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La crisi della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato

L'obbligazione è fonte di responsabilità dal momento in cui non è adempiuta. Da ciò discende che non esiste alcun onere da parte del creditore insoddisfatto di provare la negligenza del debitore: al contrario, sarà onere del debitore provare che l'inadempimento è dovuto ad un impedimento che a sua volta non gli sia imputabile. L'art. 1218 c.c. indica con chiarezza che il debitore può andare esente da responsabilità solo provando che impossibilità della prestazione è dovuta ad una causa a lui non imputabile. Da ciò discende che la colpa non è un elemento costitutivo della responsabilità contrattuale, e che essa non svolge una funzione immediatamente impeditiva della responsabilità stessa. In primo luogo, il debitore deve provare l'impossibilità di eseguire la prestazione, ed in seconda battuta dimostrare che questa impossibilità non dipende da sua colpa120.

È necessario, però, soffermarsi su una distinzione che secondo parte della dottrina e della giurisprudenza assume rilevanza in ordine alla disciplina dell'inadempimento. La distinzione è quella tra obbligazioni di mezzi e di risultato, ed induce a ritenere che la disciplina della responsabilità derivante dalle obbligazioni di mezzi affondi le sue radici nell'art. 1176 c.c., il quale impone al debitore l'obbligo di diligenza come parametro di qualificazione della condotta di adempimento121. Questa

affermazione implica che nelle obbligazioni di mezzi la responsabilità si fonda sulla colpa e che, di conseguenza, spetta al creditore la prova della mancanza di diligenza nella condotta del debitore122.

In senso contrario è stato però osservato che l'art. 1176 c.c. è norma che disciplina l'adempimento e non l'inadempimento. Seguendo la teoria per la quale la responsabilità si fonderebbe sulla colpa, non si avrebbe modo di distinguere le obbligazioni di mezzi dalla responsabilità nascente da fatto illecito. Inoltre, tale ricostruzione si pone in contrasto con l'idea che la responsabilità contrattuale, e il

120 C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., p.560 ss.

121 Contro la distinzione, affermando che la stessa ha solo valore descrittivo ma risulta priva di valore dogmatico, L. MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi” (Studio critico), in Riv. Dir. Comm. 1954, I, pp. 185 ss.; 280; 366 ss.

122 In senso chiaramente contrario, sulla base del rigetto della distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, v. Cass., Sezioni Unite 28 luglio 2005, n. 15781, la quale ricava come corollario l'unitarietà di disciplina dell'onere della prova, che incombe sul creditore per quanto riguarda il solo titolo, mentre al debitore spetta la prova dell'avvenuto adempimento o altra causa estintiva dell'obbligazione.

concetto stesso di obbligazione, prescindono dal concetto di colpa. Infatti, l'obbligazione nasce da uno specifico interesse del creditore, ed impone al debitore una particolare condotta. In caso di mancato soddisfacimento dell'interesse, si configura l'inadempimento, dal quale deriva l'insorgere della responsabilità indipendentemente dalla presenza di colpa. Nelle obbligazioni, il punto di partenza è dato dall'esistenza di un obbligo di “fare qualcosa”, e solo il venir meno dell'obbligo libera il debitore. Per questo motivo, una volta che sia sorta l'obbligazione, quale che sia la sua fonte, non è necessaria la presenza della colpa o di altri elementi che ne costituiscano il fondamento.

Per queste ragioni, la dottrina italiana prevalente nega un valore dogmatico alla distinzione in oggetto. Il punto di partenza dell'argomentazione attraverso il quale la dottrina ha sviluppato la critica a tale distinzione va rinvenuto nel più illustre contributo sul tema che risale al Mengoni123. L'illustre Autore osserva che non può

essere accettata una distinzione che faccia leva sul diverso oggetto dell'obbligazione, nel senso che le obbligazioni di mezzi avrebbero ad oggetto solo un comportamento, mentre le altre avrebbero ad oggetto un risultato. Ad impedirlo si pone la considerazione per la quale ogni obbligazione ha ad oggetto sia un comportamento che un risultato. Si aggiunge, inoltre, la relatività del concetto di mezzi e di risultato, poiché “un fatto, valutato come mezzo in ordine ad un fine successivo rappresenta già un risultato se riguardato in sé stesso”124. Secondo tale prospettazione, la realizzazione

dell'interesse primario diviene un criterio capace di spiegare la partizione, poiché si avrà obbligazione di risultato tutte le volte che il risultato c.d. interno (sempre dovuto) coincide con la soddisfazione dell'interesse primario esterno del creditore. Viceversa, sussisterà una obbligazione di mezzi ogni volta che tale coincidenza non vi sia.

Sostanzialmente alle stesse conclusioni giunge un altro autore il quale riduce la rilevanza della distinzione ad una mera descrizione per categorie, evidenziando come uno stesso comportamento possa essere valutato come risultato rilevante da un ampio numero di punti di vista125.

123 L. MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi”, cit, pp. 185 ss. 124 L. MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi”, cit, pp. 188 ss.

125 C.M. BIANCA, Diritto Civile, op. cit., p.71 ss. Con riguardo al contenuto dell'onere della prova spettante al creditore che voglia fare valere l'inadempimento, si ricorda che secondo la prospettiva anteriore alla già citata sentenza delle Sezioni Unite, l'onere della prova dell'inesatto adempimento spettasse comunque al creditore.

Tornando al versante della diligenza, emerge la possibilità di distinguere un versante oggettivo da uno soggettivo. Si dice che la distinzione è utile nel caso in cui la prestazione sia eseguita, ma manchi il risultato utile per il creditore. Questo si verifica quando il debitore adempie la sua obbligazione senza che l'interesse primario del creditore venga soddisfatto. In tal caso, ci si trova di fronte ad un problema di inesatto adempimento e non di inadempimento totale.

Da questo punto di vista, poiché nelle obbligazioni di risultato il debitore si obbliga a realizzare proprio quel risultato che coincide con l'interesse primario del debitore, l'accertamento circa l'avvenuto adempimento ha essenzialmente per oggetto la realizzazione del risultato, difettando il quale sussiste l'inadempimento. Se spetta al creditore dover provare l'inadempimento, sarà sufficiente che egli dimostri che è mancato il risultato a lui utile. Nelle obbligazioni di mezzi, invece, non è richiesto il soddisfacimento dell'interesse primario. Pertanto, il debitore è obbligato solo a svolgere una attività diligente diretta al raggiungimento di quello scopo, e l'accertamento dell'avvenuto adempimento si risolve nel controllo dell'attività del debitore126. Quindi, il creditore che vuole dimostrare l'inadempimento, deve

dimostrare che l'attività svolta non è conforme a diligenza. A questo punto, però, è importante sottolineare che per questa tesi il giudizio relativo al fatto oggettivo dell'adempimento non è un giudizio sulla colpa del debitore, ma sulla oggettiva conformità del comportamento tenuto dal debitore alle regole tecniche dell'arte, o comunque al modello oggettivato di comportamento del buon padre di famiglia. Invece, la diligenza in senso soggettivo, che può ora essere definita come la cura, sollecitudine, attenzione e sforzo, acquista rilevanza solamente in ordine la giudizio di responsabilità, relativo all'imputabilità del mancato adempimento dell'obbligazione.

Tale tesi comporta il risultato pratico di atteggiare diversamente l'onere probatorio a carico del creditore in modo strettamente collegato al duplice concetto di diligenza. Pertanto, è opportuno distinguere una diligenza in senso oggettivo, avente criterio di determinazione della prestazione dovuta, da una diligenza in senso soggettivo, l'unica che può essere correttamente contrapposta alla colpa, che ha funzione di criterio di responsabilità. Quest'ultima, infatti, indica lo sforzo dovuto per conservare la possibilità di adempiere. Una volta preso atto del significato di questi

profili della diligenza, si può arrivare ad affermare che nelle obbligazioni di mezzi l'inadempimento non coincide con la colpa.

La dottrina italiana ha per lo più preferito ridurre l'importanza della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, escludendone una rilevanza sia sul piano strutturale che sul piano della disciplina. A volte, al di là di affermazioni di principio, si tende a riconoscere una certa influenza quando si afferma che vi sono obbligazioni in cui la diligenza “costruisce ed esaurisce l'oggetto stesso dell'obbligazione”, nonostante si neghi in premessa sia l'utilità che il fondamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato127. Ammettere che in certi casi la diligenza possa

esaurire l'oggetto dell'obbligazione significa ritenere che esistano obbligazioni che non hanno ad oggetto un risultato ed altre che invece lo hanno, elemento dal quale discenderebbe l'esistenza anche di una diversa struttura.

Appare contraddittorio attribuire, nel caso delle prime, al mancato conseguimento del risultato la causa di responsabilità del debitore, costringendo quest'ultimo a provare di aver agito diligentemente per liberarsi della responsabilità stessa128. Se l'obbligazione si esaurisce nel solo comportamento diligente, ai fini della

responsabilità, il mancato conseguimento del risultato non dovrebbe avere alcuna rilevanza, non potendosi più richiedere al debitore alcuna prova liberatoria.

Appare più complessa la critica ad un'altra teoria che, pur escludendo un'influenza sulla bipartizione del fondamento della responsabilità, ne omette la rilevanza con riguardo all'ambito di applicazione della regola della diligenza di cui all'art. 1176 c.c., poiché l'applicazione di tale norma riguarda solo le obbligazioni di mezzi129. Secondo la tesi in esame, l'art. 1176 non fornisce alcun criterio di giudizio

sulla imputabilità dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione. Essa, infatti, svolge solo il compito di precisare il concetto di inesattezza della prestazione nel senso di un comportamento debitorio non esattamente conforme a quanto dedotto in obbligazione130.

127 P. RESCIGNO, voce Obbligazioni (nozioni) , in Enc. Dir., vol. XXIX, Milano, 1979, p. 191. 128 P. RESCIGNO, voce Obbligazioni (nozioni) , ult. op. cit., p. 191.

129 G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, cit., pp. 123 ss; 178 e ss; 202; G. OSTI,

Deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954,

pp. 602 ss.. In senso critico, v. L. MENGONI, Voce responsabilità contrattuale (Dir. Vig.), in Enc.

Dir., Vol. XXXIX, Milano, 1988, p. 109; A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., pp. 466

ss.

130 G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, cit., pp. 123 ss; 178 ss; 202; ID,

L'inadempimento è disciplinato dall'art. 1218 c.c., che individua il limite della responsabilità nella impossibilità assoluta della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore. La nozione di causa non imputabile deve operarsi per mezzo delle cause di esonero della responsabilità contenute nel codice, non essendo allo scopo utilizzabile l'art.1176 c.c., che riveste la sola funzione di definire il comportamento del debitore nell'adempimento131.

Tornando al ruolo della diligenza all'interno del rapporto obbligatorio, la dottrina maggioritaria distingue espressamente il ruolo di criterio di determinazione del contenuto della prestazione dal ruolo di criterio di valutazione del comportamento tenuto con riguardo alla sua conformità a quello dovuto, assegnando il primo ai principi di buona fede e correttezza e riducendo invece la diligenza al secondo. Tale conclusione è fatta dipendere, da un lato, dalla considerazione della maggiore complessità dell'oggetto della prestazione, comprensivo non solo del comportamento del debitore, ma anche del risultato, essendo dunque escluso che possa configurarsi un'obbligazione in cui la prestazione si esaurisce tutta nella diligenza. D'altro canto, si evidenzia che assegnare il ruolo di criterio determinativo del contenuto della prestazione alla diligenza significa confonderla con la buona fede, che invece è il criterio in base a cui si determina il contenuto della prestazione132.

inadempimento, cit., p. 602 e ss

131 Sulla base di tali presupposti normativi, autorevole dottrina ha sostenuto che il concetto di causa non imputabile ha carattere oggettivo, come evento estraneo alla sfera di controllo dell'obbligato. Da ciò consegue che il debitore è responsabile di qualunque evento rientrante nel rischio tipico della sua attività. Sul punto, v. G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, cit., p. 193. Tale impostazione può essere criticata perché il criterio della diligenza del buon padre di famiglia assume un ruolo più importante nelle obbligazioni di fare, ma la sua applicazione alle sole obbligazioni di mezzi contrasta con il dato positivo, e con le pattuizioni che più frequentemente ricorrono nella pratica tra le parti. Si pensi all'esempio di un contratto di trasporto in cui il vettore sia obbligato a trasportare in alta montagna un cavallo particolarmente cagionevole di salute. Se il vettore intraprende il viaggio senza adottare alcuna precauzione per evitare che il cavallo soffra per il freddo, ed anzi lo trasporti con un traino completamente aperto e senza protezioni, il mittente può, durante lo stesso trasporto, reagire al comportamento negligente del vettore. Alla stessa conclusione pare potersi pervenire nel caso di trasporto di piante tropicali che richiedano alte temperature e che vengano in realtà trasportate senza accorgimenti per proteggerle dal freddo.

132 In questo senso si esprimono conformemente A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., pp. 462 ss.; U. NATOLI, L'attuazione del rapporto obbligatorio, cit., p. 47; S. RODOTÁ, voce

Diligenza (dir. Civ.), cit., p. 541 ss.; F. ANELLI, Caso fortuito e rischio d'impresa nella responsabilità del vettore, Milano, 1990, pp. 60 ss.

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