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Il soggetto e la sua identità

4. Costellazione e rizoma

Sebbene l'individuale non sia deducibile dal pensiero, il nucleo dell'individuale potrebbe essere paragonato a quelle opere d'arte estremamente individuate, revocanti ogni schema, la cui analisi nell'estremo della loro individuazione ritrova momenti dell'universale, la loro inconsape- vole partecipazione alla tipicità. Il momento unificante sopravvive, senza negazione della nega- zione, ma anche senza affidarsi all'astrazione quale principio supremo, non perché si sale per gradi dai concetti al più universale dei concetti superiori, ma perché essi entrano in costellazio- ne.198

196 P. Godani, 2009, p. 89.

197 A tal proposito di veda ad esempio L. Cortella (2002), p. 12. 198 Th.W. Adorno, 1966-67, tr. it. p. 146.

E' in tal modo che Adorno introduce in Dialettica negativa la tematica della co- stellazione. Essa è intimamente legata alla questione del particolare, oggetto e indivi- duo, e del suo rapporto con l'universale, concetto e società. La peculiarità che la caratte- rizza è quella di costituire non tanto un'alternativa alla prensione concettuale sulla cosa, quanto al contrario un ampliamento delle capacità cognitive del concetto stesso. La co- stellazione in Adorno ha infatti innanzitutto una funzione gnoseologica e ciò tuttavia di- pende dal fatto che essa costituisce anche la struttura ontologica fondamentale del reale. La conoscenza per mezzo della costellazione si dischiude tra due istanze che Adorno scarta come aporetiche: da un lato la conoscenza strettamente concettuale, che nel determinare in via definitiva l'identità della cosa finisce con il dissolvere l'iperspeci- ficità della determinazione nell'esigenza universale che essa sia identica a se stessa, come sottolinea anche Günter Figal nel saggio Sul non-identico. A proposito della dia-

lettica di Theodor W. Adorno199; dal lato opposto, una “conoscenza” sull'orlo del mistici-

smo, che considera l'ente come incommensurabile e «ininterpretabile, un ultimo contro cui la conoscenza sbatterebbe la testa»200.

Entrambe le prospettive falliscono perché non riescono a risolvere davvero la di- namica del rapporto tra particolare e universale, e ciò dipende dal previo irrigidimento in cui entrambe collocano la cosa. Questo non si caratterizza esclusivamente come iso- lamento della cosa rispetto agli enti esteriori diversi da essa – non è un semplice irrigidi- mento relazionale – ma si determina innanzitutto come rimozione di quei diversi enti che costituiscono intimamente la cosa stessa. Adorno scrive infatti che «l'universale ri- siede al centro della cosa individuale, non si costituisce solo nel confronto di un indivi- duale con altri»201.

L'oggetto si apre a un'insistenza monadologica che è coscienza della costellazione in cui si trova: la possibilità di sprofondare all'interno ha bisogno di quell'esterno. Ma questa univer-

salità immanente dell'individuale è oggettiva come storia sedimentata. Questa è dentro e fuori

di lui, un avvolgente, in cui esso ha il suo posto. Prendere coscienza della costellazione in cui la cosa si trova significa decifrare quella che l'individuale contiene in sé in quanto divenuto. Il

khorismos, la separazione, tra l'interno e l'esterno è a sua volta storicamente condizionato. Solo

un sapere che abbia presente anche la funzione storica dell'oggetto nel suo rapporto con altri è in

199 Il saggio è contenuto in L. Cortella, M. Ruggenini, A. Bellan, (cura), 2005, pp. 31-40. 200 Th.W. Adorno, 1966-67, tr. it. p. 146.

grado di liberare la storia nell'oggetto; un sapere che sia attualizzazione e concentrazione di un già noto, che esso trasforma. La conoscenza dell'oggetto nella sua costellazione è quella del

processo accumulato al suo interno.202

La costellazione sembra dunque costituire per Adorno la struttura ontologica più intima del reale e il pensiero, nella misura in cui vuole essere in grado di pensare la real- tà, deve conformarsi a essa. Ciò significa non tanto che il pensiero teorico debba pre- scindere dal concetto, piuttosto che quest'ultimo vada accerchiato e aperto perché an- ch'esso mostri i propri sedimenti, le proprie derivazioni umane e sociali, la propria stori- cità, e quest'ultima non può mai essere risolta nel divenuto, nel “risultato”, non può es- sere congelata in una forma data una volta per tutte, una forma attuale e positiva, identi- ca203. Non solo la determinazione di qualcosa appartiene a un contesto, vive di una rela-

zione esterna, ma «è essa stessa contestuale»204, costituita intimamente dal contesto stes-

so e dalle sue modificazioni. L'oggetto persiste dunque nella propria apertura fondamen- tale, nelle proprie oscillazioni di significato, e il concetto che voglia conoscere l'oggetto nella sua concretezza deve mimare quella persistenza e comportarsi in modo altrettanto flessibile. Per mezzo dell'autoriflessione su di sé, esso deve scoprire l'insufficienza della propria ipseità e scorgere la costellazione che lo tesse, che lo rende possibile.

Ogni singolarità, nome o concetto, è se stessa solo in quanto è anche il suo altro, solo in quanto è anche una molteplicità di determinazioni diverse, rimosse o tralasciate ma che non di meno costituiscono la rete interpretativa della cosa, e ciò dipende dal fat- to che l'oggetto, «il singolo esistente», «è internamente il suo Altro e collegato ad Altro. L'ente è più dell'ente»205.

Se la figura della costellazione costituisce un allentamento della rigidità del con- cetto e un ampliamento delle sue potenzialità conoscitive, è plausibile che la metafora del rizoma introdotta in filosofia da Deleuze e Guattari, pur in tutta la specificità che le è propria, si muova nella medesima duplice direzione di sovversione della logica tradi-

202 Ivi, pp. 147-148 (corsivo mio).

203 «Il più interno dell'oggetto risulta al contempo come esterno a questo, il suo isolamento come appa- renza, come un riflesso della procedura identificante, fissante» (ivi, p. 146). Ciò significa dunque che il pensiero non deve adeguarsi all'oggetto così come è dato immediatamente, il che costituirebbe una sua «capitolazione davanti al miseramente ontico» che annienterebbe il pensiero stesso (ivi, p. 362), ma al contrario deve spezzare l'irrigidimento cui soggiace l'esistente e guardare oltre esso.

204 G. Figal, Sul non-identico. A proposito della dialettica di Theodor W. Adorno, in L. Cortella, M. Ruggenini, A. Bellan, (cura), 2005, p. 39.

zionale e di trasformazione della facoltà conoscitiva, in una tendenza di ampliamento, sperimentazione e moltiplicazione dei contesti?

Rizoma è un vocabolo afferente alla botanica e significa semplicemente “rigon- fiamento della radice”. Indica uno stelo o un accrescimento sotterraneo che si sviluppa su un medesimo piano, di solito orizzontale, che funge da riserva nutrizionale per la pianta. Deleuze recupera il termine e lo impiega come immagine alternativa e opposta a quella “arborescente” per caratterizzare la forma propria di metodologie e analisi disci- plinari, nonché quindi per definire l'immagine del pensiero e quella del divenire.

Rizoma e albero-radice sono due immagini che ispirano opposte filosofie, antitetiche idee politiche, divergenti concezioni della molteplicità.206

Laddove il modello ad albero fissa un ordine stringente e una struttura propor- zionale, il sistema rizomatico «è costituito soltanto da linee» che connettono punti di- sparati in modo eterogeneo, «non è fatto di unità, ma di dimensioni o piuttosto di dire- zioni di movimento. Non ha inizio né fine, ma sempre un centro dal quale cresce e de- borda», esso «si riferisce a una carta che deve essere prodotta, costruita, sempre smonta- bile, connettibile, rovesciabile, modificabile, con molteplici entrate e uscite, con le sue linee di fuga». Il rizoma è dunque un sistema non gerarchico e non significante, «defini- to unicamente dalla circolazione di stati. Ciò che è in questione nel rizoma è il rapporto con la sessualità, ma anche con l'animale, con il vegetale, con il mondo, con la politica, con il libro, con le cose della Natura e dell'artificio, completamente diverso da un rap- porto arborescente: tutte le specie di “divenire”»207.

Un rizoma non comincia e non finisce, è sempre nel mezzo, tra le cose, inter-essere, in-

termezzo. L'albero è filiazione, ma il rizoma è alleanza, unicamente alleanza. L'albero impone il

verbo “essere”, ma il rizoma ha per tessuto la congiunzione “e... e... e...”.208

Il rizoma (formale) non è altro che il modello, plastico e flessibile, secondo cui si struttura un concatenamento (ontologico), ossia la messa in relazione o la connessione di due o più elementi disparati. Tale connessione si caratterizza come costruzione del

206 G. Antonello, 2011, p. 89.

207 G. Deleuze – F. Guattari, 1980, tr. it. pp. 65-66. 208 Ivi, p. 69.

piano di composizione o di univocità di una molteplicità, dal momento che la stessa messa in comunicazione di elementi disparati pone questi ultimi su uno stesso piano di divenire, origina flussi a partire dallo stesso perno di convergenza. Funzionano come un concatenamento rizomatico ad esempio la simbiosi che lega la vespa e l'orchidea oppure il libro e il suo rapporto con il mondo, creato non dall'interazione tra singolarità date – testo, fatto, autore – ma dalla connessione di alcune molteplicità prese in ognuno di que- sti ordini209.

Deleuze e Guattari riassumono in una battuta la concettualità e la figurazione proprie del rizoma: «la linea non fa più contorno e passa tra le cose, tra i punti»210. E' in

questo passaggio incessante che il rizoma traccia comunque una figura, un assetto, un concatenamento funzionante, anche se già sempre suscettibile di modificazione, già fat- to di molteplicità. Nel lessico deleuziano si tratta della dialettica tra territorializzazione e deterritorializzazione, tra assemblaggio e smontamento, in cui consistono i concatena- menti. Il rizoma definisce e funziona solo continuando a passare tra i punti, solo connet- tendoli e divenendo esso stesso connessione. In questo è simile alla costellazione ador- niana. Anch'essa infatti non si dà una volta per tutte, non costituisce una rappresentazio- ne immediata del reale ma una sua costruzione continua, un rimando reciproco dei ter- mini e delle determinazioni che non si limita all'ambito semantico ma si spinge sul ter- reno di costruzione e di “funzionamento” fattivo dell'ente. Se la costellazione costituisce indubbiamente una figura intercettata dal passaggio tra punti, qualcosa quindi di mag- giormente stabile e chiuso rispetto alla definizione che Deleuze intende dare del rizoma, è vero anche che quest'ultimo non potrebbe funzionare senza una tensione verso la stra- tificazione, senza una tendenza a rallentare il divenire, senza il tentativo di instaurare un'organizzazione stabile che viene daccapo sempre rimessa in discussione211. L'analo-

gia tra la costellazione e il rizoma è data dalla necessità, evidentemente trasversale a molte correnti della filosofia contemporanea, di rivedere completamente le metodologie gnoseologiche in relazione a una problematica del rapporto tra soggetto e oggetto che non trova più formulazione, né tanto meno soluzione, entro i termini classici che l'ave- vano ospitata. In questo senso le due figure possono essere espressione della medesima impellenza e della stessa necessità, dal momento che si caratterizzano entrambe come

209 Ivi, pp. 54-55. 210 Ivi, p. 597.

tentativi di introdurre nuovi parametri conoscitivi e sottilmente quindi anche una rinno- vata idea di conoscenza. Non solo, costellazione e rizoma restano simili anche nella connotazione specifica che assumono: entrambi sono animati dalla richiesta di fluidifi- cazione di un'idea conoscitiva eccessivamente cristallizzata e utilizzano a tal fine il ri- mando reciproco tra concetti o punti singolari per spezzare l'autonomia delle designa- zioni rigide e sciolte dal contesto. Ciò conferma la presenza di una linea di fondo comu- ne ancora più profonda, ossia la critica che tanto Adorno quanto Deleuze muovono con- tro la concezione assoluta di un'identità che basti a se stessa in modo immediato, incar- dinata sugli attributi dello “stesso”, del “proprio”, del “simile”, tanto nella connotazione di ciò che il pensiero identificante intende per soggetto quanto nella connotazione di ciò che quello stesso pensiero gli riserva come correlato, ossia l'oggetto. E' per questo che un accostamento tra costellazione e rizoma trova il suo senso all'interno di un capitolo che tratta del soggetto e della sua identità: è perché quelle figure nascono e sono rese possibili da una critica perentoria dell'identità così com'era stata pensata dalla tradizione filosofica occidentale, e questo è un terreno non solo comune tra Adorno e Deleuze, ma anche una tematica sulla quale sembrano muoversi in assoluta sincronia.

Tuttavia accanto a queste analogie fondamentali persiste una differenza altrettan- to innegabile, ossia quella riguardante le ascendenze inevitabilmente differenti che i due filosofi forniscono alle figure di cui abbiamo parlato. Da un lato Adorno dietro le costel- lazioni scorge la Storia stessa, ossia una rete di rimandi estremamente reale, totalmente ontica e spessa, incontrovertibile, irrimediabilmente sedimentata negli oggetti, almeno finché questi non vengano rammemorati nella prospettiva di processualità socio-econo- mica che li ha prodotti. Dall'altro lato Deleuze caratterizza la fluidità propria del rizoma nei termini di una “nomadologia”, «il contrario della Storia».

Si scrive la Storia, ma lo si è sempre fatto dal punto di vista dei sedentari, e in nome di un apparato unitario di Stato, presupposto come almeno possibile anche quando si parlava di no- madi212.

In altri termini Deleuze concepisce come dicotomici ambiti che secondo Adorno sono solo dialettici. Il carattere nomadico che Deleuze riserva al rizoma non è interseca- bile con la sedimentazione storica, ma al contrario tende a spezzarla. Questa situazione

in Deleuze non si rovescia, non viene riassorbita da alcuna azione mnestica riparatrice e salvifica. La Storia, lo Stato, il territorio e qualsiasi altra organizzazione sembrano con- centrare una tendenza oggettiva della materia verso una strutturazione stabile che tutta- via non può mai realizzarsi, dal momento che la materia contiene anche la tendenza op- posta, quella alla disgregazione intesa come creazione del nuovo, come rottura della compagine che ogni volta pretende di darsi come ultima. Se in Deleuze la Storia è la struttura penetrata e sgretolata dal nomade, veicolo dell'istanza relazionale e anti-identi- taria, in Adorno si verifica una situazione assolutamente opposta: quella per cui il veico- lo di penetrazione e fluidificazione della struttura può funzionare contro di essa proprio in quanto intriso di Storia. E' esponendo quest'ultima, facendola riemergere grazie all'a-

namnesis dalle profondità dell'oggetto, che la coercizione data dal passato viene violata

perdendo il suo spessore, la sua intangibilità213. L'istanza critica resta perciò centrale e

prioritaria in entrambi, mentre è il “veicolo” preposto per la sua attuazione che traccia una radicale differenza tra i due pensatori: per Adorno esso è del tutto immanente, ap- partiene alla storia e proprio per questo può criticarla; per Deleuze è invece estrinseco, nel senso che “viene da Fuori” e rappresenta con ciò un altrove, un trascendimento del- l'immanenza. Il “nomade” deleuziano risponde a una funzionalità diversa da quella che tesse la continuità storica ed è proprio in quanto estraneo alla storicità che può costituir- si come punto di vista critico su di essa.

In breve, mentre Deleuze pensa a una dialettica tra istanza organizzativa e istan- za creatrice, dialettica in cui consiste il corso libero e positivo del divenire, Adorno al contrario pensa al divenire, del tutto reificato, come all'oggetto di una dialettica, che è il segno ultimo della reificazione stessa. La trasformazione di un ente concretamente esi- stente in identità fissa e piatta non è il rispecchiamento di una vocazione intimamente oggettiva, perché l'oggetto nel suo nucleo è storico e divenuto. Al contrario quella tra- sformazione è il frutto di una Storia e di un'umanità ancora incapaci di emanciparsi dal- la storia naturale e di non riprodurla, ed è in base a questo fondamentale torto commesso nei confronti dell'ente che il divenire sedimentato in esso deve essere fatto oggetto della

213 Come sottolinea Italo Testa nel saggio Doppia svolta. L'ontologia allegorica del primo Adorno e

l'ombra di Heidegger, se l'autore di Essere e tempo aveva compiuto una svolta fondamentale, quella

cioè di pensare l'Essere come storico, Adorno ne compie una seconda, quella secondo cui la Storia ini- zia a venir pensata come il vero essere. La caducità, la storicità, la mortalità dell'essente non sono date dall'imperfezione della dimensione dell'Essere storico rispetto a un Essere puro e ideale posto al di sotto o all'interno di esso; al contrario la caducità dipende dall'intreccio della storia con la natura (in L. Cortella, M. Ruggenini, A. Bellan, cura, 2005, pp. 159-179).

dialettica e criticato. Dove Adorno scorge un divenire dialettico, negativo e reificato, Deleuze vede invece la dialettica affermativa del divenire, entro cui se anche sopravvive un'istanza di critica politico-sociale non è mai per rivolgerla contro il divenire in se stesso.