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Il pensiero e la sua origine

1. Premessa: nota sul concetto di origine

I due testi che maggiormente saranno oggetto di analisi in questo capitolo non sono celebri per l'elaborazione di uno scenario teoretico che rintracci nel desiderio – in qualsiasi cosa questo consista – l'origine della razionalità, sebbene certamente tale tema- tica non sia loro estranea e vi si possano trovare dei nodi in cui compare esplicitamente. Entrambi hanno trovato la propria fortuna grazie all'attestazione su altri fronti: un oriz- zonte ibrido di analisi critica di ogni tipologia di Potere per quanto riguarda L'anti-Edi-

po, che infatti spazia da una critica serrata della psicoanalisi, “colpevole” di costruirsi su

di una complice e profonda conformità alla società borghese e al suo modello produtti- vo, il capitalismo, sino a una vera e propria insistenza politica sulla giustificazione della possibilità di creare il nuovo, l'istanza in grado di spezzare la fissità e la sclerotizzazione del già esistente. Parallelamente, Minima moralia è un testo che si colloca indubbiamen- te entro il contesto altrettanto trasversale di critica della cultura e della società, in parti- colar modo di quella contemporanea e immediatamente posteriore alla Seconda Guerra Mondiale227, tratto precipuo dell'intera tradizione della Teoria Critica. In particolar modo

il testo si focalizza su una delle tematiche maggiormente care ad Adorno, ovvero quella

227 Minima Moralia è un testo suddiviso in tre sezioni, i cui nuclei originari vennero composti da Adorno durante l'“esilio” californiano. La prima sezione fu infatti elaborata nel corso del 1944, con l'intenzio- ne di donarla all'amico e collaboratore Max Horkheimer in occasione del cinquantesimo compleanno di quest'ultimo, nel febbraio 1945. Il nucleo della seconda sezione venne elaborato nel corso di quello stesso anno e regalato all'amico per Natale, mentre il terzo e ultimo gruppo di aforismi, composti da Adorno tra il 1946 e il 1947, non venne regalato all'amico ma fu comunque pensato in riferimento a una sorta di costante dialogo con Horkheimer, inscrivendo le Meditazioni della vita offesa in una pro- spettiva di piena continuità con Dialettica dell'illuminismo e facendone un prosieguo, nella forma di sviluppo autonomo, di tutte quelle teorie critiche, storiche e filosofiche, avviate insieme all'amico nel 1941, quando iniziarono a lavorare al progetto comune di un testo sulla storia della ragione e della so- cietà occidentali. Minima moralia poté invece essere pubblicato nella sua forma definitiva solo nel 1951, dopo il ritorno in Germania di Adorno (S. Müller-Doohm, 2003, tr. it. p. 407).

del rapporto tra particolare e universale, tra privato e pubblico, tra individuo e società, tanto nell'ambito culturale, letterario e musicale, quanto in quello politico ed economi- co. Anche qui l'orizzonte è dunque talmente vasto da non essere certo riducibile a una sola trama teoretica, a partire dalla quale trarrebbero origine tutte le riflessioni contenute nel testo; inoltre i possibili tracciati interpretativi utili e pertinenti per un inquadramento dei Minima moralia restano estremamente vari e del tutto validi, anche prescindendo completamente da qualsiasi legame dei contenuti delle Meditazioni della vita offesa con una filosofia della storia del pensiero.

Sembra tuttavia essere rintracciabile un nucleo teoretico comune e molto specifi- co a partire dal quale prende avvio la trattazione classica di questi testi, e ciò che più è interessante è il parallelismo che pare delinearsi tra Deleuze e Adorno nel tentativo di esplicitare quel nucleo tematico. Esso consiste in una sorta di vero e proprio fil rouge che a tal proposito li rende affini: l'insistenza sull'origine e la storicità del pensiero per determinarne i caratteri. E' evidente quindi il motivo a partire dal quale diviene del tutto imprescindibile una trattazione di questo tipo, dal momento che entrambi gli autori attri- buiscono estrema importanza alla questione della derivazione del pensiero razionale, della sua origine, e legano tale questione a quella della determinazione della sua più in- tima costituzione. E' a partire dalla definizione di questo punto fondamentale, cui la filo- sofia deve risalire, che diventano comprensibili tematiche di capitale importanza che se- gneranno la storia del pensiero filosofico occidentale e con le quali Deleuze e Adorno si confrontano da un punto di vista critico. E' in altri termini a partire da questo punto fo- cale che secondo i due filosofi si possono derivare ad esempio l'articolazione e il senso della gnoseologia, la determinazione di cosa la ragione occidentale intenda per soggetto, per oggetto o per pensiero rappresentativo-identitario dispiegato da uno all'altro di que- sti poli al fine di comprendere la realtà; o ancora, cosa in generale si intenda per ànthro-

pos, per reale, per ente o per Essere; come sia possibile una prassi al medesimo tempo

pertinente e realmente attiva, in particolare una modalità di azione critica e trasformatri- ce del reale, creatrice di nuove dinamiche e di prospettive inedite. Insomma, se come già è stato sottolineato occorre pensare di più e non di meno, tenendo fermo il pensiero come orizzonte imprescindibile non solo di conoscenza ma anche di prassi e pensando finalmente e radicalmente anche all'impensato della ragione – il pensiero stesso – emer- ge in modo chiaro quello che era già il fondamentale lascito del criticismo kantiano, os- sia «il riconoscimento del carattere mediato (convenzionale, storicamente costituito) di

ogni forma di datità»228 e dunque del segno indelebile, del condizionamento definitivo,

lasciato dalla mediazione concettuale, e in generale logico-razionale, sul proprio oggetto conoscitivo; il che costituisce tra l'altro un'ulteriore conferma della misura in cui la me- diazione del pensiero razionale resti assolutamente imprescindibile, per Adorno e per Deleuze, tanto al fine di un'“autentica” conoscenza mimetica della cosa quanto nella prospettiva di una prassi attiva e non meramente ripetitiva. L'attestazione sulla irrinun- ciabile mediazione del dato per mezzo del pensiero obbliga non solo a riconoscere l'in- flusso, ma a percepirne i condizionamenti sul reale come costituenti una maglia unitaria e mobile, una comune Weltanschauung entro cui si articolano in modo complementare un'ontologia e una gnoseologia, e in cui si ritagliano anche gli spazi intrinseci delle pos- sibilità di una logica razionale e di una prassi umana.

Il condizionamento è però reciproco, ricade cioè sul pensiero stesso che non si determina mai né come attività pura né come sostanza autosufficiente, ed è precisamen- te a partire dal riconoscimento di questa dinamica costante tra essere e pensiero, tra i re- ciproci condizionamenti dell'uno sull'altro, che Adorno e Deleuze avviano una riflessio- ne sulla storicità del pensiero, e in particolare sulla matrice da cui quest'ultimo trarrebbe origine.

Come già sottolineato precedentemente, per entrambi i filosofi il pensiero è pos- sibile a partire da qualcosa di esterno a esso, trae origine da un “fuori” considerato da Adorno nei termini di una realtà non identica, che viene reificata dalla mediazione gno- seologica della ragione, e determinato invece da Deleuze come una molteplicità in dive- nire sulla quale il pensiero esercita non tanto una padronanza gnoseologica, finalizzata alla conoscenza e alla comprensione, quanto un vero e proprio potere ontologico e crea- tivo di costituzione, anche se questo non va inteso nel senso di un banale e immediato idealismo quanto piuttosto come un potere di strutturazione dinamica, come attivo e in- cessante modellamento del reale, inteso a sua volta come flusso ogni volta sensato ma inesauribile da alcuna strutturazione di senso. Da qui poi trae origine una differenza an- cora più radicale che riguarda il significato del comune accordo sull'imprescindibilità del pensiero: mentre quest'ultimo è in Deleuze un nodo vitale dell'ontologia, del tutto

228 L. Ceppa, 1994, p. XXVIII. La sottolineatura immediatamente successiva fatta dall'autore e ripresa dal breve saggio di Adorno “Su soggetto e oggetto” (1969, tr. it. pp. 211-231) è la citazione del contri- buto marxiano, inteso come mediazione di Kant stesso. Marx infatti, fatto salvo il carattere immanca- bilmente mediato di ogni fenomeno, la sua percezione e la sua conoscenza per mezzo di un'intentio

obliqua, fa retroagire la mediazione sul soggetto stesso, lo fa diventare a sua volta un prodotto, e nello

necessario agli esseri umani per configurare il divenire e per adattarlo a una logica del senso, in Adorno il ritorno, l'insistenza e la radicalizzazione del pensiero sono dettati da un'esigenza eminentemente autoriflessiva che ha per oggetto la critica del mondo e del pensiero stesso. In tal senso il pensiero razionale, in quanto immancabile distorsione della cosa, sembra costituire un orizzonte che, se non è da abbandonare, va di certo tra- sformato interamente, di nuovo in rapporto a un'esteriorità che acquisisce un primato su di esso e che sarebbe costituita dalle “cose stesse”, questa volta non per essere fago- citate dalla logica dialettica ma per venire approcciate nella loro diversità. Se il primato è quello dell'oggetto, è il pensiero a doversi uniformare a esso, in un intento estroverso e mimetico: questa sarebbe la svolta che determinerebbe finalmente il pensiero come vera conoscenza delle cose, che consiste nell'approssimazione all'oggetto e non nella sua as- similazione.

Il cardine di queste considerazioni è la differente impostazione ontologica di De- leuze e di Adorno: mentre per il primo pensiero ed essere sono lo stesso, appartenenti – nel loro costante divenire sincronico – al medesimo e unico piano di immanenza, per Adorno la questione non è così univoca, e al contrario presenta non poche complicazio- ni. In prima battuta, non c'è dubbio che per Adorno pensiero ed essere siano radicalmen- te scissi, e proprio in tale differenza si inscrive la condizione di possibilità del dominio razionale sul mondo, con il suo intento dispositivo e il suo esito manipolativo229. Tutta-

via questo status non costituisce il corretto rapporto tra pensiero e cosa, ma la reificazio- ne di quest'ultima ad opera del pensiero, una condizione che esso può e deve superare. Dunque la scissione di pensiero ed essere non può dirsi definitiva e andrà al contrario ri- conosciuto che i due termini sono reciproco oggetto di mediazione, ovvero che la com- prensione dell'essere – e di conseguenza la relazione pratica con esso – passa attraverso la mediazione razionale e che al contempo questa stessa ragione, sin nella sua più intima costituzione, è condizionata dall'essere, trae in qualche modo origine da esso. Pensiero ed essere possiedono allora anche qualcosa di comune, sono identici e allo stesso tempo non identici. Sono reciprocamente mediati, sussistono solo all'interno del rapporto, sen-

229 Questa infatti una delle fondamentali e più celebri tesi di Dialettica dell'illuminismo, secondo cui il pensiero razionale, o illuminismo, nasce con lo scopo chiaro e precipuo di «togliere agli uomini la paura e di renderli padroni» (Th.W. Adorno – M. Horkheimer, 1947, tr. it. p. 11). Per far ciò è necessa- rio che esso prenda radicalmente le distanze dall'essere indifferenziato, la natura, e imponga ad esso le sue proprie regole, mettendo in atto un'imponente operazione di imbrigliamento e di gestione dell'i- gnoto (ivi, p. 23) e rovesciando la struttura del dominio, non più quello materiale e immanente dell'es- sere sul pensiero ma quello dispositivo e manipolativo della ratio sul mondo.

za possibilità alcuna di isolare, ipostatizzandolo, uno dei due termini illudendosi in tal modo di comprenderne l'essenza più intima.

Tuttavia la questione non si risolve nemmeno giunti a questo punto: è presente infatti un ulteriore rovesciamento dialettico che impedisce di riscontrare in questa reci- proca contaminazione di pensiero ed essere l'inquadramento completo e definitivo del loro rapporto: il riconoscimento di questa ipermediazione deve andare oltre se stesso, non deve restare avviluppato nella dialettica da cui proviene. Secondo Adorno la dialet- tizzazione di qualsiasi fissità immediata e acritica è un irrinunciabile passo per una fuo- riuscita dalla reificazione, dal momento che costituisce un recupero della relazionalità con termini che quell'ipostatizzazione pretende di non essere e che invece la costituisco- no. Horkheimer e Adorno in Dialettica dell'illuminismo scrivono infatti che «ogni reifi- cazione è un oblio»230, una dimenticanza della mediazione sedimentata in ogni cosa.

Tuttavia, anche una volta recuperata questa mediazione intrinseca alla cosa, il compito del pensiero non è finito: tra cosa mediata e cosa in sé sussiste in realtà uno scarto, ossia la differenza che secondo Adorno permane tra gnoseologia e ontologia. In altri termini, la cosa considerata nelle sue mediazioni con il pensiero è ancora un oggetto, cioè la cosa in sé vista sotto l'aspetto della percezione di un soggetto pensante, che si muove nell'am- bito di una forte pretesa gnoseologica e che se, da un lato, ha abbandonato il pensiero dell'identità, dall'altro non rinuncia ancora a essere il riferimento della cosa.

Qui si apre chiaramente una questione di capitale importanza, ossia come sia possibile mantenere ferma l'istanza del pensiero annientandone tutte le pretese. Se certa- mente le argomentazioni adorniane in riferimento a un rivolgimento qualitativo del pen- siero, che da identitario dovrebbe farsi mimetico, sono del tutto legittime e fondate, è al- trettanto vero che sospingendosi ai limiti di questa proposta filosofica diviene davvero difficoltoso rendere compatibile l'esigenza, non solo gnoseologica ma innanzitutto uma- na, di garantire una sopravvivenza al pensiero, con l'aspetto che sembra assumere l'onto- logia, poiché quest'ultima sembra popolarsi di cose in sé che restano davvero tali solo al di là della ragione. Se il problema del pensiero non è più il suo dispotismo, bensì la sua differenza dall'essere, come sembrano indicare anche alcuni passaggi di Dialettica ne-

gativa, allora l'incognita non riguarderà più la difficoltà – ovviabile – di concepire una

mediazione tra pensiero e cosa, ma l'impossibilità di pensare la cosa in se stessa, cioè

dal suo proprio punto di vista invece che da quello del pensiero e del soggetto. L'esito adorniano di questa vicenda non si risolve né in un'incessante e insolubile mediazione di soggetto e oggetto né in una loro conciliazione idealistica e immediata.

Se fosse lecita la speculazione sullo stato della salvazione, in essa non ci si potrebbe im- maginare né l'indifferenziata unità di soggetto e oggetto, né la loro ostile antiteticità: piuttosto la comunicazione del differenziato.231

Quella di Adorno è quindi una prospettiva che cerca di tenere insieme tanto l'imprescindibile guadagno della mediazione dialettica, che a suo avviso costituisce un passo indispensabile e irrinunciabile per rompere la chiusura e la pretesa purezza del pensiero, nonché la spessità dell'esistente, quanto l'esigenza di non arrestarsi a essa, tra- sformandola nell'immediatezza ontologica della cosa. Al contrario, per Adorno si rende necessario anche il reperimento di una nuova idea di immediatezza, possibile con una sospensione della legge inflessibile attraverso cui opera la mediazione, con un “salto” al di là di essa, oltre l'immanenza – seppur stratificata e opaca – della coscienza. Occorro- no insomma una nuova accezione di autonomia per il pensiero e di indisponibilità per la cosa.

Anche se questo punto costituisce uno snodo particolarmente centrale e impor- tante per comprendere appieno e in modo completo sia l'impostazione generale della fi- losofia adorniana sia le sue più intime specificazioni, ciò a cui ora è fondamentale torna- re è l'analisi del confronto con la prospettiva di Deleuze su tale argomento per notare che alla radicale differenza di impostazione della problematica del rapporto tra essere e pensiero corrisponde il medesimo esito nel tentativo di risolverla. Adorno e Deleuze prendono infatti le mosse da posizioni opposte: per il primo essere e pensiero non sono lo stesso, mentre per il secondo non vi è modo di distinguerli; e tuttavia entrambi, nel farsi carico della tematica della mediazione tra essere e pensiero, avvertono la necessità preliminare di immergere quest'ultimo nel contesto storico e sociale scegliendo, con una mossa parallela e niente affatto scontata, di determinarlo in base alla sua provenienza, alla relazione con la sua origine.

Nonostante, come già si è accennato, permanga chiaramente l'inverosimiglianza di una sovrapposizione delle due prospettive, restano comunque ferme due considera-

zioni di carattere generale e introduttivo: la prima, concernente la tematica dell'origine e la rinnovata attenzione per essa; la seconda, riguardante invece la motivazione per cui la presenza di questo tema costituisca un vero punto di contatto tra Adorno e Deleuze, e non semplicemente un'assonanza vuota.

La prima delle due notazioni riguarda la scelta, fatta da entrambi gli autori, di fo- calizzare l'attenzione sull'origine del pensiero, sull'incipit da cui esso prende le mosse, per determinarne l'“essenza” e spiegarne il funzionamento. Questa soluzione alla pro- blematica del rapporto tra ragione e cosa richiama in causa una categoria filosofica, e non solo, di cui il pensiero post-nietzscheano aveva non poche difficoltà a difendere il prestigio, e ciò appare tanto più sorprendente se il richiamo al principio o all'origine è attuato da due filosofi di indubbia ascendenza nietzscheana, ciascuno per proprio conto, come Deleuze e Adorno. In particolar modo per quanto riguarda quest'ultimo, ciò è da un lato indubbio testimone della grande attenzione che egli riserva all'immersione nella storicità di ogni fatto o carattere che riguardi l'uomo, ma dall'altro esprime anche una fa- scinazione, non del tutto sopita, per la questione dell'origine. Questa di certo non rap- presenta una variante del concetto di Fondamento ultimo e assoluto, che fungerebbe da punto di emanazione della totalità del reale e da fondazione del sapere, concetto del tut- to avversato da Adorno in quanto espressione di sintesi totalizzante.

La critica al concetto di fondamento parte dall'assunto che se il pensiero pone un primo, non solo deve porlo come universalmente vincolante (o il primo diverrebbe esso stesso acciden- tale) ma pone anche necessariamente la totalità del suo sviluppo; la si pensi poi come compiuta, incompiuta o da compiersi è indifferente: il pensiero proietta davanti a sé, a partire da questo primo, un percorso che è, però, virtualmente già contenuto in esso.232

Inoltre, semplicemente «in quanto concetti, il primo e l'immediato sono sempre mediati e quindi non sono il Primo»233: dunque il concetto di Fondamento è secondo

Adorno non solo metodologicamente incoerente, ma anche intrinsecamente contraddit- torio. Se pertanto non è certo a questa accezione che si può avvicinare il concetto ador- niano di origine, esso tuttavia custodisce il riferimento a uno snodo essenziale e irriduci- bile della Storia: il punto da cui essa prende avvio. Se la storicità sedimentata negli enti

232 M. Maurizi, 2004, p. 53. 233 Th.W. Adorno, 1956, tr. it. p. 15.

ha bisogno della propria autoriflessione da parte del pensiero per non trasformarsi in un'invariabile e cieca immanenza, è vero anche che quella mediazione, nella forma di una rammemorazione del passato e del suo esser divenuto, non restituisce semplicemen- te un pensiero e un essere dialetticamente intrecciati e riflessivamente consaputi, ma fornisce anche il senso di quella tradizione e le motivazioni del suo determinarsi: la “chiarificazione” dell'origine del pensiero ne espone i caratteri e ne spiega il funziona- mento. Certo questa non è mai individuabile e affonda le proprie radici agli albori della civiltà, ma costituisce comunque un discrimine accennando all'esistenza di un'anteriorità ancor più originaria, certamente né rappresentabile in modo determinato né tanto meno restaurabile, ma che rimanda «l'immagine, inafferrabile, di un congiungimento intimo di pensiero ed essere, soggetto e oggetto, natura e cultura»234, precedente lo strappo che la

ragione, come mito, intende costituire rispetto alla natura235.

Ciò che resta da comprendere è se e in quale misura il rimando implicito a que- sta Vorgeschichte, questa fase preistorica determinata in negativo, abbia davvero qual- che influenza sulla filosofia della storia di Adorno e su tutte le considerazioni che egli svolge in quest'ambito; in altri termini, se e in quale misura si possa, al suo riguardo, parlare concretamente di mito dell'origine e della preistoria, nonché se questo possa fun- gere da modello nella determinazione, anche qui solo negativa, di quello «stato della salvazione», liberato dalla reificazione dell'esistente, in cui secondo Adorno «il rapporto tra soggetto e oggetto sarebbe al suo giusto posto»236.

La prima notazione concerne dunque l'ambiguità sotto cui appare ancora la te- matica dell'origine in un filosofo contemporaneo come Adorno. Egli di certo non inten-