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Credibilità e fiducia nella funzione di certificazione in senso stretto

3.4. Credibilità e fiducia nei sistemi di certificazione della qualità

3.4.2. Credibilità e fiducia nella funzione di certificazione in senso stretto

Nell’indagare le determinanti dell’efficacia dell’assicurazione di qualità, la maggior parte dei contributi in letteratura tende a focalizzarsi sulla seconda funzione del sistema: il controllo, intendendo con esso il monitoraggio della corretta applicazione delle norme e della conformità alle stesse. Questa rappresenta la più critica e la più complessa funzione nel determinare l’equilibrio e il corretto funzionamento dell’infrastruttura della certificazione di qualità.

L’efficacia del controllo può essere sinteticamente descritta dal grado di adesione e di compliance alla norma da parte dei soggetti certificati. Fondamentali al riguardo appaiono, da un lato, i requisiti posti dallo standard, che dispongono le modalità di attuazione e di monitoraggio della corretta applicazione della norma; dall’altro, la figura professionale e il comportamento dei soggetti responsabili delle attività di verifica. Un accurato ed efficace sistema dei controlli previsto dallo standard non è sufficiente a garantire che essi siano correttamente eseguiti. Occorre, infatti, che vi sia fiducia nei soggetti (gli organismi di certificazione e i loro auditor) che si pongono come intermediari tra i produttori/venditori e il mercato. La legittimità della funzione del controllo è correlata al grado con cui gli auditor sono accettati dagli stakeholder, che dipende anche dal livello di fiducia nella robustezza delle azioni di monitoraggio.

La credibilità della funzione del controllo è ancorata, in primo luogo, a una radice di tipo cognitivo: contano, cioè, le competenze, le specializzazioni e le esperienze degli enti di verifica e degli auditor nei settori produttivi interessati dalla certificazione, le cui performance possono essere misurate in termini di abilità (e di volontà) a discriminare tra produttori di bassa e di alta qualità (Deaton, 2004). Albersmeier et al. (2009) sottolineano la necessità di controlli affidabili, validi e credibili, significativamente influenzati anche dai differenti approcci metodologici applicati nei processi di audit. In particolare, gli autori suggeriscono l’adozione di un approccio al monitoraggio orientato al rischio, più efficace e più efficiente rispetto agli approcci tradizionali, basati su audit uniformi e standardizzati, applicati cioè a tutti i tipi di organizzazione a prescindere da un’analisi delle peculiari caratteristiche dei soggetti sottoposti a verifica.

In secondo luogo, la credibilità del controllo trova le sue ragioni nella radice etico-

normativa: rilevano, in particolare, l’indipendenza, l’oggettività, l’imparzialità e la

terzietà degli enti di certificazione e dei singoli auditor (Tirole, 1986; Lizzeri, 1999; Tanner, 2000) rispetto agli altri partecipanti al sistema. Tirole (1986) sottolinea, in

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particolare, come in una logica di rete di contratti interconnessi tra il supervisore (l’ente di certificazione), l’agente (l’organizzazione certificata/da certificare) e il principale (il cliente/consumatore), la circostanza per la quale l’ente di verifica non è indipendente dalle altre parti favorirebbe il determinarsi di coalizioni in grado di inficiare il processo di piena rivelazione dell’informazione al mercato. Come sottolineato nel §3.2, le succitate caratteristiche alimentano, altresì, il prestigio, l’autorevolezza e la reputazione dei verificatori, ingredienti fondamentali per la creazione di fiducia.

Molti autori concordano nel ritenere che tali proprietà della funzione del controllo siano strettamente correlate non solo all’architettura del sistema, ma anche alla struttura dei mercati, in grado di produrre rilevanti distorsioni e incentivi a sviluppare comportamenti opportunistici di azzardo morale (Lizzeri, 1999; Jahn et al., 2004).

Un sistema di certificazione ideale è quello nel quale non vi è differenza alcuna nell’attività di controllo e nel comportamento assunto da diversi enti di verifica, tanto più se le caratteristiche e le modalità di attuazione del controllo sono definite efficacemente dagli standard e dai regolamenti di riferimento. Tuttavia, nella realtà vi possono essere (e generalmente vi sono) sostanziali difformità tra gli enti in relazione alle performance di mercato, misurabili in termini di non conformità individuate e sanzioni comminate (Zorn et al., 2012). Secondo gli autori, almeno tre caratteristiche sarebbero decise nel determinare le differenze operative tra gli enti di certificazione:

(i) la struttura e le caratteristiche proprie dei soggetti sottoposti al controllo (onestà vs. comportamenti fraudolenti, propensione al rischio, processi e dimensioni organizzative, caratteristiche socio-demografiche, ecc.);

(ii) la definizione e l’organizzazione delle attività di controllo (frequenze e tipo di verifiche, selezione dei clienti, qualità delle verifiche ispettive, ecc.); (iii) la rigidità degli enti di certificazione quando una non conformità viene

individuata (e, cioè, l’attitudine a colludere con i soggetti sottoposti al controllo).

Anders et al. (2007) sostengono che, all’aumentare della domanda di schemi di assicurazione della qualità di parte terza, aumenti anche il numero di nuovi enti di certificazione e, di conseguenza, il livello di competizione tra organismi accreditati.

Secondo Lizzeri (1999), dal numero di enti di verifica presenti sul mercato dipenderebbe la quantità di informazione rivelata: il suo studio mette in relazione l’oggettività degli enti di certificazione con la struttura di mercato, evidenziando come, man mano che la concorrenza aumenta, si verifica un trade-off tra oggettività della

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verifica e concorrenza sul mercato delle certificazioni. Quando il verificatore assume una posizione monopolistica, avrebbe interesse a rivelare solo parte dell’informazione privata, consolidando il proprio potere di mercato; al contrario, quando il mercato dei servizi di certificazione è perfettamente concorrenziale, tutta l’informazione privata verrebbe rivelata e ne risulterebbe incrementato anche il benessere sociale.

Altri autori hanno sottolineato, viceversa, i rischi di una esasperata concorrenza nel mercato delle certificazioni: un cospicuo numero di enti di certificazione in competizione tra loro per un numero pressoché stabile di organizzazioni che intendono certificarsi determinerà un’elevata pressione competitiva, che potrebbe avere un negativo impatto sull’imparzialità e sull’accuratezza delle verifiche (Anders et al., 2007).

La struttura di mercato agisce in combinazione con i meccanismi di remunerazione dei verificatori (Marette, 2005): in un sistema di controlli di tipo privato, tali meccanismi possono rappresentare un grave vulnus nell’infrastruttura della certificazione, minando l’indipendenza e l’oggettività degli auditor. Le attività di verifica prevedono compensi pagati direttamente dai richiedenti il certificato: trattandosi di agenti privati, gli organismi di certificazione tenderanno a orientare le proprie attività in funzione dell’obiettivo della massimizzazione del profitto. Il loro comportamento potrebbe, quindi, risultare fortemente ambiguo: la necessità di fidelizzare i propri clienti e acquisirne di nuovi potrebbe indurre gli enti ad allentare le verifiche e a colludere con essi.

È ragionevole infatti ritenere che, affinché la certificazione sia appetibile al mercato, debba soddisfare precisi criteri di economicità, con costi proporzionali ai benefici arrecati. Molti studi hanno dimostrato come le organizzazioni siano sempre più interessate ad acquisire, nel modo più semplice e meno costoso possibile, i certificati di qualità, percepiti più come un obbligo che come un’opportunità di miglioramento. Più i controlli sono stringenti, minore è la probabilità che un’organizzazione li superi agevolmente; dunque, coloro che intendono certificarsi avrebbero un incentivo a scegliere gli enti di certificazione noti per effettuare più blandi controlli (Jahn et al., 2005). Ettredge et al. (2013) hanno studiato empiricamente l’incidenza della recessione del 2007-2009 sulla riduzione della qualità degli audit e delle fee corrisposte per i servizi di certificazione nel settore finanziario, sottolineando i negativi effetti della

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pressione esercitata dalle condizioni di mercato sulla qualità delle verifiche, in particolare per le istituzioni minori26. Sottoposti a pressioni competitive e condizionati da un negativo andamento del mercato, gli enti di certificazione privati – nell’intento di massimizzare i profitti – tenderebbero così a diminuire i costi di audit27.

Occorre, inoltre, tener presente che gli enti deputati al controllo agiscono attraverso i propri esperti (gli auditor), che possono avere incentivi diversi da quelli dell’organismo di appartenenza. Essi possono essere funzionari degli enti di verifica oppure esperti indipendenti (abilitati alla professione di auditor): in quest’ultimo caso, può accadere che gli auditor svolgano contestualmente attività di consulenza in favore delle imprese e degli enti pubblici per l’implementazione di standard di qualità e attività di auditing per conto degli organismi di certificazione. In tali circostanze, vi è un forte incentivo di tali intermediari a colludere con entrambe le parti, garantendo all’ente di verifica nuovi clienti e alle imprese la possibilità di godere di facilitazioni/agevolazioni nel percorso di certificazione. È, quindi, essenziale che la struttura del sistema di certificazione fornisca appropriati incentivi tesi a far sì che gli auditor agiscano coerentemente con le finalità del sistema, rinunciando a perseguire in via esclusiva i propri personali interessi.

Un fattore in grado di mitigare i possibili conflitti di interesse degli enti di certificazione è rappresentato dalla reputazione, discussa nel Capitolo 1 (§1.4.2): i certificati emessi saranno accettati come un surrogato della qualità solo se gli enti avranno accumulato un importante capitale reputazionale (Carriquiry and Babcock, 2007; Jahn et al., 2005). La reputazione costituisce, in particolare, un asset che si costruisce nel tempo, in funzione del livello di esperienza che un ente di certificazione matura nel mercato. È ragionevole ritenere che, al crescere della reputazione, l’ente sarà meno incentivato ad abbassare la qualità dei controlli e tenderà, piuttosto, a difendere il vantaggio competitivo connesso all’oggettività del proprio operato, tanto più se sottoposto a una efficacia supervisione da parte degli enti di accreditamento.

26 Osservando il rapporto Accredia sui dati economici degli enti di certificazione relativo all’anno 2011,

si evince la progressiva riduzione delle fee pagate agli enti negli ultimi anni, con particolare riferimento a quegli standard che attraversano una fase di maturità o di sviluppo del mercato (quali ad esempio la ISO9001 e la ISO14001) e che sono generalmente applicabili a ogni tipo di organizzazione.

27 L’accuratezza dei controlli dipenderebbe, inoltre, anche dal volume di produzione certificata: quando

l’offerta di prodotti certificati è bassa, ci sarebbe scarso interesse alle attività di prevenzione e controllo (Carbone e Sorrentino, 2005).

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Infine, Jahn et al. (2004) individuano, a partire dalla rappresentazione delle curve di costo marginale della certificazione28, quattro leve per migliorare la qualità dell’ispezione dal punto di vista dell’ente di certificazione: (i) estendere la responsabilità legale del certificatore, incrementando i costi marginali connessi alle potenziali responsabilità legali29; (ii) intensificare gli effetti sulla reputazione nel mercato della certificazione, incrementando il costo marginale connesso alla perdita di reputazione; (iii) ridurre la dipendenza del certificatore dall’organizzazione oggetto di verifica, riducendo i costi opportunità di una perdita del cliente; e infine (iv) ridurre i costi di ispezione, migliorando le tecniche di audit.