Le aporie del più Europa di Alberto Bagnai *
Grafico 2. Crescita del PIL
Grafico 2. Crescita del PIL
-6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 G FR
Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale nel 2010 il PIL tedesco ha superato del 28.2% quello francese. La Germania diventa così la quarta economia mondiale, dopo Usa, Cina e Giappone. In questo modo le imprese tedesche hanno potuto finanziare i loro processi innovativi, con ricadute positive sulla loro competitività non basata sul prezzo (compétitivité horsprix). Su questi aspetti vedi Guillaume Gaulier, Amina LahrècheRévil, Isabelle Méjean, Dinamique des exportations: une comparaison FranceAllemagne, CEPII, 249, 2005; Antoine Berthou, Charlotte Emlinger, Les mauvaises performances francaises a l’exportation: la competitivitè prix etelle coupable?, CEPII, 313, 2011; Lionel Fontagné, Guillaume Gaulier, Performances à l’exportation de la France et de l’Allemagne, Conseil d’analise economique, 2010.
Soprattutto se messi a confronto con quelli tedeschi i dati dell’economia italiana parlano di una vera e propria decadenza. Gli anni 80 e 90 vedono il fallimento dei maggiori gruppi industriali, una ondata di privatizzazioni che colpisce anche settori tecnologicamente avanzati dell’industria di stato, la diffusione a tappeto della piccola e media industria, con inevitabili riflessi negativi sul rapporto tra ricerca e PIL. Senza entrare qui nel merito di tutti i mali della nostra economia20, i dati dell’interscambio
commerciale tra Italia e Germania parlano di una nostra drammatica perdita di peso industriale (vedi tabella). I più cospicui deficit commerciali si accumulano proprio nei settori a più forte contenuto tecnologico: chimica, farmaceutica, elettronica, autoveicoli, macchinari, e persino anche nel settore alimentare!
20 Per una rassegna del problema vedi Paolo Cantelli e Leonardo Paggi, La questione
settentrionale. Crisi della nazione o crisi della democrazia?, in Leonardo Paggi (a cura di), Un’altra Italia in un’altra Europa. Mercato e interesse nazionale, Roma, Carocci, 2011, pp.111 135.
Export Import
ItaliaGermania 2011
EXP IMP Saldo
Agricoltura 1.495.202 498.853 996.349 Alimentare 3.037.354 4.395.018 1.357.664 Bevande 1.172.986 321.729 851.257 Tessili 1.095.165 739.388 355.777
Abbigliamento (anche in
pelle) 1.429.353 428.079 1.001.274 Pelle (escluso abb.) 1.256.748 165.096 1.091.652 Prodotti chimici 3.909.506 8.000.523 4.091.017 Farmaceutici 1.883.482 2.288.506 405.024
Articoli in gomma e
plastica 2.588.659 2.060.724 527.935
Lavoraz. minerali non
metalliferi 1.113.810 709.016 404.794
Prodotti metallurgici 5.248.277 4.136.853 1.111.424
Prodotti in metallo
(esclusi macchinari) 3.103.239 1.795.528 1.307.711 Computer, elettronica, elettromed. 1.326.480 5.508.022 4.181.542 Apparecch. elettriche anche domestiche 3.138.236 3.704.402 566.166 Macchinari 6.792.987 7.192.486 399.499
Autoveicoli 5.165.763 11.062.309 5.896.546 Mobili 1.045.434 278.852 766.582 Altri settori 4.542.237 9.120.906 4.578.669 TOT 49.344.918 62.406.290 13.061.372 Il drastico mutamento nei rapporti di forza in Europa occidentale si intreccia con un terremoto geopolitico in Europa orientale, che dopo il crollo dell’Unione sovietica si apre ad una nuova grande espansione della influenza tedesca. Ha il significato di una svolta storica la normalizzazione dei rapporti tra Germania e Polonia con il riconoscimento definitivo, alla metà degli anni 90, della frontiera OderNeisse. La strategia tedesca di una rapida inclusione nella Ue dei paesi dell’Est converge pienamente con le pressioni americane per un rapido allargamento della Nato. La duplice affiliazione a Nato e Ue si configura per i paesi postcomunisti come la risposta obbligata alla crisi del blocco sovietico. Ne consegue una contrazione netta della dimensione mediterranea dell’Unione(successivamente riproposta, ma in modo fallimentare, da Sarkozy), e la riapparizione improvvisa di una vera e propria Mitteleuropa.
In una analisi del nuovo ordine mondiale, del 1997, Z. Brzezinski , affacciando la possibilità che questo allargamento dell’Ue potesse rovesciarsi in “una definizione più nazionalistica dell’ordine europeo” così continuava: “ Wolfgang Schauble, presidente dei cristianodemocratici nel Bundestag e probabile successore di Kohl, ha dato voce a questa propensione dichiarando:’ La Germania non è più il baluardo occidentale contro l’Est; siamo diventati il centro dell’Europa’ ”21.
Anche l’interscambio che la Germania intrattiene con Europa orientale si configura come segno di un aumento della propria “potenza nazionale”.Polonia e Repubblica ceca sono i due paesi su cui si è concentrata maggiormente la sua attenzione . Con i suoi 38.5 milioni di abitanti la Polonia è essenzialmente un mercato di sbocco delle esportazioni tedesche , che ammontano nel 2010 a 38 miliardi di euro. La Repubblica ceca, con un peso demografico assai inferiore (10.5 milioni di abitanti), rappresenta tuttavia un’area assai più omogenea da un punto di vista sociale e culturale. Questo spiega il fatto che il paese sia divenuto luogo di destinazione di quote significative di investimenti diretti: 22.3 miliardi di euro nel 2009, pari al 14.9 % del Pil del paese, a fronte del 5.1% della Polonia.
Né certo si può dimenticare in questo quadro il ruolo di fondamentale interlocutore europeo della Russia che il paese è venuto svolgendo negli anni, a partire dalla sempre più cruciale questione energetica. In virtù della sua forza economica e della sua collocazione geopolitica la Germania detiene ormai un potere di contrattazione e di coercizione che viola in quanto tale la logica paritaria preposta al processo di costruzione europea. Non è quindi un caso che in tutte le sue modalità di esistenza nella Ue la Germania faccia sempre più insistente riferimento ad una logica di rapporti bilaterali di tipo intergovernativo. Le ragioni, invece, della politica di austerità che essa impone attualmente all’Europa, in aperto contrasto con le insistenti richieste di reflazione provenienti dalla attuale amministrazione Usa, possono essere rintracciate solo al’interno del nuovo modello di sviluppo uscito congiuntamente dalla unificazione del paese e dagli sviluppi della globalizzazione finanziaria.
3. “L’Europa vuole prendersi i nostri soldi. La Cancelliera ha lottato fino all’ultimo.
E ora i tedeschi dovrebbero pagare per i debiti degli altri?” Sono i titoli di apertura di “Welt am Sontag” del 30 giugno (voce semiufficiale del governo) a commento del vertice europeo appena conclusosi con un modesto ( e ancora incerto) impegno del fondo salva stati a moderare la speculazione finanziaria sul debito di Italia e Spagna. Non diverso il tono della “Frankfurter Allgmeine”, che in un editoriale di aperta censura ai “cedimenti”
della Merkel, si domanda :”Se Italia e Spagna non sono pronti per le riforme, perché i paesi del Nord devono pagare per i trasferimenti?”22.
Sorge una domanda. Come si è arrivati nel più grande paese europeo al consolidamento (sia negli indirizzi di governo che in una parte largamente maggioritaria dell’opinione pubblica) di una ortodossia di stampo leghista che può impunemente spostare la responsabilità della crisi dallo strapotere dei mercati finanziari alla pretesa lassitudine dei paesi mediterranei ostinati a “vivere al di sopra delle loro possibilità”? E ancora: come può non esservi menzione negli organi di stampa del paese (nemmeno nell’europeista “ Sueddeutsche Zeitung”) del fatto che sullo spread la Germania lucra quotidianamente una vera e propria rendita finanziaria che va ad ammortizzare di fatto la sua spesa per interessi? La risposta, non facile e immediata, può essere forse trovata solo ripercorrendo i tempi e i modi in cui l’ economia tedesca ha incrociato e reagito ai processi di globalizzazione degli ultimi tre decenni.
Negli anni 80, quando l’Inghilterra imbocca consapevolmente la strada di una economia dei servizi finanziari, la Germania affronta le nuove sfide del mercato internazionale con una grande riqualificazione del proprio settore manifatturiero, ponendosi contemporaneamente, tramite lo SME, come il cane da guardia della stabilità monetaria in Europa. Le scelte della Bundesbank divengono già ora punto di riferimento obbligato per le banche centrali europee. In questi anni Ciampi, Monti, Padoa Schioppa, (la nostra futura classe di governo), si convincono che per l’Italia non esista altra medicina che introiettare la “cultura della stabilità” propugnata dai tedeschi in materia di moneta e finanza, dimenticandosi purtroppo dei grandi problemi, lasciati totalmente intonsi !, che assillano il nostro apparato industriale. Che il controllo della inflazione diventi con Maastricht la prerogativa essenziale ed anzi esclusiva della nuova banca europea è dunque la registrazione di una vittoria che il punto di vista tedesco ha già conseguito sul campo nel corso di un intero decennio. In questa capacità di combinare una continua innovazione produttiva con il mantenimento di una moneta forte è già implicita la capacità della economia tedesca di rispondere positivamente, da protagonista, alla
ininterrotta crescita della influenza del capitalismo finanziario che si dispiega nei due decenni successivi.
L’ obbiettivo della unificazione che si impone di necessità con la inaspettata caduta del muro di Berlino mette la Germania di fronte a sfide ardue. La decisione tutta politica di Kohl di stabilire un rapporto di parità tra i due marchi apre grandi opportunità di consumo alla parte orientale del paese, ma decreta nello stesso tempo il collasso di tutto il suo settore industriale. Nonostante un massiccio programma di investimenti infrastrutturali nella parte orientale del paese, quando nel 1998 la socialdemocrazia torna al governo con Schroeder la disoccupazione oscilla tra l’8 e il 10%, il tasso di crescita è in calo e le esportazioni hanno perso di aggressività (vedi Grafico 3).