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Cosa dovrebbe essere la ricerca nei muse

NEI MUSEI NATURALISTIC

6.4. Cosa dovrebbe essere la ricerca nei muse

La quasi totalità dei musei italiani non rientra tra gli enti di ricerca; essi non sono pertanto soggetti alla valutazione di ANVUR. Il Consorzio Inte- runiversitario al servizio del sistema accademico nazionale (CINECA) ha predisposto un sistema informativo integrato per la governance degli Atenei e degli Enti di ricerca, denominato U-GOV, una piattaforma provvista di software dedicati alla condivisione e gestione di dati relativi ai vari aspetti della vita di un ateneo, compresa la ricerca11. Un dipendente di un museo italiano può trovarsi a far parte di questa piattaforma se è co-autore di pub- blicazioni inserite nell’ambito di progetti di ricerca universitari, tuttavia senza gli stessi diritti dei ricercatori in quanto personale tecnico-am- ministrativo, secondo il dettato del Contratto Collettivo Nazionale di Lavo- ro. Un conservatore/ricercatore non è un ricercatore per contratto. In che senso possiamo perciò intendere in Italia il dettato archetipico che una delle missioni di un museo naturalistico è la ricerca scientifica? Nel 2000 il MIUR stabiliva l’atto di indirizzo sui “criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei”, nel quale si affermava che «la ricerca che ogni museo compie a partire dalle sue collezioni costi- tuisce una sua finalità primaria [...] assicurando l’accessibilità delle cono- scenze acquisite e curandone la comunicazione attraverso i mezzi più op- portuni per renderne partecipi il più largo numero di persone». Tra le fun- zioni del personale dei musei, il conservatore/curatore svolge secondo il MIUR funzioni di «inventariazione e catalogazione; acquisizioni; ordina- mento e allestimento delle collezioni; documentazione, studio, ricerca; pro- gettazione scientifica delle esposizioni temporanee». Il Codice dei Beni Culturali del 2004 arricchiva il quadro complessivo affermando che «la ri- cerca che parte dalle collezioni ha la duplice finalità di garantire la valoriz- zazione e la tutela delle collezioni stesse», ma soprattutto dando nuovo im- pulso alla missione dei musei naturalistici equiparandola a quella di altri musei in quanto custodi di beni culturali tout court. Quando perciò il codice afferma che «il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, an- che con il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e privati, rea- lizzano, promuovono e sostengono, anche congiuntamente, ricerche, studi ed altre attività conoscitive aventi ad oggetto il patrimonio culturale», esso rilancia il ruolo della ricerca scientifica come il motore del museo. Queste parole misurate adombrano i concetti più espliciti che saltano agli occhi di

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chiunque abbia visitato i siti web dei maggiori musei naturalistici del mon- do o di chi comunque sia interessato a vedere un futuro per i musei natura- listici. Recita un editoriale apparso su Nature non molto tempo fa: «i ricer- catori sono capaci di allestire mostre che riflettono la scienza in modi che altre forme di comunicazione della scienza non possono» (Anonimo, 2007); si legge su una pagina del sito web dell’American Museum of Natural Hi- story di New York: «Tutti i curatori credono fortemente che le spedizioni e le collezioni siano una componente essenziale della ricerca. Tutti i curatori partecipano a programmi di ricerca attiva sul campo e incoraggiano e in- cludono i propri post-doc e studenti nelle attività di campo»; sul sito del Natural History Museum di Londra, in homepage e come prima notizia: «Questa estate i nostri scienziati si sono recati alle Isole Scilly per racco- gliere esemplari freschi per le nostre collezioni, aiutando e sostenendo la ricerca del futuro»12. Dietro queste parole si vede la possibilità anche per gli “scienziati” dei musei italiani di produrre pubblicazioni accademiche ad alto fattore d’impatto, come di fatto succede (citiamo Bindi et al., 2009, come esempio a noi vicino). Tuttavia dietro la parola “ricerca” sta un in- sieme di attività non di prestigio accademico, che anche l’opinione pubblica tarda a configurare tra i compiti di uno “scienziato”, attività i cui prodotti sfuggono ai sistemi di rilevazione predisposti dal ministero. La stragrande maggioranza delle pubblicazioni di tipo sistematico, necessario passo per valorizzare le collezioni naturalistiche (Latella, 2007, 2011), risultano at- tualmente invisibili agli indicatori bibliometrici (Valdecasas, 2011), così come l’attività di inventariazione e catalogazione (ANVUR: «banche da- ti»), l’allestimento di mostre temporanee ed esposizioni permanenti (AN- VUR: «mostre ed esposizioni organizzate», non valutabili a meno che non siano «corredate da pubblicazioni adatte») e tutte le attività di divulgazione e public outreach, comprendenti l’organizzazione di convegni, i progetti per la scuola, ecc. Se il mondo dell’editoria internazionale si è modificato negli ultimi anni in modo da accogliere la grande richiesta di nuove specializza- zioni nel campo della conoscenza, oggi dobbiamo ammettere che sia i mu- sei che gli enti che dovrebbero valutarne la performance sono impreparati. Si consideri infine il bilancio sociale tra gli strumenti a disposizione, attra-

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«All curators strongly believe that expeditions and collections are an essential component of research. The curators all maintain active field programs and encourage and include their post- docs and students in their fieldwork activities», dalla pagina web “Ichtyology – Research activ- ities”: www.amnh.org/our-research/vertebrate-zoology/ichthyology/research-activities; «This summer our scientists went to the Isles of Scilly to gather fresh specimens for our collections, helping support future research», dalla homepage della NHM, il 21 ottobre 2012 (www.nhm.ac.uk/).

verso il quale visitatori e investitori, principali stakeholders del museo, pos- sono accedere al rendiconto dei progetti, agli investimenti e ai risultati con- seguiti. Il bilancio sociale è infatti una finestra sulle scelte effettuate dal museo, sulle attività intraprese e gli esiti ottenuti, frutto della sua risposta alle necessità della comunità e degli Enti. Il bilancio sociale costituisce per sé stesso un valore aggiunto e una misura della produttività complessiva, anche se ancora troppo poco praticato13.