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4 NON-PERFORMING LOANS

4.3 Crisi economica e crescita dei crediti deteriorati in Italia

Prima di analizzare la relazione che sussiste tra la crisi economica e la crescita dei crediti deteriorati è necessario capire cosa si intende per crisi bancaria.

Per crisi bancaria si intende una patologia spinta dell’azienda che non può essere risolta con strumenti ordinari di gestione della liquidità o dei rapporti con i debitori. Una situazione di difficoltà può considerarsi, patologica, da un punto di vista teorico, quando si manifesta lo stato di insolvenza, ovvero quando il valore delle passività supera quello delle attività. Da un punto di vista pratico, invece, è possibile che una banca, tecnicamente insolvente, ma comunque liquida, riesca a non manifestare al pubblico, almeno nel breve periodo, la propria situazione di disequilibrio e a trovare una soluzione mediante operazioni di ristrutturazione aziendale. Viceversa, è anche possibile che una situazione di illiquidità, non particolarmente grave e temporanea, possa scatenare tra il pubblico una reazione di panico, aggravando, quindi, lo stato di difficoltà aziendale.

La crisi bancaria ha origine, in linea generale, da un’eccessiva assunzione di rischi, volontaria o meno, e da una certa incapacità di controllarli e gestirli. Negli ultimi anni, oltre alle tradizionali forme di rischio di credito e di liquidità, preoccupazioni sempre più crescenti hanno destato gli effetti di mutamenti improvvisi delle principali variabili finanziarie, fluttuazioni dei tassi di interesse, tassi di cambio, corsi azionari sulle condizioni di redditività e solvibilità dell’intermediario. Gli effetti di una maggiore volatilità dei mercati sulla redditività bancaria risultano a loro volta amplificati dalle trasformazioni che hanno interessato sia l’attività di raccolta e di erogazione del credito, sia l’attività meno tradizionale di intermediazione sui mercati dei valori mobiliari e degli strumenti derivati.

È comunque vero che il rischio di credito, legato all’insolvenza della controparte, rimane la topologia di rischio cui la banca risulta maggiormente esposta.

A tale riguardo, infatti, negli ultimi anni, si è assistito, sia nel nostro che in altri contesti finanziari, al fenomeno delle sofferenze, dovuto in parte a fattori congiunturali e in parte alla crescita della concorrenza, causa di un’instabilità delle condizioni di successo delle imprese affidate e, dunque, di un aumento della probabilità di insolvenza.

Allo stesso modo, nel caso degli intermediari, l’esigenza di allineamento agli standard comunitari, e il conseguente aumento della pressione concorrenziale, hanno, da un lato, ridotto i margini di ricavo ottenibili dall’attività di raccolta e di impiego, e dall’altro lato, aumentato la criticità della gestione delle relazioni di clientela. Soprattutto nel caso della clientela minore, la concorrenza ha spinto ad allentare i criteri di selezione degli affidamenti.49

Dal lato della domanda le imprese, soprattutto quelle medie e piccole, sono risultate più deboli e più esposte agli andamenti della congiuntura; dal lato dell’offerta le banche, invece, sono state indotte ad attuare una politica di crescita aggressiva e poco selettiva, espandendo la loro presenza verso fasce di clientela di ridotto standing la cui domanda è tipicamente meno elastica al tasso di interesse. Analoghe tipologie di affidamento hanno accompagnato strategie di espansione territoriale, dove l’obiettivo di interagire con la clientela ha spesso compromesso la qualità del portafoglio.50

Le determinanti delle crisi bancarie si possono, quindi, sintetizzare in fattori di natura esogena ed endogena.

Le crisi bancarie che nascono da fattori esogeni fanno riferimento a mutamenti avvenuti nel quadro competitivo e congiunturale.

I rischi di natura endogena dipendono, invece, dalle decisioni intraprese dal management bancario, quali politica dei prestiti aggressiva, insufficiente capitalizzazione rispetto al grado di rischiosità e di redditività dell’attivo, adozione di criteri di valutazione dell’affidamento di tipo statico, inefficace

49 M.Mariani, op.cit, pp. 96-97

50 C. Porzio, ‘Securitization e crediti in sofferenza, problemi gestionali, contabili e

controllo delle posizioni in portafoglio, operazioni speculative su strumenti finanziari particolarmente rischiosi, o, infine, inefficienze e rigidità di natura organizzativa.

È pur vero che, non esiste, in pratica, una netta distinzione tra rischi di natura esogena ed endogena, in quanto nella realtà lo stato di difficoltà ha origine da una concomitanza di fattori, che si influenzano a vicenda.

Le possibili soluzione alle crisi bancarie sono varie e si distinguono in linea generale in base alla gravità della crisi, ai tempi e ai costi della sua risoluzione.

In caso di crisi bancaria, la normativa (art. 70 e ss. Del testo Unico Bancario) prevede il ricorso agli strumenti di amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa.

Sono provvedimenti che si adottano nel caso in cui l’intermediario creditizio riscontri irregolarità e gravi perdite patrimoniali. Tuttavia tali soluzioni di natura giudiziale, adottati dal Ministero del tesoro, su proposta della Banca d’Italia, vengono evitate, quando possibile, per salvaguardare la fiducia del risparmiatore nell’intero sistema finanziario.

Gli strumenti di gestione delle crisi bancarie alternativi a queste procedure previste dalla normativa sono:

1. I piani di risanamento, come la ricapitalizzazione o interventi sulla struttura organizzativa;

2. La ristrutturazione grazie all’intervento di una o più banche sane, come la fusione per incorporazione;

3. L’intervento della banca centrale come prestatore di ultima istanza 4. Il rimborso delle perdite patrimoniali ai depositanti da parte di un

organismo di garanzia, come il Fondo interbancario di tutela dei depositi;

5. Il ricorso al decreto Sindona;51

51 M.Mariani, op.cit., pp.98: Si tratta del decreto ministeriale 27/9/74 varato in

occasione della crisi della Banca Privata Italiana. In base al decreto, la Banca d’Italia è legittimata a concedere anticipazioni a ventiquattro mesi, sui buoni del

6. La costituzione di una bad bank.52

Il bad banking è una tecnica relativamente nuova. Anche se in passato si è affermata soprattutto come soluzione alle crisi bancarie, tale tecnica è stata usata come costituzione di poli specializzati nella gestione delle sofferenze bancarie dei crediti non performing. Essa ha infatti lo scopo di minimizzare il tempo e i costi di recupero di questi crediti, e di ottenere, attraverso un’istituzione specializzata, risultati migliori del 10% al netto dei costi. Il bad banking rappresenta una tecnica attraverso cui una banca si libera del portafoglio crediti di scadente qualità ricorrendo alla cessione dello stesso ad un organismo creato ad hoc o già presente sul mercato.

La tecnica consente alla cedente di ottenere i vantaggi legati alla dismissione di un portafoglio non performing, in termini di pulizia di bilancio e di miglioramento della situazione patrimoniale.

Il bad banking si è sviluppato per due motivi:

1. Il progressivo peggioramento della qualità del credito degli intermediari finanziari negli ultimi venti anni, facendo nascere il problema delle sofferenze bancarie;

2. La mancanza di un idoneo mercato secondario per i bad loans dovuti ai problemi inerenti alla difficile valutazione dei beni.53

Tesoro a lunga scadenza, all’interesse dell’1%, a favore di aziende di credito che, surrogatesi ai depositanti di altre aziende in liquidazione coatta, si trovino a dover ammortizzare, perché in tutto o in parte inesigibile, la conseguente perdita nella loro esposizione. La banca d’Italia regolerà l’ammontare del ricorso a tali anticipazioni in rapporto all’entità della perdita e all’esigenza dei piani di ammortamento. In occasione del crack della Banca Privata Italiana, infatti alle tre Bin vengono cedute attività e passività dell’istituto ormai in liquidazione. Poiché buona parte dei prestiti poteva considerarsi, più o meno, inesigibile, la Banca d’Italia ha concesso anticipazioni ad un tasso simbolico, 1%, poi impiegabili ad un tasso di mercato. La differenza tra i due tassi avrebbe consentito agli istituti surrogatisi ai presiti della Banca privata di ripianare le perdite sui crediti problematici. 52 Mariani M, op.cit., pp. 97-98 53 M.mariani, op. cit., pp. 94-96

Il problema dei crediti deteriorati delle banche italiane è in larga parte il risultato della fase recessiva che ha colpito l’Italia negli anni della crisi. Dal 2008 al 2013 il PIL è diminuito di quasi il 10% (nell’area dell’euro di circa 2); la produzione industriale di circa un quarto (nell’area dell’euro del 10%); gli investimenti del 30% (nell’area dell’euro del 16).

Una crisi economica di tali proporzioni, in un paese caratterizzato da finanziamenti provenienti per lo più da banche, non poteva non colpire inevitabilmente i bilanci degli intermediari, a causa del forte deterioramento della qualità dei presiti causato dal continuo fallimento delle imprese e dall’aumento della disoccupazione.

Agli effetti della crisi economica si sono sommati sia le scelte imprudenti nell’allocazione del credito, sia la lunghezza dei tempi di recupero dei crediti (se in un paese i tempi per chiudere un fallimento sono doppi rispetto ad un altro, a parità di flusso di nuovi crediti deteriorati in quel paese lo stock sarà doppio).54

La crisi ha avuto due fasi differenti. Il sistema bancario ha retto bene alla recessione del 2008-2009, causata dal collasso dei mutui subprime statunitensi e dalla crisi dei relativi prodotti di finanzia strutturata, verso cui le banche italiane erano poco esposte, a differenza di altri intermediari europei. Tuttavia, il peggioramento della situazione economica e finanziaria della clientela aveva comportato un aumento importante del tasso di formazione dei nuovi crediti deteriorati e della loro consistenza nei bilanci delle banche. La seconda fase ha avuto inizio nella seconda metà del 2011 con la crisi del debito sovrano italiano. Con la nuova recessione la capacità della clientela di ripagare il debito si è ulteriormente ridotta, comportando un nuovo aumento del tasso di formazione di nuovi crediti deteriorati e un’ulteriore crescita della loro consistenza.55

54 Secondo i dati del Ministero della Giustizia, le procedure fallimentari alla fine

del 2005 avevano una durata media di 7,6 anni; quelle esecutive immobiliari di 4,2

Con la ripresa economica il problema dei crediti deteriorati si sta gradualmente ridimensionando.

Nell’ultimo trimestre del 2016 i nuovi crediti deteriorati sono scesi al 2,3% del valore dei prestiti complessivi, come nel biennio 2006-2007.56

Anche la consistenza sta diminuendo, dopo aver toccato il picco nella seconda metà del 2015.

Mentre nel giugno 2015 i crediti deteriorati delle banche italiane avevano raggiunto il valore massimo di 200 miliardi, nello scorso dicembre ammontavano a 173 miliardi al netto delle rettifiche di valore, pari al 9,4% del totale dei crediti e a 349 miliardi al lordo delle rettifiche.

Dei 173 miliardi, 92 facevano riferimento a situazioni per le quali è ancora possibile il ritorno alla regolarità dei pagamenti, soprattutto in presenza di un consolidamento della ripresa. Le sofferenze, ovvero la componente più rischiosa, si attestavano a 81 miliardi, il 4,4% dei prestiti totali.57

57 Seminario istituzionale sulle tematiche legate ai non performing loans,

Intervento del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Panetta F.,15 maggio 2017, pp. 2

5 LA GESTIONE DEI CREDITI NON PERFORMING

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