costituzionalmente garantiti è frutto di un bilanciamento che non coincide con quello proprio delle valutazioni amministrative discrezionali. Sui caratteri
del bilanciamento politico tra valori costituzionali vedi PALADIN, Diritto
costituzionale, Padova, 1998, p. 569 ss. 77 Sul punto P
troverebbero fuori dalla Costituzione Statale, o, se si vuole, dentro la Costituzione europea».78
Questo è sicuramente vero con riguardo al principio di concorrenza del quale non è agevolmente sostenibile la previsione in Costituzione in base alla quale, peraltro, sono state storicamente legittimate politiche restrittive. Tuttavia la Costituzione non impone un determinato «contenuto economico»; come è stato detto, essa è neutrale, idonea ad accogliere ogni modello di organizzazione del mercato in relazione al quale pone criteri per garantire il rispetto e la limitabilità del principio di iniziativa economica, sicché è forse troppo azzardato dire che l‟ordinamento europeo ha messo in quiescenza l‟art. 41 Cost.79 E‟ certamente vero che l‟ideologia
dominante dell‟Assemblea costituente eletta nel 1946 non era orientata in senso liberistico; l‟introduzione dell‟art. 41 comma 3 della Cost. lo testimonierebbe, al punto che esso è ritenuto da molti, a differenza degli altri due, incompatibile con i principi dell‟economia di mercato (e, quindi, attualmente sostanzialmente esautorato dal suo ruolo di cornice del sistema giuridico dell‟economia).
Ma proprio un‟analisi dell‟organizzazione del sistema giuridico dell‟economia di mercato ci permetterà di cogliere i limiti di una siffatta visione. Lungi da rappresentare il trionfante ritorno alla classicità degli schemi privatistici che sembrava superata nello Stato dirigista, la liberalizzazione dei mercati e la loro strutturazione in senso concorrenziale, presupponendo la regolazione, aumentano la presenza dell‟elemento «pubblicistico» (o ultra-individualistico) nelle negoziazioni; aumentano i controlli e richiedono tecniche di orientamento delle negoziazioni (verso fini sociali, ma inprimis, verso determinati assetti di mercato).
Pertanto, è da ritenere che la legittimità di quella forma di disciplina dell‟economia che è la regolazione ad opera dell‟Autorità indipendente debba essere verificata anche alla luce dell‟art. 41 della Costituzione e della riserva di legge in esso contenuta (e non solo delle norme che impongono il principio di legalità, in generale, dell‟azione amministrativa).
78 IRTI, L‟ordine giuridico del mercato, Roma – Bari, 1998, pp. 15 e 16 e
p. 100.
79 Vedi, ad esempio, M
ENGONI, Autonomia privata e Costituzione, in Banca
borsa e titoli di credito, 1997, p. 2. Sul tema GIANI, Attività amministrativa e
regolazione di sistema, Torino, 2002, pp. 109 ss; AA.VV., La Costituzione economica, in Trattato di diritto commerciale e di diritto dell‟economia, a cura di GALGANO, 1997 e CASSESE, La nuova Costituzione economica, Roma-
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Ma, come vedremo, accanto ad esso acquista rilievo anche l‟art. 23 Cost., a norma del quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Esso diventa un ulteriore punto di riferimento normativo di un‟indagine sui rapporti tra regolazione e autonomia privata, perché quest‟ultima si caratterizza per divenire sempre più disciplina eteronoma dell‟attività contrattuale.
Tuttavia, non manca chi, in relazione alla funzione e modalità di esplicazione della “regolazione” delle A.I., cui è attribuito istituzionalmente il compito di creare e tutelare le condizioni che rendono il mercato efficiente e concorrenziale, sostiene che quella svolta non è propriamente un‟attività di indirizzo o condizionamento dell‟autonomia privata, ma «sostitutiva» di essa a garanzia, tra l‟altro, di un obiettivo già posto dalla Costituzione così come integrata dal diritto Europeo: il mercato e la concorrenza. Non si porrebbe in tal caso, allora, il problema della riserva di legge; “per l‟intervento pubblico nell‟economia la Costituzione prevede […] la riserva di legge, per la regolazione no, perché è una forma di tutela diretta della libertà economica combinata con il principio di eguaglianza”.
80 Secondo la tesi quelli delle Autorità di regolazione sono atti
80 MERUSI, Il potere normativo delle Autorità indipendenti, in GITTI, L‟autonomia privata e le Autorità indipendenti, Bologna, 2006, p. 48. L‟A. parte dal presupposto che l‟ attività di «regolazione» in senso proprio svolta dalle Autorità indipendenti si caratterizza dall‟essere esse chiamate a sostituire in tutto o in parte «atti negoziali dei privati che partecipano o dovrebbero partecipare al contraddittorio concorrenziale quando questi non si manifestano spontaneamente». In senso proprio, secondo l‟A., per «regolazione» del mercato dovrebbe intendersi questo fascio di attività: quando i privati «alterano» quei presupposti della concorrenza con i propri atti negoziali (alterano il mercato o, come direbbero gli economisti, di fronte ai «fallimenti del mercato») perché omettono di compiere attività che sono il presupposto di tale concorrenza, le Autorità indipendenti realizzano esse stesse i presupposti utili alla concorrenza compiendo l‟attività che i privati dovrebbero porre in esse o imponendola ai privati. In altre parole le Autorità fanno ciò che dovrebbero fare i privati protagonisti del mercato quando essi non compiono correttamente le loro attività, le Autorità si pongono sullo stesso piano dei privati. Perciò esse divengono a loro volta protagonisti del mercato e la regolazione di questo è attività sostitutiva dell‟attività negoziale privata, così che «le autorità indipendenti non esercitano una „frazione‟ della sovranità come l‟esecutivo tradizionale, svolgono una funzione di „supplenza‟ nei confronti della libertà economica» (p. 49). Ne conseguirebbe che l‟attività di regolazione non è classificabile come forma tradizionale di attività
amministrativi «sostitutivi» di negozi giuridici privati.81 Ma, proprio
attraverso una verifica delle modalità con cui avviene tale sostituzione delle attività negoziali private, consentirà di far emergere la valenza esclusivamente politologica e non tecnica di una tale affermazione. Analizzare in che modo avvenga, sul piano tecnico, tale sostituzione, permetterà di capire che quella sostituzione della libertà negoziale è, contemporaneamente, un‟attività di limitazione di essa, e, quindi, come sempre, ricadente nella disciplina dei «limiti» all‟autonomia e della riserva di legge.
Ugualmente non scontata è la possibilità di fare riferimento al tradizionale criterio di gerarchia delle fonti per spiegare limiti e forme di un‟attività di incidenza sul contratto, dal momento che ad esso si tende a sostituire il criterio di competenza.82 Ma, in ogni caso, quest‟ultimo trova
pur sempre nella Costituzione il proprio riferimento, e pertanto, quand‟anche si volesse ritenere che in questa materia esso abbia preso il posto del criterio gerarchico, una tale affermazione non sarebbe in grado di impedire il vaglio dell‟attuale prassi regolatoria alla luce del principio di riserva di legge e, quindi, alla luce della disciplina costituzionale dell‟autonomia privata.
Deve però essere fatta un‟ulteriore precisazione in materia di limiti all‟autonomia. Il senso in cui qui ci si riferisce ad essi è quello tradizionale in cui il potere viene imperativamente costretto entro maglie ben definite di modalità di esercizio (viene imposto un dato esercizio di una delle libertà che compongono il momento di manifestazione della singola esperienza di esercizio di autonomia: c.d. limiti positivi), oppure non viene ammesso un