Politiche recessive e servizi universali: il caso della sanità di Stefania Gabriele
2. La governance del SSN nel XXI secolo
Negli anni 2000 (a partire dal decretolegge n. 347/2001, attuativo dell’Accordo Stato Regioni dell’8 agosto 2001) la governance del SSN si è svolta attraverso un impegnativo processo di negoziazione tra il governo centrale e le regioni, in uno sforzo di individuare le responsabilità reciproche, di migliorare il controllo sulla spesa e la disponibilità e coerenza delle informazioni sui flussi finanziari e sui livelli di assistenza erogati. La normativa che ne è scaturita, volta a regolare il SSN, il monitoraggio dei progressi nella gestione dei servizi regionali e i rapporti tra regioni e governo centrale, è molto complessa e dettagliata. Per menzionare solo i passaggi più importanti, si ricorda che con l’Intesa del 23 marzo 2005 le regioni deficitarie sono state obbligate a definire un piano di rientro e ad applicare una serie di misure, contrattate col governo, per rimettere in equilibrio i conti. Negli anni successivi circa metà delle regioni è stata sottoposta a piano di rientro. E’ stata poi introdotta la possibilità di commissariamento in caso di mancata
predisposizione e attuazione del piano (viene nominato Commissario ad acta5 il Presidente della regione, eventualmente affiancato da uno o più subcommissari). All’obbligo del piano di rientro si sono inoltre aggiunti altri meccanismi sanzionatori/correttivi: aumenti automatici dell’addizionale IRPEF e dell’aliquota IRAP, blocco del turn over del personale, divieto di effettuare spese non obbligatorie per un biennio, e in alcuni casi sospensione dei trasferimenti erariali non a carattere obbligatorio e decadenza dei direttori generali. Oggi poi, se il piano di rientro non è attuato, può intervenire il Consiglio dei ministri con poteri sostitutivi e scatta un ulteriore aumento delle aliquote6.
Nel tempo tutto questo processo7, che nasceva come attuazione del
decentramento/federalismo in un settore particolarmente delicato8, si è trasformato in un
meccanismo di controllo sempre più stretto del governo centrale sulle regioni – in particolare quelle deficitarie – per monitorarne i progressi dal punto di vista finanziario e, da ultimo, anche da quello dell’effettiva garanzia dei LEA (livelli essenziali di assistenza)9.
Anche l’operazione di introduzione del federalismo fiscale può essere letta in questa
5 Il Commissario ad acta ha poteri diversi dal presidente della regione e non risponde davanti
alla giunta e al consiglio regionale.
6 D’altro canto, per aiutare le regioni in difficoltà è stata introdotta la possibilità di usare le
risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate per coprire debito sanitario, nonché di ottenere anticipi e di coprire il disavanzo con risorse di bilancio regionali, mentre sono impedite per il 2012 le azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie e ospedaliere.
7 Passato per un gran numero di patti e accordi tra governo e regioni, fino all’ultimo del 3
dicembre 2009.
8 Delicato perché la tutela della salute è un diritto essenziale, garantito dalla Costituzione, e
perché la spesa sanitaria rappresenta più del 70% della spesa delle regioni, dunque la questione investe pesantemente il nodo dei rapporti intergovernativi.
9 La riforma costituzionale ha attribuito una competenza legislativa concorrente a stato e
regioni in materia sanitaria. Allo stato spetta la determinazione dei principi fondamentali e dei LEA da garantire in tutto il paese, attraverso un meccanismo di equalizzazione delle risorse. I LEA in campo sanitario sono stati definiti nel 2001 in termini di un elenco di prestazioni (si veda France, Taroni, Donatini, 2005 per maggiori dettagli).
chiave10. Si è parlato molto di costi standard per il finanziamento delle spese degli enti
territoriali, ma il decreto attuativo della legge delega 42/2009 (sul federalismo fiscale) ha in realtà sostanzialmente confermato il meccanismo in atto di fissazione e ripartizione delle risorse. La determinazione di queste ultime rappresenta una decisione politica assunta in base al quadro macroeconomico complessivo, ai vincoli di finanza pubblica e agli obblighi europei, sia pure d’intesa con le regioni. La coerenza con il fabbisogno che discende dai LEA si traduce essenzialmente nell’assicurare un finanziamento procapite ponderato11 uniforme a tutte le regioni.
Intanto si va avanti con i piani di rientro. Questi contengono una serie di misure che in passato erano state già adottate, in larga misura, dalle regioni con i conti in ordine. Vale la pena di ricordare alcuni di questi provvedimenti, per evidenziarne la rilevanza: definizione dei requisiti minimi delle strutture pubbliche e private che erogano servizi sanitari, accreditamento dei soggetti per divenire erogatori del SSN, stipula di contratti con i fornitori (con budget o tetti di spesa), riorganizzazione della rete ospedaliera con chiusura dei piccoli ospedali e riduzione dei posti letto, in particolare per acuti, ristrutturazione dell’assistenza territoriale, revisione e centralizzazione delle procedure per l’acquisto di beni e servizi, interventi sulla gestione del personale, interventi sulla spesa farmaceutica12,
accorpamenti di ASL, miglioramento della trasparenza delle scritture contabili, controlli sull’appropriatezza delle terapie, piani sociosanitari, riorganizzazione delle reti di erogazione e cura. Si tratta dunque di interventi di ampia portata, alcuni sicuramente
10 L’enfasi sui costi delle tre migliori regioni (per qualità, appropriatezza ed efficienza), indicate come regioni “di riferimento”, resta un esercizio retorico, dal momento che nelle formule di riparto questo elemento non gioca in definitiva alcun ruolo. Si veda ad esempio Pisauro, 2010. 11 In effetti, già da tempo per la sanità era stato superato, almeno formalmente, il criterio della
spesa storica in favore di un finanziamento procapite ponderato (principalmente con i fattori demografici).
12 Una gestione più attenta degli acquisti di farmaci, la distribuzione diretta da parte delle ASL o
delle farmacie convenzionate attraverso appositi accordi, la regolamentazione della distribuzione, l’aumento delle compartecipazioni (secondo Federfarma, queste ultime sono aumentate di circa il 40% nel 2011, tanto da coprire il 10,7% della spesa, il 14% in alcune regioni).
“draconiani” (si pensi a quelli sul personale, che pure in alcuni casi contrastano una gestione troppo negligente del passato) e controversi (come la soppressione dei piccoli ospedali), altri rivolti a contenere le pretese degli erogatori privati e a migliorare il rapporto costoefficacia, alcuni anche mirati a riqualificare il servizio, spostando le prestazioni dall’ospedale al territorio, dal trattamento dell’acuzie al sociosanitario, riorganizzando la gestione.
Dal punto di vista del controllo della spesa tutto il processo descritto ha assicurato significativi risultati: il disavanzo, pari al 5,1% del finanziamento nel periodo 20012005 (lo 0,31% del Pil), è calato fino al 3% nel biennio 20089 e all’1,6% nel 2011 (Relazione generale sulla situazione economica del Paese, 2011). Il Lazio ha ridotto disavanzo del 47% nel 2011 rispetto al 2007, la Campania del 71%, la Sicilia dell’83%, la Puglia del 62%.
Lo scorso anno la spesa sanitaria (pari a 112.889 milioni, sostanzialmente costante in valore assoluto rispetto al 2010 al netto di cambiamenti nel metodo di contabilizzazione di alcune voci) è calata di un decimo di punto di PIL (al 7,1%). Il disavanzo nel 2011 si è fermato a 1,8 miliardi di euro (contro 2,2 nel 2010); le perdite (riscontrate in Liguria, Lazio, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) sono state pari a 1,9 miliardi di euro.
La Corte dei Conti, nel Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, ha fatto notare che il risultato è stato migliore delle attese per oltre 2,9 miliardi rispetto al preconsuntivo indicato nella Relazione al Parlamento del dicembre scorso. Inoltre, il miglioramento ha riguardato per lo più le regioni tradizionalmente più in difficoltà: per quelle con piano di rientro il disavanzo si è ridotto quasi del 37% (a 1,2 miliardi), e solo la Calabria si è mossa nella direzione opposta, mentre per le altre si è avuto un peggioramento del 2,5%.
Di fronte a questi risultati, appare condivisibile quanto affermato dalla Corte dei Conti nel rapporto sopra citato: “E’ indubitabile, tuttavia, che quella sperimentata in questi anni dal settore sanitario rappresenti l’esperienza più avanzata e più completa di quello che dovrebbe essere un processo di revisione della spesa”. Eppure a quanto pare tutto questo non basta. Prima di esaminare le manovre che si sono abbattute su un sistema già sotto pressione, vale la pena di soffermarsi un poco sugli aspetti relativi alla qualità del SSN.