. Un mondo nuovo. Ecco. Immaginiamolo. Tutti insieme. Immaginiamo tutti insieme il nostro mondo. Immaginiamolo.
Pausa
ELVIRA – Immaginato? Fatto?17
Elvira e Daniele attraverso il teatro hanno ridato vita a parte della storia che nel mondo occidentale, ma in particolar modo in Italia, era stata messa da parte, eliminata dalla memoria politica e sociale: il colonialismo.
Parlando della storia passata nel nostro Paese vogliamo parlare di oggi. Questa parte della nostra storia, quella dell’epoca coloniale italiana, costituisce un vero e proprio rimosso della nostra coscienza nazionale, ma la nostra identità odierna è fatta anche del nostro passato storico e di come ci è stato tramandato, di come si è stratificato nel nostro pensiero. Siamo, oggi più che mai, alle prese con il nostro smarrimento, le nostre paure e i nostri sensi di colpa di fronte alle migrazioni18.
Frithjof Schuon scriveva in Comprendere l’Islām che, alla pari di «tutte le civiltà tradizionali, l’Islām è uno “spazio” e non un “tempo”; il “tempo” per l’Islām è soltanto la corruzione dello spazio»19. Il mondo occidentale invece ha l’ossessione del tempo, lo teme e vive perennemente nel presente. Per questa ragione non usa la lente d’ingrandimento sul passato e sul resto dell’umanità, ma è concentrato e ripiegato su sé
17 E. Frosini, D. Timpano, Acqua di colonia, Cue press, Imola-Bologna, 2016. 18
G. Romani Jacur, Acqua di Colonia, Intervista a Frosini-Timpano, “Il lavoro culturale”, Novembre 2017 http://www.lavoroculturale.org/acqua-di-colonia-intervista-a-frosini-timpano/. Ultima consultazione gennaio 2019.
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stesso come i feudi medievali. L’Occidente, ma in misura più ampia la modernità intera, ha perso di vista la dimensione dello “spazio” finendo per livellare un perpetuo presente uguale ovunque. Ad un certo punto la società occidentale ha smesso di guardarsi indietro, fin troppo fiduciosa nel proprio progresso da pensare che questo potesse avvenire senza sforzi. Lo smarrimento dell’uomo moderno è dovuto al fatto che non è più in grado di riconoscere le sue radici, da dove proviene, qual è il suo passato, la sua storia, la sua memoria. Il teatro si riscopre quindi come uno strumento essenziale per uscire dalla chiusura mentale e dall’assuefazione dilagante.
Non c’è una relazione deterministica di causa-effetto tra colonialismo storico, flussi migratori e terrorismo odierni. Sarebbe una lettura estremamente semplicistica e superficiale, ma c’è una relazione complessa, sia con la breve storia coloniale italiana, che con quella dei grandi imperi europei. Esiste una relazione intercorsa nel passato fra questo continuo usato “noi” e “loro”, una relazione fra le nostre storie20. I migranti che arrivano hanno alle spalle delle relazioni storiche dei loro Paesi di provenienza con i Paesi in cui cercano di migrare. Senza voler generalizzare, nel caso dell’Italia, la relazione passata fra gli italiani e i migranti provenienti da ex colonie italiane, ad esempio, è ignorata dagli italiani: si tratta di un vuoto storico, una rimozione storica e culturale. Il colonialismo italiano e i suoi sottili residui sono presenti più di quanto si creda nella cultura, nel linguaggio e nei corpi, nelle geografie cittadine ma ignorandoli le persone non possono averne coscienza.
C’è una vera e propria rimozione. Non si conosce il colonialismo italiano, prima non si studiava nemmeno. Il primo che ha cercato di capire è stato lo storico Angelo Del Boca21, che ha studiato il Corno d’Africa e ha scoperto l’uso dei gas nella conquista mussoliniana dell’Etiopia22
. Francesca Melandri, autrice del romanzo Sangue giusto, parla di una doppia rimozione: dall’alto e dal basso. La prima è istituzionale, la seconda è inconscia ma entrambe hanno portato a eliminare intere collettività e quindi anche le singole persone che ne fanno parte23.
20 E. Frosini, D. Timpano, op.cit.
21 Storico, giornalista e scrittore italiano, è considerato il maggiore studioso del colonialismo italiano. È stato il primo ad occuparsi della ricostruzione critica e sistematica della storia politico-militare dell'espansione italiana in Africa orientale e in Libia, e primo fra gli storici a denunciare i numerosi crimini di guerra compiuti dalle truppe italiane durante le guerre coloniali fasciste.
22 A. Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d'Etiopia, Editori Riuniti, Roma, 2007. 23 F. Melandri, Sangue giusto, Rizzoli, Milano, 2017.
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Le Istituzioni sono lo specchio del ben o del mal funzionamento di una società, della sua storia e della sua cultura. Cancellare il colonialismo fu funzionale per rimuovere il fascismo. L’Italia del dopoguerra era un’Italia fragile e non era funzionale né al Partito Comunista né tanto meno alla Democrazia Cristiana rivangare un passato ancora troppo fresco. Ma la storia è fondamentale per costruire il presente e preparare il futuro ed oggi viviamo le conseguenze di quelle scelte. Grazie alle seconde generazioni di italiani e del Corno d’Africa negli ultimi anni è iniziato un lavoro di «archeologia della memoria»24 per ridare spazio a un capitolo della storia italiana essenziale di fronte alle dinamiche odierne.
Quando i migranti del Corno d’Africa scappano dalle dittature e giungono in Italia, manca da parte dei cittadini italiani una forma di riconoscimento. I segni di un mancato riconoscimento sono presenti ovunque tutt’oggi. Basti pensare ai molti eritrei che erano presenti tra le vittime del tragico naufragio a Lampedusa del 3 ottobre 2013 e nessun rappresentante politico ne ha parlato. Lo stesso vale per il caso della nave
Diciotti bloccata a Catania. La copertura mediatica sulla vicenda non ha accennato al
rapporto culturale e storico che questi migranti hanno con l’Italia. Le istituzioni politiche che dovrebbero ricoprire un ruolo fondamentale sono state le grandi assenti: nessuno mai ha chiesto scusa per i crimini commessi durante il colonialismo. Con Elvira Frosini e Daniele Timpano in Acqua di colonia è stato sottolineato bene questo atteggiamento. Gli italiani sono stati colonizzati dalla propaganda coloniale e dalle sue promesse. Erano le famose “faccette nere”: «il colonialismo ti prometteva di andare dall’altra parte e fare il padrone, annichilire gli uomini, prendere le loro donne e le loro risorse. La propaganda era anche una promessa sessuale e il corpo femminile una metafora della risorsa da penetrare»25. Un’immagine che è rimasta, in parte, quando si pensa ai migranti come subalterni e al corpo delle donne migranti come un oggetto da usare. Si capisce dallo sguardo di chi arriva: i migranti vanno bene solo se sono in un certo modo.
Nel mondo culturale è lo stesso: l’Italia è ancora un paese bianco e i corpi non bianchi sono pochi. Servono corpi per cambiare o altrimenti mancano i contenuti: la
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M. Facchini, Igiaba Scego: “Di Maio parla di neocolonialismo francese ma l’Italia ha rimosso il suo passato in Africa”, “TPI”, 26/01/2019: https://www.tpi.it/2019/01/26/igiaba-scego-colonialismo- intervista/. Ultima consultazione febbraio 2019.
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storia occidentale non può cambiare se nella società eterogenea nella quale viviamo oggi non diamo spazio anche ai corpi stranieri26. Educare alla memoria diventa quindi fondamentale. A teatro entrano “corpi universali”, senza frontiera alcuna; corpi violentati, disabili, neri, bianchi, gialli, piccoli, grandi, corpi con delle storie da raccontare, storie di singoli individui che messe insieme costruiscono una storia collettiva accessibile a tutti. Analizzando le storie e il lavoro di alcuni grandi personaggi del mondo teatrale ed intervistandone altri ho cercato di ricostruire una memoria, il punto di partenza per poter poi ricercare nel mio lavoro a contatto con i giovani l’effetto del teatro sulle loro vite.
«L’uomo comune tende a non considerare degni di nota i problemi che non lo coinvolgono direttamente»27 scrive Dario Fo, problemi che poi si mostrano essere grandi «cigni neri» inaspettati. Diventare coscienti di ciò che accade in questo piccolo grande mondo, facendo il primo importantissimo passo per un sentimento cosmopolita e dedicato alla giustizia senza confini di Stato o razza, è ciò che invece l’individuo dovrebbe imparare a fare. Chiudere gli occhi e girare la testa dall’altra parte porta a tracciare confini e ad innalzare frontiere dentro ognuno di noi che poi risultano difficilmente abbattibili dal momento che mancano gli strumenti conoscitivi adeguati.
Parlare della nostra storia ha a che vedere con la nostra identità, con la nostra storia personale. I pensieri che abbiamo in testa derivano da cose che abbiamo letto, canzoni che abbiamo conosciuto come l’immagine del rapporto sbilanciato che abbiamo con l’“altro”, con il nero, di cui parliamo, male o bene, ma di cui non sentiamo il bisogno di ascoltare la voce. Frosini e Timpano nel raccontare il lavoro svolto per creare
Acqua di Colonia hanno riportato che il fine non era mettere in scena il loro punto di
vista della storia, che sarebbe risultato assoluto e controproducente, bensì «proseguire per salti logici che, volutamente, vanificano la possibilità di rintracciare una singola, univoca versione della storia»28. La storia racchiude numerose versioni a seconda di chi la racconta, del fine divulgativo che vuole avere e dell’interesse politico e strategico che si cela dietro. Per questo motivo in Italia è stata eliminata la memoria coloniale e in
26 M. Facchini, op. cit: https://www.tpi.it/2019/01/26/igiaba-scego-colonialismo-intervista/. Ultima consultazione febbraio 2019.
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D. Fo, prefazione a Shady Hamadi, La felicità araba, Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana, Add editore, Torino, 2016, p.15.
28 G. Romani Jacur, op. cit. http://www.lavoroculturale.org/acqua-di-colonia-intervista-a-frosini-timpano/. Ultima consultazione febbraio 2019.
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generale in Occidente è stato costruito un modello di vita che portasse a vivere nella corsa costante e nella frenesia di un eterno presente. Ma senza lasciare spazio al senso critico, all’educazione delle coscienze e alla storia, è difficile poter avere una visione di futuro.
L’unica rivoluzione che serve è quella dentro di te. Le altre le vedi. Le altre si ripetono, si ripetono in maniera costante, perché al fondo c’è la natura dell’uomo. E se l’uomo non cambia, se l’uomo non fa questo salto di qualità, se l’uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, all’interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete29.
Terzani, come prima di lui Kant30, sottolinea come le idee, la presa di coscienza del singolo individuo sono le uniche in grado di poter cambiare la storia. La responsabilità individuale diventa oggi necessaria più che mai se non si vuole ricadere in quella «banalità del male» ben descritta da Hannah Arendt. L’assuefazione alla normale presenza di un male latente, non assoluto, ma altrettanto rischioso porta l’individuo ad abituarsi alla violenza, che sia verbale, fisica o psicologica: nulla come l’abitudine porta a sottovalutare i pericoli latenti nella società, in primis un linguaggio d’incitamento all’odio31
.
In geopolitica i pericoli, i «cigni neri», sono il frutto delle politiche degli Stati più forti a discapito degli altri. In questa sfida globale non bisogna dimenticare che il confronto finale non è tra economie, ma tra modelli di società, di democrazia, di governo. Semplicemente: di vita. Per questa ragione la geopolitica deve “umanizzarsi”, lasciare entrare i “corpi”, deve far sì che le Istituzioni si preoccupino davvero dell’uomo. Oggigiorno i più sono consapevoli di tutto ciò, eppure continuiamo a pensare che il razzismo, in Italia soprattutto, sia un fenomeno recentissimo. E così restiamo fermi, incapaci di fare i conti con il nostro “piccolo” passato coloniale, incastrati nel mito degli «italiani brava gente», analizzato da Angelo Del Boca32. Affrontare la rimozione di questo passato recente significa voltarsi indietro. Non per tracciare paragoni e fare forzature, ma per leggere il presente, ragionando insieme sulle
29 T. Terzani, La Fine è il mio Inizio, Longanesi, Milano, 2006. 30
I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, a cura di Matteo Benzi, Edizioni ETS, Pisa, 2013.
31 H. Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano, 2001. 32 A. Del Boca, Italiani brava gente, BEAT, Milano, 2014.
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origini delle nostre categorie culturali. Il linguaggio, come precedentemente detto, è lo strumento più forte che porta a categorizzare i concetti, le persone, le abitudini, la società. Le categorie culturali e gli stereotipi possono essere eliminati attraverso l’incontro, creando ponti e portando a leggere la realtà da un’altra prospettiva. La storia non si fa più portatrice di una verità assoluta ma diventa, come in Acqua di colonia, una commistione. Spetterà poi al cittadino consapevole prendere una decisione, agendo e non subendo ciò che gli viene imposto da altri. Altrimenti la paura, che pensiamo di riuscire a riconoscere, almeno a definire, in ogni caso a controllare, arriverà a straripare da un campo all'altro, «invadendo aree non controllate, cancellando confini, mescolando territori, fino a confonderci»33. Se non ci poniamo in quest’ottica, la perdita di memoria non più legata solo al presente ma ormai intergenerazionale finirà per essere la causa delle future controversie nazionali quanto internazionali.
In quest’ottica possiamo considerare l’individuo il «cigno nero» e la globalizzazione i «cigni bianchi» che creano sistemi ritenuti validi per tutti. Questi sistemi creano confini, un preconcetto occidentale34, che poi si estende al modello culturale, prima grande barriera umana. Marina Abramović35 nella sua autobiografia ha scritto che «gli artisti devono portare la propria consapevolezza nella società. Se vivi in posti difficili allora puoi portare qualcosa. Sono i giovani che assumeranno la responsabilità del cambiamento. I muri non sono ostacoli ma stimoli per esercitare il potere della volontà»36. La volontà di Marina sta nell’utilizzo del corpo come strumento per superare confini, «per reclamare il proprio diritto ad essere»37. L’artista vuole tornare a parlare di tematiche sociali grazie al corpo che diventa così un antidoto al capitalismo e alla mercificazione dei soggetti. Attraverso la performance il pubblico osserva sé stesso e l’osservatore diventa osservato, fermandosi a riflettere. Il bisogno di fermarsi in questa vita che è sempre di fretta diventa essenziale per fare, finalmente, qualcosa che sia la vita stessa. Esplorare nuovi modi di comunicare aiuta a rendere le
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E. Mauro, Il paese della paura, editoriale in “La Repubblica”, 28/11/2018: https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2018/11/28/news/decreto_sicurezza_la_legge_della_paura-
212891352/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1. Ultima consultazione febbraio 2019. 34 Cfr primo capitolo.
35 Artista serba naturalizzata statunitense è attiva fin dagli anni Sessanta del XX secolo. Si è autodefinita come la «nonna della performance art»: il suo lavoro esplora le relazioni tra l'artista e il pubblico, ed il contrasto tra i limiti del corpo e le possibilità della mente.
36 M. Abramović con J. Kaplan, Attraversare i muri, Bompiani, Milano, 2016. 37 A. Jones, T. Warr, Il corpo dell’artista, Phaidon, London, 2011.
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persone più aperte verso l’altro perché quello che si crea è finire col guardare qualcosa in modo tale da poter ritrovare noi stessi. I lavori dell’Abramović non hanno un messaggio solamente politico, economico, sociale o di disturbo, hanno sempre contenuto tutto perché più il lavoro è stratificato più riesce a durare nel tempo. Un tempo che non si ferma al presente ma che diventa eterno perché non muore con l’artista ma continua a vivere con la performance. «La politica cambia così velocemente, è come i titoli dei giornali, il giorno dopo non hanno più senso, quindi più si va a fondo e più si diventa universali come artisti»38. Durante la performance Balkan
Baroque39 l'artista si trovava seduta su un mucchio d'ossa di bovino che ripuliva dalla
carne e dalla cartilagine residua, in un rituale di purificazione di sé stessa e per le stragi che avvenivano nei Balcani. Con questo lavoro l'artista ha voluto denunciare gli orrori che sono stati commessi durante la guerra nei Balcani40. La forza di questa performance è stata tale da smuovere le coscienze del pubblico. La denuncia politica che conteneva divenne universale e riuscì ad abbattere interi muri di coscienze. Il corpo diventa quindi protagonista, espressione più vera della società e del disagio interiore dell’uomo.
Da maggio a luglio 2018, lavorando come stagista presso Santarcangelo dei Teatri in occasione della 48° edizione del Festival Internazionale del Teatro in Piazza41, ho avuto modo di intervistare diversi artisti che, attraverso il lavoro sul proprio corpo e su quello dei bambini, hanno cercato di “contaminare” gli spettatori. Attraverso queste testimonianze, unendole a quelle di altri artisti provenienti da altri contesti e alla mia esperienza in Sud Africa ho voluto dimostrare l’importanza che può assumere il teatro nella vita delle persone: da smuovere le coscienze a renderle consapevoli di sé stesse, dei propri diritti e delle proprie capacità.
As Far As My Fingertips Take Me è una performance realizzata dall’artista
britannica di origini libanesi, Tania El Khoury, in collaborazione con un musicista e artista di strada Basel Zaraa originario di Yarmouk, campeggio per rifugiati palestinesi in Siria. Tania El Khoury commissionò a Zaara di registrare una canzone inspirata dal
38 Intervista a Marina Abramović, Abramović: la politica perde senso in fretta, l’arte va più a fondo, “Controradio”, 17/12/2018: https://www.controradio.it/abramovic-la-politica-perde-senso-in-fretta-larte- va-piu-a-fondo/. Ultima consultazione febbraio 2019.
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Performance eseguita da Marina Abramović durante la Biennale di Venezia nel 1997.
40 Si veda A. Lallo, La guerra nei Balcani. La doppia guerra: pulizia etnica e bombe, Nuova Dimensione, Portogruaro VE, 2000.
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viaggio che le sue sorelle avevano fatto da Damasco alla Svezia. Sfiorando il braccio dello spettatore con le dita e contemporaneamente ascoltando il suono della registrazione, l’esperienza del viaggio dei migranti siriani viene riproposta durante la performance. Il potenziale etico e politico che scaturisce dall’interazione con il pubblico, è un incontro, attraverso un muro, tra uno spettatore e un rifugiato. Non possono vedersi, ma le punte delle loro dita si sfiorano. Questo incontro intimo porta ad uno stato di empatia molto profondo perché dall’altra parte del muro Basel Zaara traccia con un pennello l’immagine del viaggio sulla pelle dello spettatore. In questo modo Tania El Khoury è riuscita letteralmente a far “sentire” a chi partecipa al lavoro cosa vuol dire essere un rifugiato e cosa provoca l'effetto della discriminazione al confine con altri Stati sulla vita delle persone.
Ho avuto l’opportunità di intervistare Basel Zaara durante i giorni di Festival a Santarcangelo e chiesi se il teatro avrebbe potuto funzionare come strumento di prevenzione dei conflitti e superamento dei confini. Mi rispose descrivendomi lo scopo del suo lavoro con Tania El Khoury:
Le punta delle nostre dita sul braccio dello spettatore facilitano il tocco e le sensazioni, ma sono usate anche dalle autorità per localizzarci. Il Regolamento di Dublino42 creò un database di impronte digitali riconoscibili in tutta l'Europa per tutti i rifugiati ed i migranti. Il Regolamento sancisce che un rifugiato è rispedito nel luogo dove le punta delle sue dita sono state registrate la prima volta, senza alcun riguardo alle loro necessità, desideri o piani. Nel mondo di oggi, il viaggio di un rifugiato può continuare as far as their fingertips take them43.
In questo modo il viaggio di chi ha superato confini e sfidato discriminazioni rimane impresso nel corpo e nella memoria, in uno scambio lieve e potente che penetra sotto la superficie, fino al cuore.
42 Si rimanda al secondo capitolo.
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1. As Far As My Fingertips Take me, Basel Zaara durante la performance. http://www.iogazette.fr/reportages/2017/latitudes-contemporaines-festin-scenique/attachment/1200-x-
600-tania/ . Ultima consultazione febbraio 2019.
Panagiota Kallimani, con la sua performance Arrêt sur l’image, ha provato a dare un “ritmo” diverso a quello consueto dei bambini che è rapido. La loro energia è intensa