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Il soggetto e la sua identità

5. Contro il soggetto identico

Se a livello gnoseologico il risultato della critica all'istanza identificante si con- cretizza nella radicale messa in discussione, sia da parte di Deleuze sia da parte di Ador- no, della buona riuscita di una conoscenza fondata sulla rappresentazione e sull'egemo- nia logico-concettuale, tanto che auspicano la trasformazione degli strumenti della co- noscenza tramite l'irruzione o l'emersione di ciò che quegli strumenti non sono mai riu- sciti a penetrare – il reale – l'equivalente a livello soggettivo della critica dell'identità è rappresentata dalla destrutturazione della figura del soggetto. Adorno afferma chiara- mente che «il pensiero identico è soggettivistico»214, ed è per questo che il soggetto, in

quanto polo conoscitivo fondamentale, deve necessariamente essere ripensato a partire, anche, dall'inadeguatezza dei suoi strumenti.

Qui sia Adorno che Deleuze sono estremamente radicali, anche se in modo del tutto differente. Da un lato Adorno declina tutta la centralità della questione su di un piano estremamente concreto, quello socio-economico, dal momento che nella sua pro- spettiva la stessa teoria della conoscenza è materialistica, intrisa del contesto storico- reale entro cui essa si viene a formare. Il soggetto perciò non è ipostatizzato semplice- mente in quanto autoreferenziale in sé, chiuso in se stesso per una sorta di decisione vo- lontaristica e autonoma che gli impedirebbe di pervenire davvero alla cosa, ma al con- trario è proprio in quanto ipostatizzato che non arriva a conoscere l'oggetto: esso «deve la propria cristallizzazione alle forme dell'economia politica».

L'individuo riflette, proprio nella sua individuazione, la legge sociale prestabilita dello sfruttamento sia pure ipermediato. Ma ciò significa che anche la sua decadenza nella fase attuale non va spiegata individualisticamente, ma dedotta dalla tendenza sociale, nella misura in cui

questa s'impone attraverso l'individuazione e non solo contro di essa.215

Questo è secondo Adorno il discrimine che permette di differenziarsi rispetto alle critiche reazionarie della civiltà, poiché queste ultime nel prendere coscienza della decadenza finiscono per attribuirne la «responsabilità ontologica» ai soggetti in sé, con- cepiti come del tutto liberi: «preferiscono ancora sacrificare l'individuo che esercitare la loro critica sul principium individuationis sociale». Adorno dunque si scaglia contro questa realizzazione astratta dell'individuo che lo rende impossibile in quanto tale, non contro l'istanza individuale in sé. Al contrario, se qualcosa va salvato questo è proprio l'individuo, ma per far questo esso si deve liberare, prendendone coscienza, del sostrato universalistico, sociale, culturale, economico e storico sedimentato in esso. Secondo Adorno gli individui devono diventare davvero espressione del particolare.

La tesi centrale di Dialettica dell'illuminismo, quella secondo cui l'umanità ha scelto storicamente la strada dell'opposizione assoluta rispetto al contesto naturale, del- l'identità di sé con sé e della radicale differenza da ciò che non è soggettivo, l'oggetto, racchiude già tutto il senso della polemica contro la figura del soggetto che caratterizze- rà l'intera produzione adorniana. La scissione di soggetto e oggetto è astratta nel senso che, nella propria radicalità, assume lo status di un primato, di una condizione originaria data, dimenticando di esser stata dettata dal contesto oggettivo medesimo. Infatti «il soggetto è sin dall'inizio anche oggetto in base alla sua costituzione. Il soggetto non è pensabile senza l'oggetto nemmeno idealmente; l'oggetto senza il soggetto invece sì»216.

Il soggetto è in altri termini internamente mediato dalla dimensione oggettiva e solo per questo, perché «non è il radicalmente altro dell'oggetto», esso «è semmai in grado di comprendere l'oggettività». Tra soggetto e oggetto si realizza allora una mediazione che se da un lato permette la comunicazione tra termini che al di fuori della relazione non sussisterebbero nemmeno, dall'altro non li rende però reciprocamente assimilabili. Adorno sottolinea infatti che «“mediazione” non significa affatto che essa assorbe tutto, anzi postula qualcosa da mediare, non assorbibile»217. Allora, «più che costitutiva, la

mediazione soggettiva è il blocco davanti all'oggettività; quella non assorbe ciò che

215 Th.W. Adorno, 1951, tr. it. pp. 174-175.

216 Th.W. Adorno, 1966-67, tr. it. p. 165. Tuttavia Adorno immediatamente specifica: «non che l'oggetti- vità sia un immediato, che la critica al realismo ingenuo sia da dimenticare. Primato dell'oggetto signi- fica la progressiva distinzione qualitativa di ciò che è internamente mediato, un momento nella dialet- tica che non è al di là di essa, ma che in essa si articola» (ivi, p. 166).

questa è essenzialmente: ente»218.

Guardando nuovamente alle “ricadute” gnoseologiche dell'ontologia219, si può

certamente affermare che il tentativo adorniano sia quello di ricostituire e di far riemer- gere l'idea dell'alterità, andata completamente perduta, e senza la quale «la conoscenza scadrebbe a tautologia». La critica nei confronti di un soggetto identico e assoluto si de- clina dunque come recupero della figura dell'alterità sia nella dimensione relazionale-

formale – quella della mediazione tra il soggetto e l'oggetto – sia nella dimensione rela- zionale-materiale – quella invece della sedimentazione dell'oggetto nel soggetto – che

costituisce l'interna mediazione di quest'ultimo. La mediazione subita dall'oggetto da parte del soggetto, dal momento che è pur sempre quest'ultimo ad essere l'agente della conoscenza e della prassi, vede dunque agire un soggetto già mediato in sé, che certa- mente non è mai assoluto ma che al contrario può comunicare con la realtà e compren- derla solo perché è a sua volta costituito da essa, e che ospita l'altro da sé nelle stratifi- cazioni più profonde e prettamente individuali che lo caratterizzano – anche nella psi- che220. Tale alterità è propriamente qualcosa di irriducibile, di mai definitivamente ap-

propriabile né chiarificabile.

Questa, che Adorno chiama una reductio hominis che l'illuminismo deve com- piere dopo la kantiana reductio ad hominem, è una «demitologizzazione», la «visione di quanto sia falso un soggetto che si stilizza come assoluto» e che piuttosto è originaria- mente aperto all'alterità, è originariamente e materialisticamente “fatto” da essa. E' in questo contesto che la costellazione diventa lo strumento conoscitivo privilegiato: essa infatti non consiste in altro se non nel rimando reciproco dei termini, funziona solo sulla base di un'alterità cui è necessario riferirsi per definire se stessi e di un soggetto cono- scitivo – che è già sempre anche un individuo storico – memore delle proprie mediazio- ni, della propria storicità, e della propria naturalità.

Deleuze intende invece prescindere totalmente e radicalmente dal riferimento al soggetto. Non solo, si tratta anche di distruggere l'identità personale, di vederla dissol- versi e disperdersi nella molteplicità che la costituisce. Questo passaggio diventa a suo

218 Ivi, p. 167.

219 «Questa contraddizione della scissione di soggetto e oggetto si comunica alla gnoseologia» (Th.W. Adorno, 1969, tr. it. p. 213).

220 Leonardo Ceppa scrive che «la scomposizione analitica del soggetto nelle sue radici materiali (econo- miche e psicologiche) non significa affatto una sua liquidazione» e in vari passaggi del saggio intro- duttivo ai Minima Moralia parla della psiche individuale nei termini di materialità e di mediazione og- gettiva (L. Ceppa, 1994, pp. XL-XLI).

avviso imprescindibile per qualunque filosofia dopo Nietzsche, successiva dunque al- l'annuncio della morte di Dio. Deleuze riprende esplicitamente questa tematica da ciò che Pierre Klossowski scrive in Un si funeste désir (1963), che antecede di pochi anni

Logica del senso.

Klossowski insiste su questo, Dio è il solo garante dell'identità dell'io e della sua base sostanziale, l'integrità del corpo. Non si conserva l'io senza mantenere anche Dio. La morte di Dio significa essenzialmente, comporta essenzialmente la dissoluzione dell'io: la tomba di Dio è anche la tomba dell'io. Il dilemma raggiunge allora la sua espressione più acuta: l'identità dell'io rinvia sempre all'identità di qualche cosa fuori di noi.221

In altri termini, l'idea di soggetto assoluto e identico a sé costituisce una forma filosofica appartenente a una certa immagine del pensiero, ossia a una rete di concetti vicendevolmente legati e funzionanti solo in riferimento agli altri. Ciò significa innanzi- tutto che Deleuze pensa al rapporto tra Medesimo e Altro come qualcosa di originario e imprescindibile: anche le rappresentazioni classiche del pensiero, ad esempio quella he- geliana, sono costrette al riferimento all'alterità per definire i propri concetti fondamen- tali – esigenza che comunque è fondamentale per lo stesso Hegel. Ma ciò secondaria- mente implica che l'insistenza sul Medesimo non sia più ammissibile: una volta affer- mato che esso è compenetrato di alterità, che non è qualcosa di definito e di stabile, dun- que che in realtà propriamente non esiste, non è più possibile conservarlo e usarlo acriti- camente come modello di strutturazione del mondo e del soggetto. Deleuze, riprenden- do Gilbert Simondon e la sua riflessione sull'individuazione, traccia una nuova immagi- ne dell'individualità, i cui contorni e le cui dinamiche non sono per nulla sovrapponibili a quelli generalmente intesi non solo dalla filosofia ma anche dalle altre scienze umane. Il principio di individuazione è stato pensato dalla metafisica nei termini di una determi- nazione di un nucleo stabile e permanente al fine di arginare un divenire altrimenti in- controllabile, privo di coordinate e di punti di riferimento utili per l'uomo. Si tratta allo- ra di fare l'operazione contraria, ossia di liberare la tematica dell'individuazione dall'esi- genza di stabilità che gli uomini reali si aspettano da essa, scorgendo nietzscheanamente una pura utilità funzionale dietro il velo della stratificazione metafisica. Si tratta insom- ma di legare il principio di individuazione al divenire dell'essere, di pensarlo come te-

matica trasversale all'apparente contraddizione tra una qualche forma di stabilità del- l'essere e il perenne cambiamento del suo divenire fenomenologico. L'individualità di- viene allora un tracciato che si dispiega in un campo di forze potenziali, di singolarità anonime di intensità in divenire, di variazioni, di eventi.

Noi non siamo affatto sicuri di essere persone: una corrente d'aria, un vento, una giorna- ta, un'ora del giorno, un ruscello, un luogo, una battaglia, una malattia hanno un'individualità non personale. Hanno nomi propri. Noi le chiamiamo “ecceità”.222

Deleuze tuttavia va oltre questo, non si limita a eliminare la coincidenza tra indi- viduazione e individuo esistente, ma sostiene anche che una volta caduta quella pretesa di sovrapposizione l'individuo perda consistenza: in altri termini esso poteva apparire come qualcosa di unitario solo grazie all'idea che ne forniva la metafisica.

L'incertezza personale non è infatti un dubbio esterno a ciò che accade, bensì una strut- tura obiettiva dell'evento stesso, in quanto va sempre in due sensi contemporaneamente, e dila- nia il soggetto secondo questa duplice direzione. Il paradosso è innanzitutto ciò che distrugge il buonsenso come senso unico, ma, anche, ciò che distrugge il senso comune come assegnazione di identità fisse.223

Ciò che sostiene Deleuze nella prima serie di Logica del senso, “Sul puro diveni- re”, è il paradosso di un'identità infinita contro la pretesa di un'identità definita e perso- nale, il cui senso sarebbe incardinato sulla determinatezza del nome proprio e sull'unità del corpo.

Il nome proprio o singolare è garantito dalla permanenza di un sapere; tale sapere è in - carnato nei nomi generali che designano soste e stati di quiete, sostantivi e aggettivi con i quali il proprio mantiene un rapporto costante. Così l'Io personale ha bisogno del Dio e del mondo in generale. Ma quando i sostantivi e gli aggettivi cominciano a fondersi, quando i nomi che desi- gnano sosta e stato di quiete sono trascinati dai verbi di puro divenire e scivolano nel linguaggio degli eventi, si perde ogni identità per l'Io, il mondo e Dio224.

222 G. Deleuze, 1990, tr. it. p. 188. 223 G. Deleuze, 1969, tr. it. p. 11. 224 Ibid.

La critica del soggetto e della sua identità tuttavia non si conclude in se stessa, non è un risultato, ma l'incipit da cui partire per fare filosofia in modo diverso. Le dire- zioni di sviluppo verso le quali si muove Deleuze sono fondamentalmente due. La prima costituisce un paradosso, e consiste nel tentativo di occuparsi della reale condizione de- gli individui e della società proprio a partire dalla scomposizione del soggetto metafisi- co. Secondo Deleuze, parlare di intensità pre-individuali, di ecceità, di Corpo senza orga- ni non significa smettere di pensare all'individuo come soggetto politico o come polo conoscitivo: al contrario, questo essere «in cammino verso l'asignificante, verso l'asog- gettivo»225, costituisce la condizione di possibilità di quel passage à la politique che in-

teresserà la filosofia di Deleuze a partire dal Maggio 1968226. La “presa di coscienza”

che ne seguirà porterà ad una svolta decisiva tra la pubblicazione di Logica del senso, nel 1969, e quella de L'anti-Edipo, nel 1972, che Deleuze ritiene essere «interamente un libro di filosofia politica». In questo periodo intercorrono inoltre due fatti fondamentali nella formazione del pensiero filosofico-politico di Deleuze: un “nuovo incontro” con la filosofia di Spinoza, che sfocerà nella stesura dello scritto Spinoza. Philosophie prati-

que (1970), e la decisione di scrivere un testo in collaborazione con Félix Guattari, as-

sorbendo la vicinanza a tematiche proprie di Guattari, Foucault e Sambar che fino a quel momento gli erano rimaste distanti.

Inoltre vi è un secondo punto da mettere in luce al fine di sottolineare che la cri- tica del soggetto identico non si risolve in se stessa. Eliminare il soggetto, il suo corpo- organismo e la significanza soggettiva significa togliere di mezzo tutta l'immagine del pensiero e del mondo che lo reggeva e che a sua volta era resa possibile grazie a esso, al fine di ristrutturare totalmente sia il pensiero che l'ontologia secondo linee e figure com- pletamente diverse.

Adorno converge su questi punti, nel senso che la critica del soggetto è da un lato una delle azioni preliminari per rendere quest'ultimo capace di azione, e quindi di prassi politica. La possibilità della prassi politica costituisce in Adorno non il frutto di un passaggio tra diversi periodi di produzione filosofica, ma una delle tematiche di fon- do di tutta la sua filosofia. Dall'altro lato anche Adorno, una volta criticate la gnoseolo- gia e l'ontologia classiche a partire dalla caduta del soggetto astratto, non intende fare a

225 G. Deleuze – F. Guattari, 1980, tr. it. p. 227.

226 Nell'intervista rilasciata ad Antonio Negri nel 1990, Deleuze cita esplicitamente il Maggio del 1968 come evento che “forzava a pensare”, dunque come passaggio decisivo nella sua presa di coscienza politica che segnerà la produzione degli anni successivi (A. Bouaniche, 2007, pp. 143-144).

meno né di un'ontologia né tanto meno dell'individuo, al contrario ciò che si dimostra necessario è una trasformazione qualitativa di entrambi al fine di conferire una nuova centralità a una disciplina e a una figura che l'avevano del tutto perduta.

III