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Deleuze: Uno e molteplice, Molteplicità e Singolarità

Il soggetto e la sua identità

2. Deleuze: Uno e molteplice, Molteplicità e Singolarità

Tutt'altro sfondo è quello delineato da Deleuze nella considerazione delle temati- che del soggetto e dell'individuale, che anche nel suo pensiero non possono essere so- vrapposte, per quanto siano di certo in stretta relazione. Innanzitutto è opportuno sottoli- neare come anche Deleuze prenda le mosse dalla critica di un concetto cardine della fi- losofia, ossia quello di unità, che potrebbe essere considerato l'equivalente deleuziano

del concetto adorniano di identità. Se Adorno coniugava la possibilità di pensare altri- menti l'individuo a una critica radicale del concetto di totalità, in Deleuze, allo stesso modo, la rielaborazione di tutta la tematica soggettiva passa attraverso la rottura defini- tiva dell'unità intesa come identità del soggetto stesso. Non solo, in Deleuze il dissolvi- mento di quella categoria rende possibile anche la riqualificazione di un'intera costella- zione, quella dell'“individuale”, del “singolare” e della molteplicità, che viene assolta dal legame con il concetto di “soggetto” cui la filosofia moderna l'aveva costretta.

Inoltre è necessaria una seconda precisazione, che riguarda lo scarto tra i presup- posti di Adorno e quelli di Deleuze rispetto alla questione del rapporto tra soggetto e og- getto. Sebbene entrambi critichino le modalità di affermazione e di attuazione di quel rapporto, secondo Adorno esso troverebbe la sua giusta forma nella mediazione effettiva delle due sfere, con il riconoscimento rammemorante della tensione che ciascuno eserci- ta sull'altro – tensione gnoseologica del soggetto sull'oggetto, e tensione ontologica-

mente costitutiva dell'oggetto sul soggetto, poiché è la soggettività stessa a essere ogget-

tiva175. In altri termini, si dovrebbe attuare finalmente una vera mediazione di particolare

e universale, di fatto non ancora avvenuta.

Deleuze da parte sua non può però condividere tale impostazione, nel senso che a suo avviso essa è errata sin nelle premesse, e questo è il motivo per cui il rapporto tra particolare e universale si determina come dialettica incomponibile, come falso movi- mento che ripete se stesso. In realtà, secondo Deleuze, i termini della relazione non rap- presentano istanze diverse, ma solo due determinazioni o lati ugualmente astratti e di- pendenti da un'immagine del pensiero fondata nell'identità: la dialettica di particolare e universale non è in altri termini il giusto modo di considerare la questione del soggetto e dell'oggetto. E' per questo che è necessario metterne in discussione i concetti stessi, non nel senso di accentuarne la mediazione, ma nel senso inverso di eliminarli in quanto tali, per scorgere al di là di essi, oltre la rottura dell'identico, un altro modo di intendere l'in- dividuale (di cui ci occuperemo nelle pagine seguenti) e l'oggettivo (di cui ci occupere- mo invece nel capitolo quarto).

La rilettura di Bergson, che Deleuze svolge verso la fine degli anni Cinquanta –

175 «L'oggetto può esser pensato solo dal soggetto, ma rimane sempre, nei suoi confronti, un Altro; il soggetto è invece sin dall'inizio anche oggetto in base alla sua costituzione» (ivi, p. 165). Oggettività del soggetto che secondo Adorno non ne determina affatto la reificazione, nella misura in cui è ricor - data e riconosciuta. Ogni reificazione, infatti, «è un oblio» (M. Horkheimer – Th.W. Adorno, 1947, tr. it. p. 248).

quando la filosofia francese è orientata alla fenomenologia e al pensiero dialettico – av- viene in concomitanza agli studi su Nietzsche, e sfocerà, a partire dalla metà del decen- nio successivo, nell'elaborazione di una nuova concezione dell'Essere come differen- za176. In particolare, il concetto che Deleuze recupera dalla filosofia bergsoniana è quel-

lo di molteplicità, che «modifica radicalmente il senso filosofico tradizionale della ri- flessione circa il carattere molteplice (usato come semplice aggettivo) delle cose che sono».

Se “molteplice” viene utilizzato come aggettivo, è infatti perché si suppone che esso debba venire attribuito a un soggetto o a una sostanza; ma se a presentarsi come “molteplice” fosse un soggetto o una sostanza, la riflessione sul “molteplice” darebbe luogo a una dialettica tra l'uno e i molti [...]. La sfida della riflessione bergsoniana e deleuziana è, viceversa, precisa- mente quella di pensare il molteplice per se stesso, sottratto alla dialettica tra l'uno e i molti.177

In altri termini, le categorie di “uno” e di “molteplice”, tutt'altro che antitetiche, sottendono la medesima ontologia, incardinata su un pensiero dell'essere “in generale”, il quale non può che essere univoco, identico e uniforme dal punto di vista di una so- stanza che è totalmente sottratta al divenire. Ma Deleuze intende riprendere appunto a questo proposito la nozione bergsoniana di durata, intesa come molteplicità intuitiva- mente data e continua, come l'intermezzo o il “tra” della successione dinamica tra uno stato vissuto e l'altro, possibile grazie all'atto immanente e organizzativo della memoria. Deleuze però vuole oltrepassare il limite psicologistico di Bergson, l'ambito percettivo e coscienziale cui confina l'analisi. A suo avviso la molteplicità intuitivamente dischiusa nell'esperienza del tempo vissuto non costituisce semplicemente il riferimento della co- scienza individuale, la quale sarebbe così mantenuta come sostrato unitario e indiscusso – in una semplice sostituzione della psicologia all'ontologia classica, del percepire al

theorèin – ma al contrario essa sarebbe un “ponte” verso l'Essere, verso l'intuizione del-

la sua “essenza variabile” come molteplicità temporale e intensiva, che dissolve l'unita- rietà della stessa coscienza – in un rovesciamento dell'ontologia che, lungi dal dissolver- la, la renderebbe possibile.

176 Per un esame dettagliato dell'influenza che Bergson ebbe sul pensiero deleuziano, e per la ricostruzio- ne delle tesi riprese da Deleuze, si rinvia a A. Bouaniche (2007), pp. 79-91, e a P. Godani (2009), pp. 27-29.

Dunque il guadagno fondamentale che Deleuze trae da Bergson è quello di un'i- dea di Molteplicità e di Divenire come sostantivi, qualitativi ed eterogenei (di contro al

molteplice quantitativo e numerico, meramente attributivo, pensato dalla tradizione filo-

sofica). Molteplicità e divenire non sono qui mere applicazioni, dimensioni aggiuntive attribuite dall'esterno, ampliamenti subiti da una struttura altrimenti unitaria e stabile, ma al contrario costituiscono dei “residui”, delle costellazioni ontologiche più semplici, proprio perché infinitamente variabili, cui è stata sottratta l'intera sovrastruttura dell'Uno (quella che in Mille plateaux Deleuze e Guattari chiamano “surcodificazione dell'uni- tà”178).

Il molteplice bisogna farlo, non aggiungendo sempre una dimensione superiore, ma al contrario il più semplicemente possibile, a forza di sobrietà, al livello delle dimensioni di cui si dispone, sempre n – 1 (l'uno fa parte del molteplice solamente così, venendo sottratto).179

L'Essere così non è più pensato come sostrato permanente e fisso, come nucleo custodito al di sotto delle affezioni e del loro mutamento apparente, ma al contrario con- siste nel suo stesso articolarsi, nel divenire delle differenze, nella congiunzione “e” che le tesse insieme ciascuna nella propria singolarità: l'Essere è la rete congiuntiva del

molteplice (anche se questa definizione non costituisce altro che una prima determina-

zione che dovrà essere approfondita). Esso non è custodito e protetto in alcun dualismo formale, non è una sostanza svelabile e appropriabile cui si accede attraverso uno scavo nell'apparenza, ma al contrario è distribuito come un che di impercettibile tra le cose che appaiono180.

Tuttavia il concetto di Uno non è affatto estraneo alla filosofia di Deleuze e sarà perciò necessario aprire una breve parentesi per chiarire la posizione del filosofo in me- rito a questo punto. Sebbene infatti la filosofia deleuziana possieda un indubbio sguardo critico nei confronti della categoria di unità e di tutte le configurazioni imperniate sul- l'Uno, è altrettanto vero che in alcuni passaggi, in particolar modo di Differenza e ripeti-

zione e di Logica del senso, si assiste piuttosto all'introduzione di un concetto rinnovato

178 G. Deleuze – F. Guattari, 1980, tr. it. p. 53. 179 Ivi, p. 51.

180 «Perché il mezzo non è affatto una media, al contrario è il luogo dove le cose prendono velocità. Tra le cose non designa una relazione localizzabile che va da una cosa a un'altra e viceversa, ma una dire- zione perpendicolare, un movimento trasversale che le trascina» (ivi, p. 70).

dell'Uno inteso come Uno-Tutto o unico Evento di un Essere molteplice. Questo acco- stamento apparentemente contraddittorio tra l'Uno e il molteplice è possibile, ad avviso di Deleuze, semplicemente nella misura in cui vengono prese le distanze dalla tradizio- ne filosofica occidentale che accorpa l'univoco all'analogo: è infatti quest'ultimo il solo vero bersaglio di Deleuze, poiché è a partire dalle rigide simmetrie costruite dall'analo- gia che l'univoco può assumere il carattere sostanziale, gerarchico e dispotico che ne de- terminerà l'inevitabile contrapposizione rispetto alla categoria di molteplice. Non a caso le tre fondamentali figure “teologiche” incardinate sull'Uno, ossia Dio, il mondo e l'io, sono secondo Deleuze prodotte dal dominio dell'analogia181.

Secondo Alain Badiou l'assunzione qualitativa dell'Uno, la consacrazione del pensiero ad esso, è in realtà il vero scopo di tutta la filosofia deleuziana, laddove invece l'interpretazione tradizionale ne individuava il nucleo più intimo nella radicale contrap- posizione a qualsiasi idea di unità, leggendo in essa il più chiaro esempio di una filoso- fia del divenire e di affermazione della molteplicità.

Il problema fondamentale per Deleuze non è certo quello di liberare il molteplice, ma quello di piegarne il pensiero a un concetto rinnovato dell'Uno. Che cosa dev'essere l'Uno affin- ché il molteplice possa esservi pensato integralmente come produzione di simulacri?182

Dunque ciò che è sotteso alla filosofia di Deleuze sarebbe in realtà una metafisi- ca dell'Uno, e in effetti le battute conclusive di Differenza e ripetizione sembrerebbero andare proprio in tale direzione, laddove il filosofo sottolinea che «l'essere si dice se- condo forme che non rompono l'unità del suo senso, si dice in un solo e medesimo senso attraverso tutte le sue forme. Ma ciò di cui esso si dice differisce, ciò di cui si dice è proprio la differenza»183. Esisterebbe dunque un senso unitario, un'unità del senso che

consisterebbe proprio nell'affermazione della differenza dell'essere.

La prospettiva interpretativa di Badiou dimostra di cogliere gli aspetti più con- troversi e apparentemente inconciliabili della filosofia deleuziana, dal momento che questa non si colloca affatto nell'orizzonte di un'acritica esaltazione del molteplice con- tro l'Uno, ma al contrario mira alla scorporazione e alla destrutturazione di due sfere che risultano incapaci, nella loro astrattezza, di inquadrare la problematica del proprio rap-

181 G. Deleuze, 1969, tr. it. p. 159. 182 A. Badiou, 1997, tr. it. pp. 12-13. 183 G. Deleuze, 1968, tr. it. p. 388.

porto reciproco. Per Deleuze non si tratta affatto di contrapporre un'ontologia dei Molti a un'ontologia dell'Uno, ma al contrario di ricomporre tale contrapposizione in modo da ritrovare una reciproca compenetrazione dei termini in grado di trasformarli entrambi. Si tratta di destrutturare le categorie per ristrutturare i termini che quelle pretendevano di rappresentare. Venuto meno il primato dell'Uno, ciò che resta non è perciò il primato dei molti che ne costituivano il rispettivo correlato, poiché è la stessa logica del primato e della relazione gerarchica a decadere in favore di un piano di immanenza entro cui vige la correlazione, ossia un tipo di concatenamento al medesimo tempo molteplice e ogni volta univoco, poiché consiste nella «messa in comunicazione di elementi dispara- ti»184 che legandosi formano il proprio senso singolare.

E' per questo che in Deleuze si assiste al passaggio dal classico rapporto tra Uno e molteplice, sebbene variamente declinato e risolto, all'introduzione dei concetti “sosti- tutivi” di Molteplicità e di Singolarità, che lungi dal contrapporsi reciprocamente, per poi cercare una difficile conciliazione, costituiscono immediatamente un tutt'uno mobile e variabile sebbene ogni volta determinato. In tal modo Deleuze mantiene vive due istanze apparentemente inconciliabili: quella dell'unità/singolarità – ossia della conden- sazione in un nucleo più o meno stabile – e quella del molteplice concreto e variabile, anche prescindendo dalla fondamentale funzione attribuita al concetto dell'Uno, ossia quello di determinarsi innanzitutto come principio costitutivo della realtà.

Il testo che maggiormente risulta significativo ed esplicativo in questo senso è

Mille piani, prosecuzione ideale de L'anti-Edipo nel tratteggiare il concetto di singolari-

tà inteso, sottolinea Massimo Carboni nella sua Prefazione al testo, «non come principio di individuazione ma come caso, evento, risultato in fieri di un differenziale di intensità, non come status ma come processo che si apre alla propria stessa dispersione, secondo un molteplice inteso non come aggettivo ma come sostantivo, come totale immanenza da alcunché trascesa o garantita»185.

Le molteplicità sono la realtà stessa e non presuppongono alcuna unità, non entrano in alcuna totalità come non rinviano a un soggetto. Le soggettivazioni, le totalizzazioni, le unifica- zioni sono al contrario processi che si producono e appaiono nelle molteplicità.186

184 P. Godani, 2009, p. 164. 185 M. Carboni, 2010, p. 8.

Questo breve passo tratto dalla Prefazione all'edizione italiana di Mille piani è inoltre particolarmente utile perché permette di istituire un parallelo tra l'impostazione deleuziana e quella adorniana della questione. Qui infatti Deleuze e Guattari accorpano esplicitamente i concetti di unità e di totalità, intesi entrambi alla stregua dell'universale criticato da Adorno nella misura in cui pretende di costituire la dimensione di assorbi- mento del particolare, del concreto, del molteplice. L'esito delle due vicende è molto di- verso – dal momento che Adorno, lungi dal rinunciare tout court all'universale, e dun- que alla società, auspica invece che questa davvero arrivi a rappresentare le istanze del particolare – tuttavia il nucleo critico primario resta il medesimo, quello per cui il pri- mato va al particolare, al singolo, al molteplice che non necessita del riferimento ad al- cuna compagine universale e compatta che si determini esteriormente alla particolarità stessa.

Deleuze e Guattari pensano insomma a una compenetrazione delle sfere del par- ticolare e dell'universale, per usare il lessico adorniano, possibile grazie al radicale ri- pensamento di entrambe. Emergono così le nozioni di singolare e di Singolarità, che tra- scendono certamente quelle di individuo concreto o di cosa determinata, ma indicano qualcosa di non meno reale, indicano cioè degli eventi, degli incontri o concatenamenti convergenti di individui, cose e fatti che tuttavia non trovano la propria coerenza in un'essenza isolata e sempre uguale, ma in un'essenza variabile a seconda delle moltepli- ci relazioni che i termini intrattengono.

“Ecceità” è il termine che ancora più precisamente designa quella che secondo Deleuze e Guattari è la specificità pre-individuale, la singolarità essenziale di un evento. Con esso i due autori intendono designare un modo di individuazione che differisce da quella propria di un soggetto, di una cosa o di una sostanza. Ciò che qui importa sottoli- neare non è tanto la determinazione di cosa siano in effetti la singolarità e l'ecceità se- condo Deleuze, quanto piuttosto che cosa di certo esse non siano, poiché è in questo senso che la vicinanza con Adorno diventa forte e giustificata. La critica mossa da en- trambi è quella contro l'uomo così com'è, sia in quanto individuo reale socialmente esi- stente, asservito alla compagine sociale, sia in quanto soggetto teoretico-gnoseologico, impossibile nelle vesti assolute che gli riserva la tradizione filosofica. Chiaramente, al contempo, si apre anche una scissione radicale, che riguarda l'esito cui conduce tale cri- tica nei due filosofi: laddove Deleuze intende prescindere totalmente e definitivamente dall'istanza egoica, uno dei tre cardini del pensiero rappresentativo, Adorno mira invece

al recupero dell'individuo, a una sua rigenerazione critica, o piuttosto a una sua effettiva costituzione: l'individuo e l'umanità sono ciò che ancora manca. E' vero anche che i toni del contrasto si fanno comunque più tenui considerando innanzitutto che Deleuze non va contro l'individuo tout court o contro gli uomini reali, dal momento che non si occu- pa di critica della società, ma “solo” contro il soggetto teoretico. E' perciò esclusiva- mente dalla critica di quest'ultimo e della sua chiusura che egli può trarre un concetto di individualità più ampio, non calibrato sul soggetto individuale ma sulla nozione di even- to.

Inoltre la filosofia deleuziana si caratterizza in generale per una sorta di messa in discussione dell'antropocentrismo e ciò dipende certamente dalla sua forte e indiscussa matrice strutturalista, riconosciuta e sottolineata da Deleuze stesso. Ciò non significa che essa miri a una totale estromissione dell'individuo o del soggetto dallo scenario filo- sofico, ma che tenda piuttosto a ripensare la tematica dell'individuale, del singolare, del particolare sotto una luce intra-soggettiva e che al tempo stesso oltrepassa il soggetto. Deleuze scrive che «l'individuo è l'attualizzazione di singolarità pre-individuali»187, la

concentrazione, l'accumulo, la coincidenza di un certo numero di singolarità pre-indivi- duali convergenti. La nozione di singolarità dunque, in senso stretto, non è mai umana, ma sempre oggettuale, e non può in alcun caso esser fatta coincidere con l'individuo concreto. In altri termini Deleuze scorpora due poli che nella tradizione filosofica occi- dentale si sono sempre compenetrati: ora «la singolarità non è più racchiusa in un indi- viduo»188 e questo costituisce un indiscutibile punto di rottura con Adorno.

Lo strutturalismo non è affatto un pensiero che sopprime il soggetto, ma un pensiero che lo frantuma e lo distribuisce in modo sistematico, che contesta l'identità del soggetto, lo dissipa e lo fa passare di posto in posto, soggetto sempre nomade, fatto di individuazioni, ma imperso- nali, o di singolarità, ma preindividuali.189

Qui Deleuze prosegue sulla strada intrapresa da Nietzsche di critica radicale e di distruzione di tutti i “valori”, di tutte le fedi filosofiche, prima tra tutte la credenza arbi- traria nell'esistenza di un soggetto stabile e autonomo190. Se anche per Deleuze il sogget-

187 G. Deleuze, 1988, tr. it. p. 107. 188 J-N. Vuarnet, 1968, tr. it. p. 301. 189 G. Deleuze, 1973, tr. it. p. 58.

to non è altro che un valore di cui si è dimenticata la natura illusoria e funzionale, allora non sarà più un “peccato” abbandonarlo e salvare la nozione di singolarità al di là di esso, su un piano diverso da quello antropologico191. In altri termini, la centralità dell'uo-

mo è per Deleuze soltanto un carattere derivato e non un dato originario da cui la filoso- fia possa prendere le mosse, un risultato da ottenere e su cui lavorare politicamente che però non si fonda daccapo sull'uomo come cardine del mondo. Non si tratterà di «arriva- re al punto in cui non si dice più: “Io”, ma al punto in cui non ha più alcuna importanza dire o non dire “Io”»192. In Deleuze la preminenza è assegnata all'inorganico, a una car-

tografia dell'essere entro la quale trovano spazio anche dei nuclei di convergenza chia- mati soggetti.

E' per questo che permane un forte ancoraggio alla realtà storica e concreta, alla condizione di libertà o di asservimento degli uomini reali, poiché è su questo piano che deve prodursi un effetto positivo-affermativo della critica medesima – e ciò costituisce un nucleo tematico che Deleuze recupera direttamente da Nietzsche, dal momento che questi prende le mosse da una vera e propria critica storica che investe l'intera cultura della società borghese, dal cristianesimo alla scienza, dalla filosofia a tutte le scienze umane, come sottolinea in modo puntuale Karl Löwith193. L'esigenza è comunque sem-

pre quella per cui dovranno essere gli uomini reali a superare la propria «umanità deca- duta» e a divenire degni di ciò che sono, ed è per questo che, anche se in forma del tutto insolita, il riferimento agli individui concretamente esistenti non viene affatto rimosso, nemmeno da parte di Deleuze. «L'umanità non è un pregiudizio che si possa deporre»194,

nonostante essa venga recuperata – o piuttosto creata – a partire dallo scardinamento delle dicotomie classiche del soggetto e dell'oggetto, dell'organico e dell'inorganico, del particolare e dell'universale; scardinamento cui fa seguito la scorporazione, spesso radi- cale, di quei vecchi nuclei tematici.

191 Seguendo qui, ancora una volta, la strada percorsa a suo avviso dallo stesso Nietzsche. Deleuze scrive infatti che «secondo lui [Nietzsche] occorre scoprire qualcosa che non sia né Dio né uomo, bisogna far parlare le individuazioni impersonali e le singolarità pre-individuali, quello che lui chiama Dioniso, o anche superuomo» (J-N. Vuarnet, 1968, pp. 302-303).

192 G. Deleuze – F. Guattari, 1980, tr. it. p. 48.