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Pensiero senza immagine e simulacri: l'istanza trascendentale in Deleuze

L'altra questione fondamentale che resta da chiarire riguarda Deleuze e il para- dosso di voler liberare il pensiero dalle immagini salvando i simulacri, ossia precisa- mente delle immagini. Per far questo sarà necessario tornare al problema dell'immagine dogmatica del pensiero, che consiste appunto nella sua sottomissione alle istanze fonda- mentali dell'identità della coscienza conoscente e della forma di oggettività del cono- sciuto, per considerare quale strada Deleuze intraprenda per liberarlo.

Come si è già ampiamente sottolineato, Deleuze non condivide l'immagine del pensiero che la filosofia si è tradizionalmente data. In Differenza e ripetizione sintetizza l'immagine classica del pensiero in otto postulati: postulato della cogitatio natura uni-

versalis (buona volontà del pensatore e buona natura del pensiero); postulato del senso

comune (come concordia facultatum) e del buon senso (come garante della concordia); postulato del modello o del riconoscimento (che spinge tutte le facoltà a esercitarsi su un oggetto che si suppone lo stesso); postulato della rappresentazione (che subordina il sensibile – il differente – alle dimensioni complementari dello Stesso e del Simile, del- l'Analogo e dell'Opposto); postulato del negativo o dell'errore (accidenti che accadono nel pensiero come prodotto di meccanismi esterni); postulato della funzione logica o proposizione (la designazione è la verità, che a sua volta costituisce il senso); postulato della modalità o delle soluzioni dei problemi (dove questi ultimi sono definiti dalla loro possibilità di essere risolti); e infine postulato del risultato o postulato del sapere come fine ultimo dell'apprendere.

[I postulati] schiacciano il pensiero sotto un'immagine che è quella dello Stesso e del Si- mile nella rappresentazione, ma che tradisce nel più profondo ciò che significa pensare, alienan- do le due potenze della differenza e della ripetizione, del cominciamento e del ricominciamento filosofici. Il pensiero che nasce nel pensiero, l'atto di pensare generato nella sua genitalità, non dato nell'inneità né supposto nella reminiscenza, è il pensiero senza immagine.104

La questione dell'immagine del pensiero costituisce il cuore di Differenza e ripe-

tizione, e va intesa sia nel senso di una critica dell'immagine tradizionale del pensiero e

dei suoi postulati a vantaggio di una nuova immagine del pensiero, sia nel senso della

ricerca di un pensiero senza immagine, liberato dalla rappresentazione e dal criterio del- la rassomiglianza. Qui emerge già a un primo livello la paradossalità che caratterizza l'intera questione. Ciò che intende dire Deleuze con questa figura apparentemente con- traddittoria è che la nuova immagine del pensiero è quella che non dà preventivamente la rappresentazione di cosa significhi pensare: è l'immagine di un pensiero immanente che, proprio non essendo in grado di decidere in anticipo e definitivamente la propria configurazione, resta fedele al pensiero come atto creativo105, all'apertura che lo costitui-

sce e nella quale si ritrova sempre a dover pensare spinto da fuori.

Ma in che cosa consiste questo qualcosa di esteriore al pensiero che tuttavia lo spinge ad essere se stesso? Possiamo innanzitutto escludere che si tratti dell'oggetto, nell'accezione che ne dà la teoria gnoseologica classica, così come non si tratta della pluralità di tutti gli oggetti rappresentati dalla coscienza. Questi infatti non sono altro che i correlati dell'immagine classica del pensiero, che vengono tolti di mezzo con essa. Deleuze risolve la questione attraverso il recupero e l'intreccio di due diverse risposte reciprocamente indipendenti: la prima è quella data dall'empirismo trascendentale e la seconda è quella dello strutturalismo. Pur costituendo prospettive assolutamente etero- genee, ciò che Deleuze recupera da entrambe è una rielaborazione della nozione di tra- scendentale a partire dalla quale è possibile fondare la trasformazione qualitativa del rapporto tra il pensiero e il reale, e che dunque spiega esattamente le modalità di attua- zione di quest'ultimo. Ora si tratterà dunque di vedere in che modo il recupero critico del trascendentale permetta di determinare l'oggetto del pensiero, e dunque di consolida- re il paradosso di un pensiero senza immagine che pensa delle immagini.

Pensare per Deleuze significa sempre sperimentare, scoprire, creare106: indica

dunque effettivamente un rapporto attivo innescato da un Fuori, dove però quest'ultimo non è mai solo la cosa presente, l'oggetto percepito, il dato per la coscienza, ma anche le leggi di funzionamento dell'esperienza e le condizioni alle quali questa avviene. Il pen- siero si muove non solo a partire da un oggetto empirico, ma anche sempre a partire dal- l'essere dell'oggetto empirico: si muove cioè sul proprio limite, a partire da ciò che lo mette in funzione e che tuttavia non può essere interamente tradotto in oggetto finito. Questo è un oggetto trascendentale o virtuale presente nell'attualità dell'oggetto empiri- co, che però è orientato alla fondazione delle dinamiche di esistenza di quest'ultimo,

105 F. Zourabichvili, 1994, p. 65.

piuttosto che delle sue condizioni di possibilità. Il pensiero che pensa questa compene- trazione di virtuale ed attuale è il pensiero che pensa il reale.

E' evidente che qui non si sta affatto recuperando il trascendentale nel suo senso classico, ma piuttosto si sta tentando di elaborarne una nozione diversa. Il trascendentale infatti non può secondo Deleuze essere ridotto al suo “uso kantiano”, nel senso che non deve servire tanto alla fondazione della legittimità della rappresentazione, poiché in tal modo viene interamente appiattito sull'empirico, perdendone la specificità, quanto al contrario deve essere esplorato esso stesso nella sua relazione con l'empirico, per rin- tracciarvi quell'essere del sensibile che manca all'essere sensibile – nel senso che è pre- sente in quest'ultimo ma sempre e solo nella forma di un'assenza, ovvero come presenza indisponibile, indefinibile, aperta, che appunto manca inevitabilmente a se stessa.

Adorno stesso intraprenderà a sua volta una critica radicale del concetto classico di trascendentale, anche se a partire da una prospettiva e con intenti del tutto differenti, poiché non intende aderire in alcun modo a nessuna sorta di empirismo, così come non intende salvare il trascendentale sotto nessuna forma, nemmeno quella radicalmente tra- sformata avanzata da Deleuze. Nello specifico, la questione del trascendentale kantiano ha da un certo punto di vista molto in comune con la peculiarità del rapporto tra partico- lare e universale in Hegel: esso mira all'instaurazione di un dominio piuttosto che realiz- zare una vera mediazione di termini. Secondo Adorno, Kant e Hegel sono esecutori del medesimo progetto di riduzione del particolare all'universale, che è poi il tratto precipuo della civiltà occidentale, rispettivamente nella forma del soggetto trascendentale e in quella dello spirito assoluto, le cui configurazioni possono direttamente esser dedotte dalla reale condizione di dominio della società sull'individuo, che quelle finiscono ne- cessariamente per riprodurre107.

Per quel che riguarda Deleuze il tentativo è invece quello di salvare il trascen- dentale proprio per mezzo di una critica del trascendentale kantiano, che non riusciva a svolgere il ruolo di mediazione costitutiva al quale era preposto, fondamentalmente per- ché mirava all'individuazione delle condizioni di possibilità dell'esperienza in generale.

107 Secondo Adorno, in Kant «il soggetto trascendentale è decifrabile come la società inconsapevole di sé» (Th.W. Adorno, 1966-67, tr. it. p. 160), mentre in Hegel «il particolare nella figura capovolta di un'individuazione impotente e sacrificata all'universale viene imposto dal principio dell'universalità» (ivi, p. 309). «La società e l'individuo si armonizzano qui come non mai» (ivi, p. 312). Dal momento che la questione coinvolge direttamente i concetti di individuo, singolare, totalità, molteplicità, ecc., si rimanda al capitolo II, “Il soggetto e la sua identità”, dove sarà possibile svolgere ampiamente la trat- tazione di un confronto che coinvolga sia Adorno sia Deleuze su questi temi.

Ma l'esperienza secondo Deleuze è sempre singolare, unica caso per caso, e il trascen- dentale realizza effettivamente la mediazione tra il pensiero e la cosa solo se punta al- l'individuazione delle sue condizioni reali. Alla questione del “che cos'è”, orientata al reperimento della generalità entro cui far rientrare il caso singolare, l'empirismo trascen- dentale chiede «il “quanto?”, il “come?”, l'“in quale caso?” - e il “chi?”», poiché il fine non è la scoperta di leggi universali, ma la creazione di concetti per ciascuna singolarità incontrata, ossia per ogni evento. Alla domanda dell'essenza oppone dunque quella «del- l'accidente, dell'evento, della molteplicità, della differenza»108.

E' qui che per Deleuze diventa fondamentale il contributo dello strutturalismo, poiché questo fornisce una determinazione precisa del ruolo del trascendentale nel rap- porto immancabilmente singolare tra cosa e pensiero. Quest'ultimo è infatti concepito nei termini di una struttura sempre costituita da due serie divergenti e differenziate (il pensiero e il reale) che possono incontrarsi reciprocamente solo per il tramite di un Ter- zo elemento singolare che ne costituisce il punto di convergenza (la cosiddetta “casella vuota” o “oggetto uguale a x”), la cui caratteristica principale è quella di essere sempre spostato rispetto a se stesso, di essere sempre per altro. La sua proprietà è quella «di non essere mai dove lo si cerca, ma in compenso anche di essere trovato dove non è», il che appunto significa che lo spostamento che esso provoca, l'istanza di relazionalità in cui esso stesso consiste, «non forma un carattere aggiunto dall'esterno, ma la proprietà fon- damentale che consente di definire la struttura come ordine di posti sotto la variazione di rapporti»109. Il Terzo del rapporto è ciò che fa comunicare le serie «mentre al tempo

stesso impedisce all'una di ricadere immaginariamente sull'altra»110: è in altre parole il

differenziante delle differenze già intrinseche all'essere, è ciò che le porta in superficie e

le distribuisce.

[L'oggetto uguale a x] non è assegnabile: non può essere fissato a un posto, né essere identificato con un genere o una specie. Esso stesso costituisce il genere ultimo della struttura o il suo posto totale: non ha dunque un'identità se non per mancare a questa identità, e un posto se non per spostarsi rispetto a ogni posto.111

108 G. Deleuze, 1968, tr. it. p. 244. 109 G. Deleuze, 1973, tr. it. pp. 47-48. 110 Ibid.

Esso è dunque un impensabile, un virtuale, che tuttavia non può che essere pen- sato nell'attualità dell'oggetto sensibile, poiché è esattamente ciò che mette in relazione il pensare con l'essere stesso. E' appunto in questo senso che costituisce un trascendenta- le. Ma ciò significa anche che c'è un solo modo di mancarlo, ossia identificandolo, bloc- candolo, elidendone la funzione differenziante. La differenza in lui non è un attributo ma una funzione, esso non è differente ma differenziante: è la sua funzione all'interno della struttura a dire che cosa esso sia, differenza pura appunto, piuttosto che la sua es- senza predeterminata a stabilirne il campo d'azione.

Ciò ha una conseguenza fondamentale: l'oggetto uguale a x, il trascendentale, la differenza pura provoca una radicale modificazione dell'immagine del pensiero: pensare

la cosa è possibile solo se qualcosa sfugge, la convergenza del pensiero sull'oggetto è

dischiusa solo a patto di essere sempre spostata rispetto a se stessa. Per pensare il reale, il pensiero deve pensare l'impensabile, «quel punto aleatorio trascendente, sempre Altro per natura»112, quella differenza in sé che lo muove. Solo in tal modo gli sarà infatti pos-

sibile esser fatto nascere da se stesso, dalla differenza stessa, accedere alla propria geni- talità, divenendo dunque la rottura di ogni immagine del pensiero che conservi il criterio dell'identità. L'oggetto uguale a x che consente al pensiero e alla cosa di convergere nel- la medesima immagine del pensiero non elimina la disgiunzione delle serie, ma al con- trario la incrementa e la mette in movimento: «la disgiunzione è affermata per se stessa senza cessare di essere una disgiunzione, la divergenza o la differenza diventano oggetti di affermazione pura»113. Dunque, dalla contaminazione del trascendentale dell'empiri-

smo con il trascendentale dello strutturalismo, Deleuze ottiene esattamente un pensiero senza immagine che pensa delle singolarità: l'immagine del pensiero che manca è quella del posto vuoto in cui consiste il trascendentale, ovvero l'istanza che davvero permette al pensiero di essere tale. Il pensiero non può in alcun modo farsi un'immagine del tra- scendentale, non può mai darsi un senso in generale, e solo così esso può pensare qual- cosa.

E' a partire da qui che l'istanza paradossale di trovare una nuova immagine del pensiero senza immagine può essere accolta nella sua coerenza. Per Deleuze infatti non si tratta affatto di prescindere dalle immagini per andare alle cose, ma al contrario di prescindere solo ed esclusivamente dal potere dell'identità cui esse stesse erano sottopo-

112 G. Deleuze, 1968, tr. it. p. 188. 113 G. Deleuze, 1969, tr. it. p. 260.

ste e che ne bloccava la potenza di differenziazione. In altri termini il pensiero identifi- cante, per usare l'espressione di Adorno, non è un'istanza diversa dal pensiero che pensa davvero la cosa: è semplicemente l'ipostatizzazione di quest'ultimo, la sua incapacità, o meglio la sua impossibilità di restare fedele alla potenza del differente, la sua necessità di organizzarlo in una struttura gerarchica, una compagine di potere centrata sull'identità e la negazione, atta a governarlo114. In altre parole, l'immagine dogmatica del pensiero

non ha per oggetto un pensiero diverso da quello che pensa il differente, tanto che è in- staurata precisamente allo scopo di non farlo differire: essa allora non è altro che quello stesso pensiero preso nella propria immobilità, che gli impedisce di pensare effettiva- mente il differente. Allo stesso modo l'immagine rappresentativa non è diversa dalle im- magini che rompono la rappresentazione, i simulacri, tanto che essa è instaurata proprio per espellerli dal dominio della vera conoscenza della cosa.

Non si tratta allora di liberarsi delle immagini né della rappresentazione, ma di farle passare incessantemente dall'una all'altra. Se da un lato le immagini liberate dal re- gime dell'identità sono quelle che non smettono di differire e che non rappresentano nul- la, e sono dunque impossibili in base alla loro stessa definizione, dall'altro lato sono an- che quelle che non smettono di esser fatte convergere in tale differire continuo, la cui potenza è una forza di affermazione che consiste nel divenire stesso – divenire che costi- tuisce l'evento unico dell'Essere, da intendersi sempre come un divenire-altro continuo che passa tra i punti virtuali o intensivi, molecolari dirà Deleuze, del reale. Per com- prendere realmente ciò che egli intende con i concetti di divenire e di evento sarà però necessario passare prima attraverso un altro nodo tematico, ossia quello riguardante il soggetto e la sua identità, a partire dal quale emergeranno i concetti di singolarità e di molteplicità, nonché quelli di maggioritario e minoritario, indispensabili per definire il divenire-molecolare, o divenire-intensivo, proprio dell'evento.

114 Qui il rimando è evidentemente alla concezione deleuziana del rapporto tra la potenza e il potere, che rinvia a sua volta alla teoria della duplicità del piano di immanenza. Questo è sempre univoco solo perché si dispiega su due diversi livelli: ci sarebbero dunque un piano di organizzazione e di sviluppo, orientato alla strutturazione del differente, a partire dal quale sarebbe possibile costituire e determinare ruoli, funzioni, immagini, identificazioni, ecc., e un piano di consistenza o di composizione entro cui non vi sarebbe alcuna struttura immobile, ma tutto si giocherebbe come rapporto di movimento e di stasi, di dispiegamento di forze e di involuzione. Evidentemente il piano di organizzazione costituisce il fallimento di quello di consistenza, perché trova per esso una configurazione stabile, e viceversa il piano di consistenza costituisce sempre la rottura del piano di organizzazione, dal momento che ne fluidifica la struttura rigida. Ma il piano di immanenza, l'essere nella sua univocità, consiste precisa- mente in questa dialettica di potere e potenza, di dispiegamento caotico del differente che deve sempre essere mediato da qualche struttura, che a sua volta deve essere prodotta solo per lasciarsi sorpassare (G. Deleuze – F. Guattari, 1980, tr. it. pp. 324-331).

Per il momento sarà sufficiente sottolineare come la questione del pensiero, della sua immagine e delle immagini che esso pensa è una delle questioni centrali del pensie- ro deleuziano, poiché attraverso la sua articolazione è possibile comprendere l'essere e il pensiero esattamente nei termini del divenire, che costituisce davvero la questione onto- logica fondamentale per Deleuze. Esso si determina non a livello di entità costituite, a livello molare, ma tra tali entità, a livello molecolare, costituendone il rapporto puro di movimento e di incessante differenziazione. Le entità stesse allora non sono mai riassu- mibili in un'immagine fissa che le identifichi una volta per tutte, poiché sono attraversa- te da una metamorfosi perpetua, da un continuo divenire-altro in cui consiste la potenza dell'essere stesso. Il divenire costituisce in questo senso la condizione ontologica del-

l'essere e il limite costitutivo del pensiero: essere e pensiero sono al di fuori del dominio

dell'identico, entrambi sono privi di immagine non nel senso che mancano di configu- razione ma nel senso che ogni configurazione consiste nel passaggio continuo da una fi- gura all'altra. E' dunque non paradossale ma conseguente che sia proprio un pensiero senza immagine a poter pensare i simulacri, ossia delle immagini con la peculiarità di essere prive di configurazione definitiva, di essere libere dalla pretesa di rappresentare adeguatamente il reale, e che proprio per questo riescono in ultima analisi a rappresen- tarlo davvero nella sua differenza.

5. Pensare il non-identico, ovvero antiplatonismo? Sul “materialismo senza