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6 EFFICIENZA BANCARIA: NON-RADIAL DIRECTIONAL DISTANCE FUNCTION

6.1 Misura della performance con gli undesiderable output

Assodato che, dal punto di vista economico, gli input sono tutti i fattori di produzione che le imprese (DMU) utilizzano per lo svolgimento della propria attività e gli output sono i prodotti o i servizi prodotti dalle DMU, è necessario puntualizzare che, tali prodotti o servizi sono elementi che hanno lo scopo primario di migliorare le prestazioni delle DMU, tuttavia possono al contrario ridurre le performance delle unità organizzative. Tali prodotti vengono chiamati undesiderable output.

Secondo Fare et al. (1989), un undesiderable output ha due proprietà fondamentali:

- Null-jointness: se 𝑥, 𝑦, 𝑏 Î T e 𝑏 = 0, allora 𝑦 = 0;

- Weak disposability: se 𝑥, 𝑦, 𝑏 Î T e 0 ≤ 𝜃 ≤ 1, allora 𝑥, 𝑦𝜃, 𝜃𝑏 Î T

Dove:

1. l’input è descritto dal vettore x = 𝑥Y, … , 𝑥G Î 𝑅², l’output buono da

y = 𝑦Y, … , 𝑦n Î 𝑅´ e l’output indesiderato da 𝑏 = 𝑏

Y, … , 𝑏x Î 𝑅™µ,

2. 𝜃 è una costante

3. 𝑇 è la tecnologia di produzione, tale per cui

𝑇 = 𝑥, 𝑦, 𝑏 : 𝑥 𝑝𝑢ò 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑢𝑟𝑟𝑒 𝑦, 𝑏 o alternativamente P x = 𝑦, 𝑏 : (𝑥, 𝑦, 𝑏)Î T

La tecnologia di produzione soddisfa gli assiomi standard della teoria di produzione (Fare et al.): 1) l’inattività è sempre possibile (0,0,0)Î T; 2) una quantità finita di input, può produrre solo una quantità finita di output; 3) T è convesso; 4) gli output buoni sono fortemente disponibili (se una quantità di input può produrre un certo livello di output, anche una piccola quantità di output può essere prodotta)

La null-jointness implica che non c’è alcuna possibilità di eliminare le uscite indesiderate senza a sua volta interrompere la produzione. Le uscite indesiderate sono elementi che saranno sempre presenti e di difficile controllo.

La weak disposability, invece, indica che una riduzione delle uscite indesiderate è possibile se e solo se è accompagnata da una riduzione corrispondente degli output buoni, o da un aumento degli input.

Nel sistema bancario, quando la banca concede prestiti si assume il rischio del risultato del finanziamento, che può portare a risultati buoni (performanti) o cattivi (non performanti, cioè i NPL) a seconda dell’intensità del monitoraggio e dei comportamenti dei clienti68.

In letteratura, tale rischio assume la forma di undesiderable output, che per gli istituti finanziari sono i non-performing loans.69

A quest’ultimi viene dato l’appellativo di bad output proprio perché le due proprietà, che stanno alla base della definizione degli undesiderable output, caratterizzano anche la natura dei NPL. Infatti, i crediti in sofferenza sono null-jointness perchè è impossibile per una banca prevedere l’assenza dei non performing loans, a meno che non si mettano uguali a zero i prestiti, attività tipica di una banca; al tempo stesso sono weak disposability perché una diminuzione dei non-performing loans è sempre pagata o da una diminuzione degli output buoni (statisticamente, infatti, una riduzione dei prestiti bancari comporta una diminuzione della presenza di soggetti insolventi, e quindi la creazione di non-performing loans), o da un aumento delle risorse e quindi da un costo aggiuntivo.

È proprio questo il motivo per cui, nel modello utilizzato per calcolare la performance delle banche europee, i non-performing loans vengono inseriti nella categoria di undesiderable output.

68 M.Epure, E.Lafuente, op.cit. 2014, pp. 269

69 Fukuyama e Weber hanno introdotto i rischi nell’analisi non parametrica

Il problema, affrontato in letteratura, è stato quello di definire come trattare gli undesiderable output. Un primo modo potrebbe essere quello di ignorare questo output, metodo non accettabile in quanto si potrebbero penalizzare, nel caso specifico, quelle banche che hanno sostenuto investimenti, e quindi maggiori costi, per avere in bilancio una quantità inferiore di non-performing loans. Di conseguenza, dato che si ritiene che un undesiderable output sia un peggioramento della qualità del servizio della banca, si è tentato di incentivare le banche a diminuire i crediti in sofferenza, attraverso una misura di efficienza che tiene conto, quindi, di tali sforzi sostenuti dalle banche. Da un punto di vista metodologico, ci sono diversi modi per includere i risultati indesiderati nell’analisi dell’efficienza ed in particolare nel quadro della DEA.

Come mostrato in figura70, i primi ad occuparsi di tale argomento furono Hailu e Seiford:

- Hailu e Veeman (2001) trattano gli undesiderable output come input. In realtà, è impensabile trattare tali ouput come input, in quanto non sono elementi che si riescono a controllare e decidere di conseguenza se trattarli o meno;

- Seiford e Zhu (2002) propongono, invece, di trattare gli output indesiderati applicando a questi una trasformazione monotona decrescente;

- Fare (2004) sostiene il concetto della weak disposability degli output e consiglia di applicare una misura di efficienza della funzione di distanza direzionale;

- Zhou (2006) e Zhou (2007) utilizzano sempre la weak disposability, basandosi su misure di tipo slack based e su misure non radiali; - Lo studio più recente si ha con Zhou (2012), il quale applica un

approccio diverso dalla DEA tradizionale, ovvero il Directional Distance Function approach (DDF), ampiamente usato nell’efficienza energetica e nell’ambiente, in quanto consente, simultaneamente, di espandere gli output buoni (desiderabili), ridurre gli input e ridurre l’output indesiderato71.

Tra tutti gli studi analizzati nella letteratura per calcolare l’analisi della performance bancaria in presenza di non-performing loans, l'approccio della funzione di distanza direzionale sembra essere uno strumento appropriato per la modellizzazione delle prestazioni bancarie. Di conseguenza, viene preso come punto di riferimento la metodologia analizzata da Zhou, la Non-radial Directional Distance Function (NDDF), con una novità sui rendimenti di scala72.

Pur presumendo che i rendimenti di scala costanti (CRS) abbiano delle proprietà interessanti, la letteratura ha segnalato che, nella maggior parte dei casi, la tecnologia sperimenta rendimenti di scala variabili (VRS). Ad esempio, Chamber e Pope (1996) hanno sostenuto che limitare i rendimenti di scala a quelli costanti dovrebbe essere evitato a meno che non si analizzino le imprese in un periodo medio-lungo73.

71 J.S. Liu, L.Y.Y.Lu,Wen-M Lu, op.cit., 2015, pp.39-40 72 in linea generale i rendimenti di scala determinano il modo in cui aumenta il prodotto quando aumenta l’impiego di tutti gli input in una data misura. Se l’output aumenta in modo meno che proporzionale all’aumentare dell’input si hanno rendimenti di scala decrescenti; se aumenta in modo più che proporzionale, crescenti; se, invece, entrambi aumentassero nella stessa proporzione, i rendimenti sarebbero costanti. 73 M.Epure, E.Lafuente, ‘Monitoring bank performance in the presence of risk’, 2014, pp. 268

Di conseguenza, posto che i dati bancari in presenza dei non-performing loans in analisi mostrano dei rendimenti di scala variabili, e non costanti come nello studio condotto da Zhou, viene considerata la tecnologia di Kuosmanen (2005) e viene proposta una funzione vettoriale di distanza direzionale (vector diretional distance function). I punteggi di efficienza vengono calcolati risolvendo un programma simile a DEA la cui funzione obiettivo è espandere gli output desiderabili, ridurre gli input e ridurre l’output indesiderato.

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