Un passo indietro? L’euro e la crisi del debito
2. Come espressamente dichiarato nella Relazione della Banca d’Italia la
sopravvivenza dell’Unione monetaria europea appare legata a riforme istituzionali che superino il carattere in gran parte improvvisato ed emergenziale che finora ha caratterizzato la costituzione prima dell’EFSM (lo European Financial Stabilisation Mechanism), poi dell’EFSF (lo European Financial Stability Fund), ed infine dell’ESM (lo European Stability Mechanism). Sia le misure adottate che le soluzioni prospettate per il futuro nei recenti vertici europei non sembrano però all’altezza della situazione, ed anzi, come si dirà, potranno determinare un peggioramento delle condizioni macroeconomiche
3 Ci si riferisce ai grandi gruppi industriali e finanziari europei, e a paesi come la Germania
definiti “virtuosi” nella Relazione della Banca d’Italia, che hanno guadagnato dall’assenza di svalutazioni competitive da parte di paesi europei concorrenti. Riguardo all’Italia, si osserva dall’introduzione dell’euro e la conseguente perdita dello strumento del tasso di cambio e perseguimento di avanzi primari tesi a ridurre il rapporto debito pubblicoprodotto interno lordo, un tasso di crescita del PIL minore che nei decenni precedenti, un’ulteriore redistribuzione di reddito e della ricchezza a favore dei ceti sociali più ricchi, e l’accumulo di disavanzi commerciali. Nella crisi recente, inoltre, la caduta di reddito è stata in Italia maggiore che altrove, ed i tassi di interesse sui titoli del debito pubblico sono aumentati rispetto a quelli tedeschi, determinando un onere per il servizio del debito pubblico molto più alto che per i paesi centrali dell’Unione europea.
a livello europeo. Su molte di esse poi continua a non esservi accordo tra i principali paesi europei. Questo è il caso, ad esempio, della proposta di istituire un fondo in cui trasferire i debiti sovrani dei singoli Stati che eccedano una soglia uniforme, da redimere gradualmente in tempi e modi da definire. Ma questo è il caso anche della proposta meno ambiziosa di scorporare le spese dello Stato in conto capitale dal calcolo del deficit massimo di bilancio consentito agli Stati membri dell’area dell’euro (la cosiddetta “golden rule”), dando così loro un qualche margine per politiche di sostegno alla domanda aggregata. In tutti questi casi, ci si trova di fronte all’opposizione della Germania e di altri paesi dell’Europa centrale verso qualsiasi provvedimento che possa determinare o favorire una qualche forma di monetizzazione e condivisione del debito pubblico, così come verso la costituzione di una Unione europea in grado di emettere propri titoli di debito ed operare attraverso propri strumenti fiscali trasferimenti di reddito tra le varie regioni dell’Unione parallelamente, e non solo in caso successivamente, ad una progressiva perdita di sovranità fiscale dei singoli Stati membri.
La posizione della Germania – comprensibile nell’ottica nazionale di un paese che ritiene che per questa strada finirebbe per assumersi l’onere di debiti accumulati da altri, ma meno comprensibile alla luce dei guadagni che quel paese ha conseguito proprio grazie alla moneta unica, ed anche del contributo in percentuale al PIL non maggiore di altri paesi che finora ha dato alle risorse comunitarie ed ai fondi di stabilizzazione sembra in effetti precludere la via all’unico scenario che potrebbe risolvere la crisi attuale con costi minimi per la popolazione europea, superando tra l’altro la contraddizione tutta europea di paesi sovrani a sovranità monetaria limitata, privi cioè di una propria Banca Centrale.4 Per quanto infatti poco probabile per ragioni storiche, politiche ed economiche, si tratterebbe 4 Con la Banca Centrale Europea si ha di fatto (o meglio si aveva, date le difficoltà attuali) una
banca dominante nel mercato interbancario che normalizza l’offerta di liquidità ed i tassi di interesse al livello desiderato, ma la cui valuta trae legittimità soprattutto dalla fiducia sociale verso di essa nei vari paesi europei, e non dall’attribuzione dello Stato ai suoi debiti di avere potere liberatorio legale. Si determina così ciò che Goodhart ha chiamato una situazione di sovrani sussidiari che finiscono per avere un rischio di insolvenza ed essere alla mercé dei grandi investitori internazionali.
di giungere ad una revisione dei Trattati dell’Unione monetaria europea centrata da un lato su una modifica dello Statuto della Banca Centrale Europea che le permetta di agire come prestatore di ultima istanza anche (a lungo termine) per il debito sovrano dei paesi europei, così garantendone la solvibilità e minimizzando il costo del servizio del debito pubblico; e dall’altro, su una più sostanziale unificazione politica ed economica dell’Europa, con un vero Stato e governo federali, una vera politica fiscale europea dotata di un consistente bilancio proprio, e l’emissione di titoli pubblici europei. Ciò permetterebbe tra l’altro di affrontare quella che in realtà è tra le cause delle attuali difficoltà dell’area dell’euro, l’assenza cioè di meccanismi di aggiustamento degli squilibri commerciali intraeuropei non semplicemente in termini di cadute del reddito interno e/o dei salari e dei prezzi nei paesi in deficit – ma anche con trasferimenti di risorse a livello europeo verso quei paesi in deficit, o più in generale verso i paesi che risultassero colpiti in modo asimmetrico dalle politiche monetarie seguite a livello centrale e/o dall’andamento economico interno ed internazionale.5 In questo contesto, vincoli ai bilanci statali dei singoli Stati non precluderebbero le possibilità di crescita complessiva dell’area dell’euro, garantite da appropriate e coordinate politiche monetarie e fiscali a livello centrale. Inoltre, opportune politiche industriali dei singoli Stati (favorite anche da trasferimenti centrali) potrebbero evitare gradi di specializzazione troppo elevati delle singole regioni europee, favorendo il mantenimento e sviluppo del tessuto industriale anche nelle aree più deboli (ed anche in campi tecnologicamente avanzati), un processo di omogeneizzazione della legislazione sul lavoro e fiscale, la riduzione della dipendenza dall’estero dei paesi “periferici” che permetta anche per questa via tassi di crescita più elevati per il complesso dell’area dell’euro. Se ciò si realizzasse, e solo in questo caso, l’appello a “stringersi intorno alla manifattura
5 I limiti dell’Unione monetaria europea al riguardo sono stati più volte messi in evidenza nella letteratura sulle aree valutarie ottimali. Cfr. ad esempio Feldstein M. (1997), The Political Economy of the European Economic and Monetary Union, Journal of Economic Perspectives, 11, 4; Lane P.R (2006), The real effects of European Monetary Union, Journal of Economic Perspectives, 20 (4), 4766; e De Grauwe P. (2006), On monetary and political union, Catholic University of Leuven, Department of Economics, May.
tedesca”6 per poter “reggere” in futuro la concorrenza internazionale delle grandi imprese
multinazionali e di paesi emergenti come la Cina e l’India troverebbe terreno per una sua manifestazione progressiva: la “rivoluzione passiva” che sta lentamente portando alla costituzione di una entità sovranazionale europea non implicherebbe infatti necessariamente l’impoverimento materiale ed industriale dei paesi “periferici”.