fino ad oggi, sono largamente mancati – gli opportuni programmi e gli
opportuni controlli», così GALGANO, Rapporti economici. Art. 41, in
Commentario alla Costituzione, a cura di BRANCA, Bologna – Roma, 1982 p. 4
ss.
69 OPPO, L‟iniziativa economica, in Principi e problemi di diritto privato, vol. I, 2000, p 19.
70 «La locuzione costituzionale è formula verbale riassuntiva di una serie
di interessi a rilievo sociale, assunti come propri dal legislatore. Compito dell‟interprete è quello di individuare nel testo della costituzione quali sono gli interessi che nel settore dei rapporti economici emergono sul piano formale accanto a quelli del soggetto che pone in essere l‟attività economica e in che modo si realizzi fra loro l‟equilibrio», così NUZZO, Utilità sociale, p. 81
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esame e l‟interesse costituzionalmente tutelato. Al giudice ordinario, in sede di accertamento di validità dell‟atto, di valutare il contrasto fra la concreta funzione di quel negozio e l‟interesse sociale prevalente, per accertare, a quella stregua, se l‟atto possa considerarsi compreso nella sfera di potere attribuito ai privati».71 Insomma, gli interessi «sociali» che
emergono dalla Costituzione in relazione alla disciplina delle relazioni economiche e che si caratterizzano come fini propri dell‟ordinamento (ad es. la tutela dei soggetti economicamente più deboli), costituiscono la «utilità sociale» con la quale la manifestazione di autonomia non deve contrastare e in presenza di tale contrasto concreto, ai privati non è dato il potere di autonomia.
La dottrina maggioritaria, invece, legittimamente evidenziando l‟evanescenza del termine «utilità sociale» e, quindi, sostenendone la non utilità sul piano tecnico, aveva optato per la tesi della non immediata precettività della disposizione e per la esistenza di una riserva di legge anche in materia di limiti negativi, non offrendo, però, effettivamente, un parametro per cosa il legislatore potesse concretamente e legittimamente considerare come «utilità sociale» per vietare il relativo potere di autonomia. Anche l‟apposizione dei limiti negativi, nonostante l‟assenza di una espressa previsione in tale senso nella disposizione di legge, richiede ed impone quindi, per la dottrina dominante, la mediazione del legislatore.
Il terzo comma, fino agli anni ‟80 è stato interpretato come il dato normativo che giustificava l‟intervento pubblico in economia.72 E‟ dunque
alla luce di esso che devono essere valutate le attività di intervento dello Stato, non solo direttamente nella competizione economica, ma anche sui rapporti tra privati.
I limiti che il legislatore incontra sono quelli della riserva di legge e della esistenza di un «quadro programmatico» entro il quale sviluppare gli interventi.73
71 N
UZZO, Utilità sociale, cit., p.83.
72 Il comma 3 individua per IRTI, L‟ordine giuridico del mercato, Roma –
Bari, 1998, p. 94 “l‟economia come una totalità, indirizzabile e coordinabile ai fini sociali”. In esso si coglie “l‟eco delle pianificazioni sovietiche e della Carta del lavoro e del dibattito degli anni Trenta intorno all‟economia programmata”. L‟Autore ritiene che la nuova dimensione concorrenziale del mercato abbia perciò reso inoperante il comma 3 dell‟art. 41.
73 BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, p. 389.
Tuttavia, come riferisce OPPO, L‟iniziativa economica, in Principi e problemi di
Secondo una tesi, poi, gli interventi positivi sul contatto dovrebbero essere tali da non «modificare in via generale i criteri di soluzione dei problemi demandati al sistema del contratto, riducendo sistematicamente l‟accordo a criterio di accesso a regolazioni sempre suscettibili di correzioni eteronome, non previamente vincolate a settori di intervento determinati». Viceversa, la «scorporazione dal sistema del contratto di problemi economico – sociali, la soluzione dei quali non si ritiene più ad esso demandare, e la contemporanea formazione di sottosistemi distinti preposti a loro soluzioni diversificate » è «certamente compatibile con il valore sistematico del contratto” come atto di autonomia. Infatti non si tratta di negare un principio (l‟autonomia), ma di sottrarre alla sua logica determinati settori socio – economici. In altre parole, il fatto che la Costituzione affermi la libertà di iniziativa (e, si ritiene, indirettamente la libertà contrattuale) e che , poi, consegni alla legge la possibilità di porre «limitazioni»,74 secondo il termine ormai utilizzato in dottrina, dovrebbe configurare l‟intervento sulle logiche contrattuali innanzitutto come eccezionale. Le limitazioni non dovrebbero essere tali da eliminare totalmente dal sistema del gioco economico il principio del contratto come atto di autonomia, e, in quanto tale, come atto di autodeterminazione privata in merito alla regola dei propri rapporti.
Dalla previsione costituzionale della riserva di legge in tema di restrizioni alla libertà negoziale possono essere ricavati implicitamente altri due principi: il primo è che le limitazioni alla libertà stessa devono essere predeterminate e generali, e non frutto di valutazioni contingenti su esigenze del caso concreto;75 il secondo è che la decisione relativa alla
restrizione del potere di autonomia presuppone la capacità di svolgere valutazioni di carattere politico, in grado di definire gli interessi sociali.76
non sia neanche necessario il ricorso allo strumento della programmazione purché le limitazioni trovino „fondamento in regole e criteri razionali‟».
74 B
ARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, p. 389 ss.
75 GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 678.
76 Il carattere di politicità delle scelte limitative dell‟autonomia privata è
evidenziato da BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996,
p. 394, là dove si afferma che: «Attraverso la determinazione autoritativa dell‟assetto del rapporto contrattuale […] si correggono o si sospendono le
diverse funzioni del mercato, orientando „politicamente‟ [il corsivo è nostro],
nei settori governati da tali specifiche logiche, sia la produzione che la distribuzione di ricchezza». La politicità delle decisioni relative alla limitazione dell‟autonomia privata, deriva dall‟essere quest‟ultima tutelata a livello
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Il problema interpretativo dell‟art. 41 non si risolve solo in quelli della previsione dell‟autonomia contrattuale a livello costituzionale e della riserva di legge con riguardo ai limiti negativi o positivi. Esso concerne anche la natura relativa o assoluta della riserva. La dottrina dominante e la giurisprudenza lo hanno da tempo risolto nel senso della natura relativa della riserva.77
2. Disciplina del mercato e limiti all’autonomia privata.
Una volta introdotto il tema della riserva di legge in materia contrattuale e succintamente illustrate quelle che sono le interpretazioni che finora la dottrina italiana ha fornito a riguardo, la sua applicazione al tema dei rapporti tra regolazione del mercato e disciplina dell‟autonomia privata non è scontata. Anzi, il riferimento alla riserva di legge di cui all‟art. 41 Cost. (e quindi alle condizioni di legittimità di normazioni che, quand‟anche di regolazione del mercato, costituiscano disciplina imperativa del potere di autonomia e dei suoi confini), quando fatto, è dai più superato o variamente aggirato come problema.
Un primo problema è dato dal riconoscere che, nonostante l‟ingresso della normativa di produzione o derivazione europea, il nostro ordinamento mantiene nell‟art. 41 Cost. un punto di riferimento ancora utilizzabile e operativo. Diversamente argomentando, infatti, non sarebbe necessario far riferimento ad esso per la soluzione dei problemi che pone la regolazione, come normazione proveniente da Autorità indipendenti ed avente obiettivi di conformazione del mercato. Rispetto ai precedenti dibattiti in tema di diritto dell‟economia e autonomia privata, quindi, verrebbe a mancare il riferimento alla Costituzione.
Alcune tesi hanno sostenuto che, in tema di costituzione economica, «i principi fondamentali del diritto dell‟economia (quelli […] cui facciamo ricorso nell‟esercizio interpretativo e nell‟integrazione delle lacune) si