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6. Diritti relativi alla tutela dei rapporti familiari e sociali 1 Note introduttive

6.4 La corrispondenza telefonica

La corrispondenza telefonica è disciplinata dall’art. 18 della L 354/75, che al 5° comma stabilisce che «Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento.», e dall’art. 39 del Regolamento di esecuzione che, relativamente alle

categorie di soggetti che possono essere ammesse alla corrispondenza telefonica con i

reclusi, specifica al 2° co. che «I condannati e gli internati possono essere autorizzati dal direttore dell'istituto alla corrispondenza telefonica con i congiunti e conviventi, ovvero, allorché ricorrano ragionevoli e verificati motivi, con persone diverse dai congiunti e conviventi».

La fruizione della corrispondenza telefonica da parte della popolazione ristretta costituisce una novità assoluta del vigente Ordinamento penitenziario anche se la relativa regolamentazione ha sollevato molte perplessità in relazione ad alcuni aspetti ritenuti alquanto problematici. In primo luogo, l’art. 18 stabilisce che i detenuti e gli

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Enrico Delehaye, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, in Le questioni

controverse in tema di esecuzione della pena: gli orientamenti del giudice di legittimità,

internati “possono essere autorizzati”, presumendo un provvedimento di autorizzazione che apre, secondo la dottrina, a una mera “facoltà” e non certo a un “obbligo” dell’amministrazione a consentire questo genere di comunicazione, cosa che ridimensiona certamente l’ampiezza del diritto alla corrispondenza telefonica.

Le telefonate verso terzi, potendosi autorizzare solo in frangenti eccezionali, avranno evidentemente rara frequenza, anche quando ci si troverà di fronte a legami affettivi rilevanti per i soggetti coinvolti ma non supportati dal vincolo familiare o di convivenza. La norma regolamentare, secondo l’analisi di Stortone, riduce pertanto la corrispondenza telefonica «quasi esclusivamente a … surrogato dei colloqui non effettuati».

Occorre intanto distinguere tra telefonate provenienti dall’esterno e quelle fatte dall’interno del carcere. Le prime sono disciplinate dal co. 10 dell’art. 39 Reg. Es. che dispone:

«In caso di chiamata dall'esterno diretta ad avere corrispondenza telefonica con i detenuti e gli internati, all'interessato può essere data solo comunicazione del nominativo dichiarato dalla persona che ha chiamato, sempre che non ostino particolari motivi di cautela.».

E’ stata esclusa la corrispondenza telefonica su chiamata dall’esterno, dicono DiGennaro-Breda-LaGreca, presumibilmente perché sarebbe mancata l’operatività delle cautele e si sarebbe determinata una situazione difficilmente compatibile con le esigenze di organizzazione interna e di disciplina89.

Sempre al co. 10 dell’art. 39 del Regolamento è disciplinata l’ipotesi di chiamata dall’esterno nel «caso in cui la chiamata provenga da congiunto o convivente anch'esso detenuto»; in questa ipotesi «si dà corso alla conversazione, purché entrambi siano stati regolarmente autorizzati …».

Relativamente alle telefonate verso l’esterno, il 1° co. del predetto art. 39 stabilisce che «In ogni istituto sono installati uno o più telefoni secondo le occorrenze». La quantità di colloqui telefonici concedibili non è stabilito per legge, ma dal Regolamento di esecuzione che dispone al comma 2, dell’art. 39 Reg., che i detenuti possono essere autorizzati a fruire delle telefonate «una volta alla settimana» e che inoltre possono

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Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Giuffrè, Milano 1997, p. 123-129

essere autorizzati «ad effettuare una corrispondenza telefonica con i familiari o con le persone conviventi in occasione del loro rientro nell'istituto dal permesso o dalla licenza». Si precisa ancora che «Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell'articolo 4-bis della legge e per i quali si applichi il divieto dei benefici ivi previsto, il numero dei colloqui telefonici non può essere superiore a due al mese.».

Colloqui telefonici ulteriori sono previsti, oltre che al rientro in istituto dal permesso (di

necessità o premiale) o dalla licenza (per i semiliberi e gli internati), anche «in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonché in caso di trasferimento del detenuto.» (comma 3, art. 39 Reg. Es.). Relativamente a quest’ultima evenienza, la disposizione si ricollega all’art. 29 O.P., co. 1, che recita: «I detenuti e gli internati sono posti in grado d'informare immediatamente i congiunti e le altre persone da essi eventualmente indicate del loro ingresso in un istituto penitenziario o dell'avvenuto trasferimento». Nell’ipotesi riguardante invece la conversazione telefonica con “prole di età inferiore a dieci anni”, sussistono non pochi dubbi interpretativi. La formulazione della norma, dice Giuseppe Melchiorre Napoli90, lascia aperte due diverse soluzioni. Nella prima, sarebbe possibile autorizzare l’effettuazione di telefonate tra detenuti e figli minori dei dieci anni soltanto nel caso ricorrano motivi di urgenza o di particolare rilevanza; nella seconda, la norma distinguerebbe due diverse ipotesi di colloqui telefonici: quelli che possono essere accordati qualora ricorrano “motivi di urgenza o di particolare rilevanza” e quelli che possono essere concessi quando si svolgono “con prole di età inferiore ai dieci anni”. L’Amministrazione penitenziaria si è espressa a favore di questa seconda interpretazione, precisandone i contenuti con l’emanazione della circolare DAP n. 3533/5983 del 2000.

Come specificato nelle disposizioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 39 Reg. Es., il contatto telefonico viene stabilito dal personale dell'istituto con le modalità tecnologiche disponibili per una durata massima di ciascuna conversazione telefonica di dieci minuti (sei minuti, nel precedente Regolamento del 1976). I giorni in cui è possibile effettuare

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Giuseppe Melchiorre Napoli, I colloqui visivi e la corrispondenza telefonica dei detenuti e degli internati, pp. 17-19, pubblicato il 19-04-2007, www.diritto.it p. 47

le telefonate e le particolari modalità di svolgimento della conversazione sono fissati dal regolamento dell’istituto (art. 36, comma 2°, lett. f, Reg. Es.). Nessuna disposizione indica i casi in cui sarebbe possibile autorizzare il prolungarsi della conversazione telefonica, neppure con riferimento a quei detenuti che non fruiscono di sistematici contatti con i familiari. Né è prevista, come avviene invece in materia di

corrispondenza epistolare, la possibilità che il recluso privo di fondi svolga colloqui telefonici con spesa a carico dell’Amministrazione penitenziaria: «8. La corrispondenza

telefonica è effettuata a spese dell'interessato, anche mediante scheda telefonica prepagata. 9. La contabilizzazione della spesa avviene per ciascuna telefonata e contestualmente ad essa.».

La telefonata può essere autorizzata su iniziativa scritta del solo ristretto che deve anche indicare i motivi che consentono l'autorizzazione, che resta efficace, se concessa, solo fino a che sussistono i motivi indicati; la telefonata dovrà essere diretta esclusivamente ad un’utenza fissa intestata nominativamente ad una delle persone autorizzate ad effettuare colloqui con il detenuto. Dovrà essere pertanto prodotta all’Amministrazione penitenziaria documentazione idonea a dimostrare il nome dell’intestatario dell’utenza, lo stato di famiglia o un’autocertificazione attestante il grado di parentela. Con circolare del 24 aprile 201091, la Direzione Generale Detenuti e Trattamento ha introdotto tuttavia la possibilità di chiamare i telefoni cellulari per detenuti comuni di media sicurezza che non abbiano effettuato colloqui visivi né telefonici per un periodo di almeno quindici giorni e che possono mantenere contatti con i propri familiari solo attraverso telefonate verso utenza mobile. L'interessato deve in questi casi presentare la documentazione che attesti la titolarità della linea. Sono comunque autorizzate le chiamate verso il numero di telefono cellulare, trascorsi quindici giorni dalla presentazione dell’istanza, senza che siano pervenuti gli esiti delle verifiche richieste sulla titolarità del numero telefonico e il detenuto non abbia fruito di colloqui né di conversazioni telefoniche su numeri fissi. L’autorizzazione verrà revocata nel caso in cui seguisse un riscontro negativo circa la veridicità delle dichiarazioni fornite dal detenuto.

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Lettera circolare del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria - Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento avente come oggetto: “Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante dalla condizione di

Per i detenuti collaboratori di giustizia è possibile autorizzare colloqui telefonici con familiari o conviventi sottoposti a protezione «mediante la connessione ad utenza cellulare, purché il servizio centrale di protezione attesti la disponibilità dell’utenza da parte del familiare o del convivente» (Decreto M.G. n. 144 del 10 aprile 2006, art. 6). Per i detenuti e gli internati ricoverati in un ospedale civile o in un luogo esterno di cura, la Circolare del DAP n. 3449/5899 del 1997 ha offerto un’interpretazione più favorevole rispetto a quella emanata dall’Amministrazione penitenziaria nel 1991 (Circ. DAP n. 3319/69), che negava la possibilità di fruire di colloqui telefonici durante la degenza. Nel 1997 è stato infatti stabilito che anche in tali circostanze dovranno rispettarsi con la massima attenzione le disposizioni «riguardanti, tra l’altro, i colloqui diretti e telefonici e la corrispondenza dei detenuti e degli internati».

All’art. 39, comma 4., del Regolamento sono individuate le autorità cui compete la

responsabilità dell’autorizzazione alla corrispondenza telefonica: mentre per i

condannati e gli internati provvede il direttore dell’istituto, «Gli imputati possono essere autorizzati alla corrispondenza telefonica … dall'autorità giudiziaria procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza».

L’aspetto più problematico della disciplina della corrispondenza telefonica, dice Enrica Bertolotto, era in passato rappresentato dal disposto dell’art. 37 comma 8., Reg. n. 431/76, secondo cui la conversazione doveva essere «sempre ascoltata ed eventualmente registrata». La norma, come si asserisce spesso in dottrina, non poteva considerarsi in piena armonia con il principio di libertà e segretezza delle comunicazioni sancito dall’art. 15 Cost., anche per l’assenza di previsione di qualsiasi intervento dell’autorità giudiziaria, rimettendo al potere amministrativo la valutazione sulle telefonate da registrare. Appare tuttavia di particolare interesse la riflessione di uno studioso come Grevi, secondo cui tali restrizioni, giustificate sotto il profilo cautelare, potevano essere considerate un prezzo alla fine tollerabile rispetto al vantaggio di avvalersi dello strumento telefonico92.

Il D.L. 187/93 è intervenuto sulla norma regolamentare, introducendo un nuovo orientamento, recepito poi dal nuovo Regolamento di esecuzione n. 230/2000. All’art. 39, comma 7., di quest’ultima fonte normativa è stabilito che:

«L'autorità giudiziaria competente a disporre il visto di controllo sulla corrispondenza epistolare ai sensi dell'articolo 18 della legge può disporre che le conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate a mezzo di idonee apparecchiature. E' sempre disposta la registrazione delle conversazioni telefoniche autorizzate su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati nell'articolo 4-bis della legge.».

Nei confronti dei detenuti comuni, l’ascolto e la registrazione delle conversazioni telefoniche sono pertanto subordinati ad uno specifico e motivato provvedimento giudiziario e dunque costituiscono un’eccezione. Per i detenuti considerati dal legislatore maggiormente pericolosi, e con una più ampia capacità di organizzare e dirigere eventuali attività illecite dal carcere, è invece la norma stessa a stabilire la limitazione della libertà di comunicazione in ogni caso.

Circa i soggetti competenti a disporre il controllo delle telefonate, va tenuto presente che il Regolamento rinvia all’art. 18, comma 7, O.P., ma tale parte è stata abrogata dalla L n. 95/2004, che ha attribuito la competenza circa le limitazioni e i controlli della corrispondenza epistolare al magistrato di sorveglianza, dopo la pronuncia delle sentenza di primo grado, e al giudice che procede (ai sensi dell’art. 279 c.p.p.) nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. A tutela dei colloqui telefonici non sono però applicabili, afferma Melchiorre, le altre garanzie poste dall’art. 18-ter O.P., a tutela della segretezza della corrispondenza epistolare. Ed è proprio sotto questo profilo, continua l’autore, che la disciplina delle limitazioni e dei controlli sui colloqui telefonici si pone in contrasto con l’art. 15 Cost. e con l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In particolare, la norma regolamentare sulla corrispondenza telefonica contrasterebbe con il principio della riserva assoluta di legge che vige in materia di limitazioni e di controllo di ogni forma di comunicazione. Le questioni sollevate in proposito possono essere così riassunte: 1. è una fonte subordinata ad individuare le autorità competenti ad emettere i provvedimenti autorizzativi in materia di colloqui telefonici; 2. non sono indicati i motivi specifici che legittimano il diniego alla richiesta di autorizzazione al colloquio telefonico, o il provvedimento che dispone l’ascolto oppure la registrazione dello stesso; 3. non sono indicati né la forma né il termine massimo di efficacia del provvedimento che dispone le limitazioni o il controllo, né il meccanismo

attraverso il quale disporre eventuali proroghe; 4. non è previsto alcun sistema di tutela giurisdizionale del detenuto nei confronti dei provvedimenti suindicati.

Ulteriori problemi sorgono anche in relazione a quanto stabilito nella seconda parte del comma 7., art. 29 del Regolamento, che introduce per alcune categorie di reclusi una forma generalizzata di controllo: «E' sempre disposta la registrazione delle conversazioni telefoniche autorizzate su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati nell'articolo 4-bis della legge.». La norma non distingue, precisa sempre Melchiorre, fra coloro che pur essendo ristretti per reati indicati nel predetto art. 4-bis, avessero deciso di collaborare con la giustizia o per i quali vi fossero elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata93.

Altri aspetti della questione ineriscono le posizioni dei reclusi sottoposti al regime regolato dall’art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario secondo cui, al comma 2-quater lett. b,

« … solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione.».

Va rilevato in proposito che, a differenza di quanto avviene per i detenuti comuni dopo la sentenza di condanna in primo grado e fino al passaggio in giudicato - nei cui casi la competenza ad autorizzare la corrispondenza telefonica è attribuita al magistrato di sorveglianza - per i detenuti sottoposti a regime detentivo speciale la competenza è attribuita al direttore dell’istituto, dando così prevalenza, inevitabilmente, a una valutazione a “carattere gestionale”. E’ tuttavia previsto che avverso il provvedimento del direttore sia possibile proporre reclamo al magistrato di sorveglianza (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 25079, 2003).

Poiché lo scopo dell’applicazione del regime speciale è quello di garantire la sicurezza, impedendo i collegamenti tra detenuti appartenenti a organizzazioni criminali e tra questi e i membri dell’associazione ancora in libertà, il DAP ha disciplinato in modo particolareggiato, con circolare n. 3592/6042 del 2003, le modalità di svolgimento del

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Giuseppe Melchiorre Napoli, I colloqui visivi e la corrispondenza telefonica dei detenuti e degli internati, pp. 17-19, pubblicato il 19-04-2007, www.diritto.it, pp. 51-52

colloquio telefonico per coloro che sono sottoposti al regime speciale. In

ottemperanza alle disposizioni contenute nella predetta circolare, la richiesta del detenuto dovrà indicare con precisione le generalità, il luogo di residenza o di domicilio, e il numero di utenza telefonica dei familiari e dei conviventi con i quali si intende stabilire il contatto telefonico. In caso di accoglimento della richiesta, la direzione dell’istituto dove è ristretto il richiedente dovrà stabilire il giorno e l’ora precisa in cui dovrà essere effettuata la telefonata e ne darà comunicazione alla direzione dell’istituto penitenziario più vicino al luogo di residenza o di domicilio dei familiari o dei conviventi. Quest’ultima direzione dovrà informare - mediante telegramma, telefonata registrata o seguita da annotazione di servizio, o altro mezzo idoneo, con esclusione di richiesta di intervento delle forze dell’ordine – gli interessati del giorno e dell’ora fissati per ricevere la telefonata, i quali potranno avere il contatto telefonico a seguito della prescritta identificazione.

Relativamente a questi casi, pare superfluo commentare la forte prevalenza istituzionalizzante e la perdita di qualsivoglia autonomia, e del detenuto e dei suoi familiari, compresi i figli, nel realizzare forme di corrispondenza dettate da personali bisogni di natura emotivo, affettiva, relazionale o anche semplicemente pratica. Tra i tanti aspetti dibattuti intorno al tema della corrispondenza telefonica, negli ultimi anni si è posto con insistenza il quesito sulla possibilità che i detenuti e gli internati possano fruire di permessi premio sotto forma di telefonate ai propri familiari, da svolgersi con l’utilizzo di apparecchiature pubbliche, installate fuori della zona detentiva.

La questione è stata molto discussa, sia in dottrina che in giurisprudenza, specialmente con riferimento a quei detenuti, per lo più stranieri, che non svolgono colloqui visivi con i familiari o con i conviventi e che non possono essere ammessi alla corrispondenza telefonica per assenza dei presupposti di cui all’art. 39 del Regolamento. I magistrati di sorveglianza favorevoli a tale forma di permesso premio hanno, in genere, ricondotto la decisione di ammissibilità dell’istanza, sia al possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti per la concessione del beneficio del permesso (ai sensi dell’art. 30-ter O.P.), sia alla circostanza che il ristretto non fosse nelle condizioni di fruire di contatti visivi e telefonici con i familiari o conviventi. Questo orientamento della giurisprudenza ha

trovato conferma nella sentenza della Corte di Cassazione del 200594, in ordine a un provvedimento emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Firenze che aveva concesso a un detenuto straniero un permesso premio di trenta minuti per telefonare ai propri familiari all'estero, a spese proprie, mediante l'inserimento di scheda telefonica in uno degli apparecchi posti all'interno dell'istituto penitenziario. Avverso tale Ordinanza, il Procuratore della Repubblica di Firenze aveva proposto ricorso lamentando:

a) Violazione di legge, in quanto lo strumento del permesso premio non consente l'effettuazione di telefonate, che possono essere autorizzate esclusivamente ai sensi del Reg. O.P., art. 39;

b) Motivazione contraddittoria e generica in ordine alle asserite difficoltà tecniche dell'Amministrazione Penitenziaria che impediscono al detenuto di effettuare telefonate ai parenti all'estero, secondo la procedura ordinaria prevista dalle norme vigenti in materia.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore e, richiamando la costante giurisprudenza costituzionale in materia95, ha puntualizzato che:

«Il permesso premio ha … una funzione propulsivo - promozionale: da un lato, infatti, costituisce incentivo alla cooperazione del detenuto con le autorità carcerarie, in assenza di pericolosità sociale, quale conseguenza della regolare condotta tenuta; dall'altro è esso stesso strumento di rieducazione, consentendo un iniziale inserimento del condannato nel contesto sociale … Questi principi, generalmente validi, assumono una particolare valenza nei confronti dei detenuti stranieri per i quali, in assenza di punti di riferimento in territorio italiano, l'articolazione del permesso premio in forma di telefonata a proprie spese ai familiari residenti all'estero mediante utilizzo delle apparecchiature installate dentro l'istituto rappresenta l'unica possibile forma di risocializzazione nel più ampio contesto del percorso rieducativo».

6.5 Applicazione agli stranieri della disciplina sui colloqui e la corrispondenza