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La certificazione volontaria, cogente e regolamentata

2.3. La certificazione

2.3.2. La certificazione volontaria, cogente e regolamentata

La certificazione può essere volontaria, cogente o regolamentata. Quella cogente riguarda le fattispecie che rientrano in specifici atti legislativi (ad esempio, le direttive comunitarie) finalizzati a tutelare interessi pubblici o a regolare la struttura di un determinato mercato. Quella volontaria ricorre quando vi è una libera adesione alla certificazione da parte delle organizzazioni sottoposte a verifica e le norme tecniche sottostanti sono di derivazione privatistica. Infine, la certificazione regolamentata, come quella volontaria, prevede la facoltà per le organizzazioni di aderire allo schema di certificazione, ma – a differenza della precedente – si fonda su standard di tipo pubblico. Ne sono un esempio, in Europa, i prodotti bio e quelli tipici, disciplinati da regolamenti comunitari.

La differenza tra certificazione volontaria e certificazione cogente tende a sfumare nel momento in cui, pur essendo giuridicamente volontaria, di fatto la certificazione rappresenta una barriera di accesso al mercato: se tutti i compratori richiedono ai

79 Con riferimento al mercato finanziario, grande risonanza ha avuto il recente ricorso (febbraio 2013) che il Governo Obama ha presentato contro alcune società di rating accusate di aver colluso con il sistema finanziario, certificando rating più elevati per alcuni titoli immobiliari, collegati ai mutui subprime, additati come i principali responsabili della grave crisi finanziaria del 2007-2008.

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venditori il possesso di un determinato certificato per l’affidamento di una committenza, questo è da considerarsi, nei fatti, obbligatorio.

In taluni casi, è lo stesso regolatore a rimandare alla normazione volontaria per garantire la compliance a disposizioni di legge per ragioni connesse agli obiettivi di semplificazione burocratica e abbattimento dei costi di controllo. La certificazione di parte terza, affidata a soggetti privati ancorché accreditati, può essere vista come la risposta più efficace a una crescente domanda di regolazione rispetto a esigenze della collettività, che appaiono sempre più sofisticate e complesse e alle quali si oppone una crescente scarsità di risorse pubbliche da destinare alle attività di controllo (McAllister, 2012).

Nell’esperienza italiana, il Decreto Legislativo 231/2001, nell’introdurre la responsabilità amministrativa degli Enti (persone giuridiche, società e associazioni, pure prive di personalità giuridica) per gli illeciti penali commessi da soggetti appartenenti all’organizzazione, indica che l’ente non risponde dell’illecito se prova di aver adottato e attuato, prima del fatto, un modello di organizzazione, gestione e controllo. Il pensiero corre immediatamente ai variegati schemi ISO per la certificazione dei sistemi di gestione81 e, più in particolare, allo schema BS OHSAS 18001.

Altro esempio è dato dal Decreto Legge n. 5 del 9 febbraio 2012, che dispone la «razionalizzazione, anche mediante riduzione o eliminazione di controlli sulle imprese,

tenendo conto del possesso di certificazione del sistema di gestione per la qualità ISO, o altra appropriata certificazione emessa, a fronte di norme armonizzate, da un organismo di certificazione accreditato da un ente di accreditamento designato da uno Stato membro dell’Unione europea ai sensi del Regolamento (CE) n. 765 del 2008, o firmatario degli Accordi internazionali di mutuo riconoscimento (IAF MLA)».

Parimenti esemplificativo è il ricorso alla certificazione di parte terza in materia di tutela delle risorse naturali. Nell’approccio politico-istituzionale al problema ambientale

81 Per un’analisi approfondita delle relazioni tra i requisiti della ISO 9001 e le disposizioni previste dal Decreto Legislativo 231/2001, cfr. Montemarano e Riva (2009). Secondo gli autori, per rafforzare il ruolo delle certificazioni nel mercato italiano e rinsaldare la loro credibilità, occorre esplorare un nuovo approccio (definito “diritto della qualità”), capace di coniugare le esigenze della legalità e della prevenzione dei reati con la qualità reale dei servizi e dei prodotti. Lo scopo è quello di introdurre e rafforzare il controllo di legalità all’interno degli stessi schemi di certificazione, attribuendo al Manuale della qualità e alle procedure di sistema pieno valore di documento giuridico, contenente disposizioni vincolanti per il personale interno e per i fornitori, e prevedendo un riconoscimento giuridico ufficiale al ruolo del Rappresentante della direzione e del Responsabile della qualità.

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si è passati gradualmente da una logica di tipo command and control a una logica fondata sull’adesione volontaria agli strumenti di salvaguardia e conservazione delle risorse ambientali. In tale contesto, l’utilizzo dei Sistemi di Gestione Ambientale certificati costituisce un prerequisito fondamentale per godere di alcuni vantaggi di semplificazione amministrativa. Questa sembra essere la direzione intrapresa, peraltro, anche in materia di qualità e sicurezza alimentare.

Il ricorso alla certificazione di parte terza, per garantire la compliance ai requisiti di legge e alla normativa di settore e la contestuale riduzione del rischio di regulatory failure, rappresenta di fatto un approccio regolamentare e di supervisione di tipo market-based, attraverso il quale viene privatizzata la funzione di regolazione pubblica, cui si sostituisce una forma di governance pubblico-privata (McAllister, 2012): quando attori privati svolgono funzioni che sono sostanzialmente pubbliche, occorre che l’accountability e altri valori “pubblici” siano assicurati.

La necessità di comunicare e dimostrare pubblicamente al mercato e alle autorità di controllo la conformità ai requisiti normativi e legislativi rappresenta, dunque, una delle ragioni che spinge le organizzazioni alla certificazione di terza parte. Appare utile sottolineare che non tutti gli standard sono “certificabili”, nel senso che non tutti prevedono un percorso di certificazione: alcuni, infatti, forniscono semplicemente linee guida, principi base, metodologie, suggeriti per sviluppare le cosiddette best practices82. È, altresì, vero che non necessariamente l’organizzazione che adotta uno standard “certificabile” finisca poi per certificarsi: può scegliere, infatti, di conformarsi alla norma per avvantaggiarsi dei benefici interni derivanti dall’implementazione dei requisiti tecnici e organizzativi, senza attivare l’iter di certificazione. Quest’ultima diventa una tappa ineludibile quando l’organizzazione intenda avvalersi della conformità alla norma per scopi contrattuali.

I costi complessivi per ottenere una certificazione di qualità sono per lo più connessi alle modifiche tecniche e organizzative che si rendono necessarie per adeguarsi ai requisiti dello standard. Il costo dei servizi di certificazione in senso stretto (per le attività di verifica e di rilascio del certificato) sembra avere una modesta rilevanza83: ciò

82 In tal caso, l’organizzazione che aderisce allo standard e ne implementa le specifiche tecniche non può pubblicizzare l’adesione alla norma attraverso loghi sul prodotto o altri mezzi di comunicazione esterna. 83 Secondo Accredia, nel 2011 il prezzo medio di un certificato di qualità è stato pari a €2.547. I certificati meno onerosi sono stati quelli relativi al Sistema di Gestione della Qualità (SGQ), con un costo medio di

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fa sì che quasi sempre le organizzazioni che adottano lo standard decidano poi di procedere con l’iter di certificazione.

La Fig. 2.2 tratta da Caswell e Anders (2011) fornisce un quadro di alcune possibili configurazioni del sistema di qualità, attraverso la combinazione delle funzioni di normazione e certificazione.

Fig. 2.2 – Possibili configurazioni del sistema di certificazione della qualità (Caswell e Anders, 2011)

Type Owner of Labeling

Standarda

Primary Means of Label Certification

Labeling

Approach Description

I Private, 1st or 2nd Party 1st or 2nd Party Voluntary

Product or process attribute claims on labels by individual companies based on self- declared standards, with self-certification by buyer or seller.

II Private, Collective 3rd Party 1st or 2nd Party Voluntary

Product or process attribute claims on labels by companies based on collective self- declared standards, with self-certification by buyer or seller.

III Private, Collective 3rd Party 3rd Party Voluntary

Product or process attribute claims on labels by companies based on collective self- declared standards, with 3rd Party

certification. IV Independent 3rd Party 3rd Party Voluntary

Product or process attribute claims on labels by companies based on standards set by independent body (e.g., non-governmental organization, private certification body), with 3rd Party certification.

V Government Government or 3rd Party Voluntary

Product or process attribute claims on labels by companies based on government standard, with government or 3rd Party certification.

VI Government Government Mandatory Product or process attribute claims on labels by companies based on government standard, with government certification.

a Definitions:

1st Party: Product seller; 2nd Party: Product buyer; 3rd Party: Not the buyer, seller, or government (e.g.

private collectives of companies; independent entities such as non-governmental organizations (NGOs) or private certification bodies); Government: Local, regional, national, or multi-country government entities.