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Data Envelopment Analysis (DEA): un approccio non parametrico per misurare l'efficienza bancaria in presenza di Non-Performing Loans

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Facoltà di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e

Mercati Finanziari

Tesi di laurea

Data Envelopment Analysis (DEA): un approccio non parametrico per misurare l'efficienza bancaria in presenza di Non-Performing Loans

Relatore:

Prof. Riccardo Cambini

Controrelatrice: Candidata:

Prof.ssa Laura Carosi Fabiola Bono

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INDICE

1 INTRODUZIONE ... 3 2 DATA ENVELOPMENT ANALYSIS ... 5 2.1 Modelli non-parametrici ... 5 2.2 Caratteristiche generali del modello DEA ... 7 2.2.1 Caso un input, un output ... 10 2.2.2 Caso due input e un output ... 14 2.2.3 Caso un input e due output ... 17 2.3 Excursus storico del DEA ... 20 3 MODELLI DATA ENVELOPMENT ANALYSIS ... 22 3.1 CCR-Model ... 22 3.1.1 Dalla programmazione frazionaria alla programmazione lineare ... 24 3.1.2 Invarianza delle unità nel modello ... 25 3.1.3 CCR-efficiency ... 26 3.1.4 Production Possibility Set ... 28 3.1.5 Il Problema Duale ... 29 3.1.6 Confronto tra Efficienza nella (LPo) e nella (DLPo) ... 34 3.1.7 CCR model: Output-oriented ... 36 3.2 BCC Model ... 38 3.2.1 BCC model: output-oriented ... 42 3.3 A Slacks-Based Measure of Efficiency (SBM) ... 46 4 NON-PERFORMING LOANS ... 52 4.1 Classificazione dei crediti deteriorati ... 52 4.2 Deterioramento della posizione creditizia: le cause ... 57 4.3 Crisi economica e crescita dei crediti deteriorati in Italia ... 60 5 LA GESTIONE DEI CREDITI NON PERFORMING ... 67 5.1 Tecniche tradizionali ... 67 5.1.1 Il recupero ... 68 5.1.2 La ristrutturazione ... 70 5.2 Tecniche innovative ... 72 5.2.1 La cartolarizzazione ... 72 5.2.2 I derivati creditizi ... 75 5.2.3 Le vendite dei prestiti ... 77 6 EFFICIENZA BANCARIA: NON-RADIAL DIRECTIONAL DISTANCE FUNCTION APPROACH (NDDF) ... 79 6.1 Misura della performance con gli undesiderable output ... 79 6.2 Non-radial Directional Distance Function Approach (NDDF) ... 83 6.3 Risultati empirici ... 90 7 CONCLUSIONI ... 95 8 BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA ... 97

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1 INTRODUZIONE

La Data Envelopment Analysis (DEA) è una tecnica basata sulla programmazione lineare ed utilizzata per valutare l’efficienza di unità operative omogenee, formalmente definite come Decision Making Unit (DMU), dotate di capacità decisionale e in grado di produrre n output facendo uso di m input.

Introdotta nel 1978 dal lavoro di Charnes, Cooper e Rhodes, è un metodo non parametrico che garantisce flessibilità nell’applicazione, in quanto non è necessario esplicitare a priori una funzione di produzione che spieghi come gli input e gli output delle unità produttive siano legati tra di loro.

Attraverso l’analisi DEA si ottiene, per ogni unità, un valore di efficienza relativa che permette di effettuare un ranking delle unità analizzate, distinguendo quelle efficienti da quelle inefficienti. Se il valore di efficienza relativa è uguale a uno allora l’unità obiettivo è efficiente rispetto alle altre, altrimenti tale unità è considerata tecnicamente inefficiente.

Il valore ottimale rappresenta, in termini percentuali, la quantità dei fattori produttivi che l’unità dovrebbe utilizzare per divenire efficiente e quindi ricavare il maggior numero possibile di output, se il modello è orientato agli output, o l’ammontare dei beni che dovrebbe produrre utilizzando il minor numero possibile di input, se il modello è orientato agli input.

La tecnica DEA è stata usata per valutare l’efficienza di banche, imprese commerciali, agenzie governative, ospedali, sistemi di trasporti, istituti scolastici.

Il tema centrale di questa tesi riguarda l’utilizzo del modello DEA nel calcolo delle performance bancarie in presenza di Non-Performing Loans.

I non-performing loans (prestiti non performanti) sono attività che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori. Si tratta in pratica di crediti per i quali la riscossione è incerta, sia in termini di rispetto della scadenza, sia per ammontare dell’esposizione. L’aumento dei rapporti creditizi di difficile esigibilità segnala, dal punto di vista

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dell’intermediario, un aumento della rischiosità aziendale che va ad incidere negativamente sulla gestione aziendale, e da un punto di vista globale, invece, rischiano di ostacolare la crescita economica e di ridurre l’efficienza economica.

Pertanto la riduzione al minimo dei NPL è una condizione necessaria per migliorare la crescita economica.

Di conseguenza, i non-performing loans sono considerati un rischio che la banca non riesce a monitorare e ad evitare, in quanto la loro creazione dipende dall’intensità del monitoraggio e dai comportamenti dei clienti. In letteratura tale rischio assume la forma di undesiderable output, pertanto è stato necessario introdurre un metodo alternativo alla DEA tradizionale, che sia in grado contemporaneamente di:

1. espandere le uscite desiderate (desiderable output); 2. ridurre le entrate (input);

3. ridurre le uscite indesiderate (undesiderable output).

Tale obiettivo viene raggiunto attraverso il modello Non-radial Directional Distance Function (funzione di distanza direzionale), strumento considerato appropriato per la modellizzazione delle prestazioni bancarie.

La tesi è organizzata come segue. Nel capitolo 2 viene descritta ed analizzata la metodologia DEA nei casi di un input, un input, due input e un output, un input e due output e viene proposto un excursus storico riguardante lo sviluppo di tale metodologia. Nel capitolo 3 vengono analizzati i principali modelli di valutazione delle performance aziendali. Nel capitolo 4 viene introdotto il concetto di non-performing loans, le sue determinanti e la situazione italiana nell’ultimo periodo. Il capitolo 5 riguarda la gestione dei crediti non-performing e la distinzione tra tecniche di gestione tradizionali ed innovative. Infine nel capitolo 6 è stato analizzato il modello alternativo al modello DEA tradizionale, il Non-radial Direction Distance Function Approach, idoneo per il calcolo dell’efficienza bancaria in presenza di NPL e i risultati empirici dovuti all’applicazione di tale modello per misurare l’efficienza delle banche europee prese in considerazione, nell’anno 2015.

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2 DATA ENVELOPMENT ANALYSIS

La Data Envelopment Analysis è una tecnica per misurare le prestazioni di unità operative omogenee, formalmente definite come Decision Making Unit (DMU), dotate di capacità decisionale e in grado di produrre s output facendo uso di m input. Introdotta nel 1978 dal lavoro di Charnes, Cooper e Rhodes (CCR), il DEA è un metodo non parametrico per misurare l'efficienza tecnica e allocativa di un'unità di produzione (DMU: Decision Making Unit) relativamente ad un dato insieme di unità produttive scelte per il confronto. Il fatto che il DEA sia un metodo non parametrico garantisce flessibilità nell’applicazione, in quanto non è necessario esplicitare a priori una funzione di produzione che spieghi come gli input e gli output delle unità produttive siano legati tra di loro.

2.1 Modelli non-parametrici

Prima di analizzare dettagliatamente il modello DEA, è utile capire cosa si intende per modelli parametrici e non-parametrici.

Nella letteratura economica e statistica si confrontano due metodologie di analisi; da un lato la stima econometrica delle funzioni di costo o di produzione, dall’altro l’impiego di tecniche di programmazione matematica. Con il modello parametrico si intende la forma funzionale di una funzione, dipendente da un insieme finito di parametri da stimare; tale approccio è valido solo nel caso in cui la vera funzione è uguale (o approssimativamente uguale) alla funzione parametrizzata, in caso contrario si possono ottenere risultati fuorvianti.

Le analisi di tipo parametrico richiedono l’esplicitazione a priori di una funzione di produzione.

Tra i modelli parametrici possiamo distinguere due tipi di approcci, in base alle ipotesi che stanno alla base del processo che genera i dati: la stima di frontiere deterministiche (Deterministic Frontier Analysis, DFA) e di quelle stocastiche (Stochastic Frontier Analysis, SFA).

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Nel metodo parametrico-deterministico l’inefficienza aziendale, ossia le scelte del produttore, sono l’unica causa di deviazione di un’osservazione dal suo massimo teorico. Tale specificazione non tiene conto di possibili shock casuali, non controllabili, specifici del processo produttivo.

L’approccio stocastico, invece, sostiene che le deviazioni della frontiera possono essere conseguenza di fattori che non riguardano scelte del produttore: alla funzione da stimare si considerano anche fattori attribuibili sia agli stati di natura, sia ad altre circostanze, quali errori di misurazione, omissioni di variabili determinanti.

I modelli non parametrici si basano, invece, sulla costruzione di un sistema di riferimento rispetto al quale valutare le singole osservazioni riguardanti le performance delle DMU analizzate. A differenza dei modelli parametrici non richiedono l’esistenza di ipotesi a priori sulle caratteristiche del parametro preso come riferimento, o se li prevedono, si tratta di ipotesi meno restrittive rispetto a quelle tipiche della statistica parametrica.

Nello specifico, non si assume l'ipotesi che i dati provengano da una popolazione normale o gaussiana. Non facendo riferimento a nessun modello teorico che specifica la forma della frontiera, in base alla determinazione a priori di un numero già fissato di parametri volti a spiegare la struttura dell’insieme di produzione, l’approccio non parametrico risulta molto più elastico nella fase di costruzione della frontiera efficiente.

I metodi non parametrici si basano su poche assunzioni teoriche e non formulano ipotesi sulla forma funzionale della frontiera di produzione e sulla posizione che le osservazioni assumono rispetto alla frontiera efficiente. Non viene fatta alcuna ipotesi probabilistica riguardo alla metodologia di raccolta dei dati, considerando tale metodologia descrittiva e non inferenziale.

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Il metodo non-parametrico meglio conosciuto è il Data Envelopment Analysis, ideato da Farrel nel 19571.

2.2 Caratteristiche generali del modello DEA

Come già detto prima il modello DEA deriva da Charnes, Cooper e Rhodes, i quali estesero gli studi condotti da Farrel nel 1957. In un articolo che rappresenta l’avvio alla tecnologia DEA, Farrel aveva, infatti, motivato la necessità di sviluppare un metodo adeguato per misurare e valutare la produttività, poi definita efficienza, attraverso la combinazione di un solo input ed un solo output. A Charnes, Cooper e Rhodes si deve l’estensione del modello da un’analisi condotta da Farrel su imprese utilizzanti un solo input ed un solo output, ad un problema di programmazione lineare adattato ad una moltitudine di output. Loro formularono così il modello CCR, utilizzato per la prima volta per calcolare l’efficienza dei programmi educati per studenti svantaggiati, intrapresi da scuole pubbliche statunitensi con il sostegno del governo federale.2

Con il passare degli anni, la tecnica DEA è stata usata per valutare l’efficienza di banche, imprese commerciali, agenzie governative, ospedali, sistemi di trasporti, istituti scolastici.3

Le unità produttive funzionano utilizzando determinati input e producendo specifici output. La misura dell’efficienza è data dal rapporto tra output ed input.

Output Input

Il DEA utilizza tecniche, come la programmazione matematica, in grado di gestire un gran numero di variabili e relazioni, e offre diverse opportunità di

1 Subhash C.Ray, ‘Data Envelopment Analysis: Theory and Techniques for Economics and Operation Research’, pp. 14 2 W.W. Cooper, L.M.Seiford, J.Zhu, ‘Handbook on Data Envelopment Analysis’, Second Edition, pp. 3-4. 3 Sengputa, J.K., Technology, Innovations and Growth, pp. 1-2

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utilizzo, includendo, anche, opportunità di collaborazione tra analisti e decisori.

Qualsiasi problema decisionale affrontato da un agente economico, come un consumatore o un produttore, ha tre caratteristiche fondamentali:

1. le variabili di scelta o di decisione del problema.

2. le restrizioni che definiscono l'insieme di valori validi da cui scegliere. 3. una funzione che assegna valori diversi ai risultati che derivano da

decisioni alternative

Nel contesto della produzione, l'agente decisionale è l'impresa. Le variabili di scelta sono le quantità di output da produrre e le quantità di input utilizzati. Gli output sono, in generale, risultati desiderabili, e, allo stesso tempo, gli input sono delle risorse preziose che, se non vengono usati, possono servire per produrre più output di quelli predeterminati o per produrre uscite diverse. Gli obiettivi per avere un uso efficiente delle risorse da parte delle imprese sono, quindi:

1. ricavare il maggior numero possibile di output da una specifica quantità di input;

2. produrre una quantità specifica di output utilizzando il minor numero possibile di input.4

La combinazione di input-output selezionata dall'azienda deve essere, allora, tecnicamente fattibile, nel senso che deve essere possibile produrre il bundle di uscita selezionato dal bundle5 di entrata associato.

Attraverso l’uso dei modelli DEA è possibile individuare le cause e calcolare l’ammontare dell’inefficienza delle DMU che non si trovano sulla frontiera, indicando loro i rimedi da apportare per diventare efficienti.

Da un punto di vista grafico, Charnes et al stabiliscono una frontiera efficiente formata da delle unità decisionali (DMU) con le migliori prestazioni e assegnano un indice di efficienza a ciascuna unità che non si

4 Subhash C.Ray, op. cit., pp. 14-15

5 bundle: Combinazione di più prodotti messi in vendita a un prezzo

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trova sulla frontiera efficiente, in base alle loro distanze dalla frontiera efficiente stessa.

Un’unità economica può risultare tecnicamente inefficiente sia nel caso di input-oriented, sia nel caso di output-oriented. In questo caso, si parla di input-oriented quando la DMU spreca input in fase di produzione e di output-oriented quando, invece, dati gli input, non massimizza gli output. Per esempio se si vuole determinare l’output da produrre, il produttore sceglie solo tra i bundle di input alternativi in grado di produrre l'output mirato. In questo contesto, l'efficienza sta nel minimizzare i costi di produzione. Questo vale per molte organizzazioni di servizi non profit come ospedali, scuole o agenzie di soccorso.

Per un'impresa commerciale che affronta prezzi ben definiti di mercato, il profitto misurato dalla differenza tra reddito e costo è il criterio della scelta. È possibile classificare le combinazioni di input-output alternative in funzione del profitto che ne deriva.

Quando la funzione criterio ha un valore massimo finito raggiungibile nell’insieme delle variabili di scelta, questo valore massimo può essere utilizzato come parametro di riferimento per valutare l'efficienza di un agente

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decisionale. Più è vicino l'effettivo profitto di un'impresa al massimo raggiungibile, maggiore è la sua efficienza.

Lo scopo del processo decisionale è quello di definire ciò che può essere considerato come variabile di scelta e la funzione di criterio che deve essere opportunamente formulata.6

2.2.1 Caso un input, un output

Un esempio semplice per far comprendere lo studio del modello DEA può essere caratterizzato dal caso single output, single input.

Supponiamo che ci sono otto negozi, che indichiamo dalla A alla H:

Negozi A B C D E F G H

Dipendenti (input) 2 3 3 4 5 5 6 8

Vendite (output) 1 3 2 3 4 2 3 5

Vendite/Dipendenti 0.5 1 0.667 0.75 0.8 0.4 0.5 0.625

Il numero dei dipendenti e delle vendite (misurato in 100.000 dollari) sono registrati in ciascuna colonna. La riga inferiore della tabella mostra le vendite per dipendente, una misura di produttività spesso utilizzata nell'analisi di gestione e investimenti. Da questa misura si identifica, quindi, B come il negozio più efficiente e F come quello meno efficiente.

Rappresentiamo adesso questi dati in figura 1.1, inserendo il numero dei dipendenti sull’asse orizzontale e le vendite sull’asse verticale.

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Se consideriamo che ogni punto può essere collegato all’origine, si nota che l’intercetta più alta sarà quella che collegherà il punto B all’origine.

Questa linea è chiamata “frontiera efficiente”; è efficiente in quanto tutti gli altri punti si trovano al di sotto di questa linea. Il nome Data Envelopment Analysis deriva proprio da questa proprietà perché, in termini matematici, tale frontiera envelop (avvolge) questi punti.

Dati questi dati, si potrebbe tentare di disegnare una linea di regressione statistica.

La linea tratteggiata in figura 1.2 mostra la linea di regressione che passa attraverso l'origine che, sotto il principio dei minimi quadrati, è espresso da y= 0.662x.

Questa linea, normalmente determinata in statistica, passa attraverso la metà di questi punti e quindi possiamo definire i punti sopra di essa eccellenti e i punti sotto di esso inferiori o insoddisfatti.

A B C D E F G H 0 1 2 3 4 5 6 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 ve nd ite Dipendenti Figura 1.1

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La linea di frontiera indica la prestazione del negozio migliore B, ma allo stesso tempo misura l’efficienza di altri negozi per deviazioni dal negozio migliore.

Esiste, quindi, una differenza fondamentale tra gli approcci statistici attraverso l’analisi di regressione e il DEA. L’analisi di regressione riflette il comportamento medio o la tendenza centrale delle varie osservazioni, mentre il DEA riflette le migliori prestazioni e valuta tutte le prestazioni per deviazioni dalla linea di frontiera.

Questi due differenti metodi possono a loro volta portare ad enormi differenze quando vengono usati come metodi di valutazione.

Il DEA identifica un punto, come quello B, per l’esame futuro o serve come parametro di riferimento da usare per cercare dei miglioramenti.

L’approccio statistico, invece, misura B insieme alle altre osservazioni, includendo F come base per suggerire dove cercare i miglioramenti.

Bisogna, comunque, sottolineare che la linea di frontiera non si estende fino all’infinito con la stessa pendenza, ciò lo si può vedere usando diversi modelli

A B C D E F G H 0 1 2 3 4 5 6 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 ve nd ite Dipendenti Figura 1.2

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DEA. Supponiamo, tuttavia, di usare come assunzione i rendimenti costanti di scala.7

Ritornando, quindi, all’esempio precedente si può misurare l’efficienza degli altri negozi rispetto al miglior negozio B,

0 ≤ 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑛𝑒𝑔𝑜𝑧𝑖

𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝐵 ≤ 1

e, tenendo conto dei singoli risultati ottenuti in precedenza8,

Negozi A B C D E F G H

Vendite/Dipendenti 0.5 1 0.667 0.75 0.8 0.4 0.5 0.625

organizzarli nel seguente modo

1 = 𝐵 > 𝐸 > 𝐷 > 𝐶 > 𝐻 > 𝐴 = 𝐺 > 𝐹 = 0,49

quindi, il negozio peggiore F raggiunge il 40% (0,4x100%) dell’efficienza di B.

Con il metodo DEA è anche possibile vedere come rendere efficienti gli inefficienti negozi, riducendo o aumentando l’output/ input. Per esempio, per quanto riguarda il negozio A, si può ridurre il numero dei dipendenti da 2 ad 1, o si possono aumentare le vendite, in modo così da trovarsi sulla frontiera efficiente. Qualsiasi punto su quella frontiera dà la possibilità di effettuare i miglioramenti in un modo che presuppone che l’ingresso non sia aumentato e che l’output non debba essere diminuito nel rendere l’archivio efficiente. I valori risultanti nella tabella precedente dipendono dalle unità di misura utilizzate, mentre questo non è il caso della trasformazione dell’inefficienza in efficienza. Per esempio, se le vendite sono state dichiarate in unità di 10.000, invece che di 100.000 (caso precedente) il rapporto per F cambierà da 2/5 = 0.4 a 20/5=4.0. Invece, il valore dell’efficienza rimarrà invariato a

7 I rendimenti di scala si definiscono costanti se ad un aumento (diminuzione)

degli input segue un aumento (diminuzione) proporzionale dell’output.

8 Risultati della tabella p. 2

9 i.e. 0.4 è dato da EFGHIJF HIKFGHFGJI HFLMI NMJOI GFLPQI(S)

EFGHIJF HIKFGHFGJI HI U =

V.X Y= 0.4

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4/10=0.4 e il punteggio relativo di efficienza associato ad F non è influenzato dalla scelta di usare un’unità di misura differente.10

Tutte le variazioni che possono essere registrate in questo caso sono quindi il risultato di una quantità in eccesso di input o di una carenza nell’output. Questa formula è limitata al caso di single output e input; non può essere usato al caso di più output e input, in quanto si incontrano diversi problemi.11

2.2.2 Caso due input e un output

Per analizzare il caso di più input ed un solo output si possono prendere in considerazione le prestazioni di 9 supermercati, con due ingressi e una sola uscita.

Si prendano in considerazione come input: Ø x1= numero dei dipendenti (10 unità)

Ø x2= area di base (1000m2) come output: Ø y= vendite (100.000$)12 NEGOZIO A B C D E F G H I x1 x2 4 3 7 3 8 1 4 2 2 4 5 2 6 4 5.5 2.5 6 2.5 y 1 1 1 1 1 1 1 1 1

Considerando in ascissa il rapporto 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 e in ordinata il rapporto 𝑎𝑟𝑒𝑎 𝑑𝑖 𝑏𝑎𝑠𝑒 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒, si ottiene il seguente grafico

10 i.e 0.4= V.X\YV Y\YV = 0.4 11 W.W.Cooper, L.M.Seiford and K.Tone, Data Envelopment Analysis: A Comprehensive Text with Models, Applications, Reference and DEA-Solver Software, pp. 1-6 12 le vendite sono unitizzate a 1 sotto l'ipotesi di rendimenti di scala costanti. Quindi, i valori di input sono normalizzati ai valori per ottenere una unità di vendita, op cit., p. 6

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Dal punto di vista dell’efficienza, quei negozi che usano meno ingressi per ottenere un’unità più efficiente sono i più efficienti. Di conseguenza la linea che lega i negozi C, D, E è la cosiddetta frontiera efficiente.

Basta semplicemente notare che, nessun punto su questa frontiera efficiente può migliorare uno dei suoi valori di input senza peggiorare l'altro.

Si possono avvolgere tutti i punti dati all'interno della regione racchiusa dalla frontiera, la cosiddetta possibilità di produzione (production possibility set)13.

Anche per il caso multiplo è possibile misurare l’efficienza di un negozio che non si trova sulla frontiera efficiente. Per esempio, per misurare l’inefficienza di A, si può considerare il segmento che lega A all’origine OA.

Replicando il grafico in figura 1.3 ed eliminando ciò che non interessa evidenziare in questo caso specifico, si ottiene quanto segue

13 Cooper, Seiford, Tone, op. cit., pp. 7 A B C D E F G H I 0 1 2 3 4 5 6 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ar ea d i b as e/ Ve nd ite Dipendenti/Vendite Figura 1.3

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L’efficienza di A può essere calcolata attraverso la seguente formula: 𝑂𝑃

𝑂𝐴 = 0.8571

dove P=2,6 è il punto che incontra l’intercetta OA e la linea della frontiera efficiente, che lega D ed E, suoi punti di riferimento.

I punti di riferimento, naturalmente, cambiano da negozio a negozio. Per esempio il punto di riferimento per B è dato dai punti C e D. Dalla figura, a sua volta, si può notare come il punto D è considerato un punto di riferimento per diversi negozi, quindi tale negozio D non è solo un efficiente negozio, ma è anche ‘rappresentativo’; invece C ed E, pur essendo efficienti, hanno delle caratteristiche uniche nella loro associazione con segmenti delle frontiere.

Anche in questo caso è possibile analizzare i miglioramenti facendo riferimento a comportamenti inefficienti. Per esempio A può essere migliorata portando i suoi input agli stessi valori del punto P. Ogni punto del segmento che lega DA, può essere usato come strumento per miglioramento: D si ottiene riducendo l’input area di base, mentre riducendo il numero dei dipendenti si ottiene un punto che si trova sul segmento EP. Un’ulteriore

D A E 2,6 0 1 2 3 4 5 0 1 2 3 4 5 Ar ea d i b as e/ ve nd ite Dipendenti/Vendite Figura 1.4

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possibilità di miglioramento si ha con l’aumento della produzione (vendite), mantenendo lo status quo per gli input.14

2.2.3 Caso un input e due output

Come rappresentato in tabella si considerano come output il numero dei consumatori per venditore y1, e le vendite per venditore y2 di 7 filiali.

NEGOZIO A B C D E F G x 1 1 1 1 1 1 1 y1 y2 1 5 2 7 3 4 4 3 4 6 5 5 6 2

Per ottenere la frontiera si dividono gli output per il numero dei dipendenti, l’unico input di riferimento.

La frontiera efficiente sarà così formata in questo modo

La possibilità di produzione è la regione delimitata dagli assi e dalla frontiera efficiente. Le filiali A, C, D sono inefficienti e la loro efficienza può essere valutata facendo riferimento alla frontiera efficiente.

14 Cooper, Seiford, Tone, op. cit., pp. 6-8 A B C D E F G 0 1 2 3 4 5 6 7 8 0 1 2 3 4 5 6 7 Ve nd ite /d ip en de nt i consumatori/dipendenti Figura 1.5

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Per esempio l’efficienza di D è data dalla seguente formula 𝑑(𝑂, 𝐷)

𝑑(𝑂, 𝑃) = 0.75

dove 𝑑 𝑂, 𝐷 e 𝑑(𝑂, 𝑃) rappresentano la distanza da 0 a D e da 0 a P.

Questo valore, 0,75, si riferisce alla percentuale di inefficienza presente in entrambe le uscite da D.

Questo rapporto è indicato come misura radiale e può essere interpretato come il rapporto di due misure di distanza.

Secondo la misura Euclidea si avrà 𝑑 𝑂, 𝐷 = 4b+ 3b = 5 𝑑 𝑂, 𝑃 = 16 3 b + 4b =20 3

dove i valori sotto la radice rappresentano rispettivamente le coordinate di D e di P. le coordinate di D sono indicate nella tabella iniziale (output y1, output

y2), mentre le coordinate di P derivano dall’intersezione y2 = gX y1 e y1=

20-3y2. La ratio della distanza Euclidea dall’origine alla possibilità di

produzione è che si otterrà sempre una misura tra 0 e 1.

Affinchè D diventi efficiente dovrebbe incrementare entrambi i suoi output di 4/3, ovvero D dovrebbe avere le stesse coordinate di P, il punto che si trova

A B C D E F G P Q 0 1 2 3 4 5 6 7 8 0 1 2 3 4 5 6 7 Ve nd ite /d ip en de nt i consumatori/dipendenti Figura 1.5 P

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sulla frontiera efficiente usato per valutare D. Per ottenere questo, quindi, si deve applicare quel rapporto alle coordinate di D ed ottenere così il valore

𝑑(𝑂, 𝑃) 𝑑(𝑂, 𝐷)= 20 3 5 = 1,33 4 3 4,3 = 16 3 , 4

Questo tipo di inefficienza che può essere eliminata senza cambiare proporzioni, ma solo incrementando entrambi gli output, si riferisce all'efficienza tecnica.

Un altro tipo di efficienza si verifica quando solo alcune, ma non tutte, le uscite o gli ingressi vengono identificati come comportamenti inefficienti. L’eliminazione dell’inefficienza, tuttavia, altererà le proporzioni in cui vengono prodotti gli output o vengono utilizzati gli input.

Consideriamo il valore

𝑑(𝑂, 𝐴)

𝑑(𝑂, 𝑄)= 0.714

usando il reciproco di questa misura e moltiplicandolo alle coordinate di A si ottengono le coordinate di Q

1

0.714 1,5 = 1.4,7

Questa aggiusterà entrambe le uscite di A senza peggiorare il suo ingresso e senza alterare le proporzioni di uscita.

Questo miglioramento dell'efficienza tecnica, grazie al movimento fino a Q, non rimuove tutte le inefficienze. Infatti, anche se Q è sulla frontiera, non è una parte efficiente della frontiera.

Il confronto di Q con B mostra una mancanza di output y1 (1.4 per Q, mentre

2 per B), così un incremento in questo output può essere raggiunto anche da un movimento laterale da Q a B. Questo miglioramento può, quindi, essere raggiunto senza peggiorare l'altra uscita o il valore dell'ingresso. Correggendo il valore dell’output y1, senza alterare quello di y2, cambieranno

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prestazione A: innanzitutto un'efficienza tecnica attraverso la misura radiale seguita da una inefficienza di miscela rappresentata dalla mancanza di produzione che rimane in y1 dopo che tutte le inefficienze tecniche vengono

rimosse.15

2.3 Excursus storico del DEA

Per analizzare l’excursus e lo sviluppo di tale metodologia dal 1978 al 2014 possiamo prendere come riferimento la figura esposta nella ricerca sulla Data Envelopment Analysis di Jhon S. Liu.16

Ogni punto nella figura è allegato con una notazione che inizia con il cognome del primo autore seguito dalle prime lettere del cognome del coautore e termina con l'anno di pubblicazione del documento. Ad esempio, il documento originale di Charnes, Cooper e Rhodes che introduce il modello CCR nel 1978, è indicato come CharnesCR1978. Più avanti la linea attraversa l'articolo che propone il modello BCC (BankersCC1984) e continua fino a Seiford prima di divergere in due percorsi: nel percorso inferiore ci sono articoli che riguardano il tema della

Super-efficiency, lo Slack-based Measure (SBM), Network DEA e Dynamic DEA, mentre in quello superiore, studi inerenti il settore bancario e

15 Cooper, Seiford, Tone, op. cit., pp. 8-12

16 J. S. Liu, L.Y.Y. Lu, Wen-Min Lu ‘Research fronts in data envelopment analysis’,

pp.37

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ambientale. Per il settore bancario, per esempio, abbiamo Seiford, il primo ad introdurre un concetto di processo a due fasi per studiare le prestazioni bancarie, e Mukherjee, il quale applica un analogo concetto di processo a due fasi per misurare l'efficienza del servizio bancario in India. Infine i due percorsi si sovrappongono a Liu, che esamina le applicazioni DEA attraverso un metodo bibliometrico e Dai che propone un approccio che combina DEA con metodi di clustering per il benchmarking delle DMU17.

A Liu si deve anche la storia sugli undesiderable output, in quanto la presenza dei non-performing loans nelle banche è considerato come un output non desiderato. Questo argomento verrà trattato dettagliatamente nell’ultimo capito della tesi.

17 J.S. Liu, L.Y.Y.Lu,Wen-M Lu, ‘Research fronts in data envelopment analysis’,

2015, pp.36-37

(22)

3 MODELLI DATA ENVELOPMENT ANALYSIS

3.1 CCR-Model

Il modello CCR è uno dei modelli base della DEA, proposto inizialmente da Charnes, Cooper e Rhodes nel 1978.

Nella DEA, l'organizzazione in esame è denominata DMU (Decision Making Unit). Una DMU è considerata come l'entità responsabile della conversione degli input in output, le cui prestazioni devono essere valutate.

Supponiamo che ci sono un numero n di DMU: DMU1, DMU2 ,…, DMUn.

Gli elementi di input e output per ciascuno di questi j=1,…,n DMU sono selezionati in base a queste assunzioni:

1. sono disponibili dati numerici per ogni ingresso e uscita, posto che i dati siano positivi per tutte le DMU;

2. gli input, gli output e la scelta delle DMU devono riflettere l'interesse di un analista o di un gestore nei componenti che entreranno nelle relative valutazioni di efficienza delle DMU;

3. in linea di principio, sono preferibili un numero di input più piccolo e un ammontare di output più grande;

4. tutti gli input e tutti gli output sono ricondotti ad un singolo input virtuale e ad un singolo output virtuale, espressi come somma pesata degli input e degli output;

5. i rendimenti di scala sono costanti (CRS);

6. le unità di misura dei diversi ingressi e uscite non devono essere congruenti. Alcuni possono includere numero di persone, o aree di spazio, soldi spesi, e così via.

7. I pesi devono essere non negativi e non devono rendere maggiore di 1 il rapporto per tutte le DMU

Si suppone che ogni DMU usi un ammontare m di input per produrre un ammontare s di output. Di conseguenza si avranno le seguenti matrici di input (X) e di output (Y)

(23)

𝑋 = 𝑥YY ⋯ 𝑥YG ⋮ … ⋮ 𝑥nY ⋯ 𝑥nG 𝑌 = 𝑦YY ⋯ 𝑦YG ⋮ … ⋮ 𝑦qY ⋯ 𝑦qG

dove (x1j, x2j, ... xmj) sono gli input e (y1j, y2j, .. ysj) sono gli output considerati

per la j-esima DMU.

Per ogni DMU, esistono dei pesi sia per gli input (vi), sia per gli output (ur)

virtual input = v1x1o + … + vmxmo

virtual output = u1y1o + …+ usyso

quindi si determina il peso utilizzando la programmazione lineare (LP), in modo da massimizzarne il rapporto.

𝑣𝑖𝑟𝑡𝑢𝑎𝑙 𝑜𝑢𝑡𝑝𝑢𝑡 𝑣𝑖𝑟𝑡𝑢𝑎𝑙 𝑖𝑛𝑝𝑢𝑡

Considerati gli input e gli output si misura l’efficienza di ogni DMU con n ottimizzazioni, una per ogni DMU da valutare. L’efficienza di ogni DMU è, quindi, ottenuta tramite il rapporto tra la somma ponderata degli output e la somma ponderata degli input.

Ad ogni DMU è assegnato un set di pesi ottimi che invece di essere fissati in anticipo derivano direttamente dai dati. Sono dei valori che vengono calcolati direttamente dal modello in modo da massimizzare il rapporto di efficienza e che possono variare da una DMU all'altra.

L’obiettivo delle DMU è quello di massimizzare il proprio livello di efficienza, pertanto verranno scelti pesi tanto più piccoli quanto maggiore è la disponibilità di input, e tanto più elevati quanto più ridotta è la quantità disponibile. Tuttavia la scelta dei pesi deve rispettare il vincolo di non poter assumere valori negativi e che tale scelta sia tale da rendere positivo ma non superiore ad 1 il rapporto di efficienza per tutte le altre DMU.

Posto che la DMUo sia l’unità per la quale si vuole valutare l’efficienza

(24)

programmazione frazionaria (FP), attraverso il quale si otterranno i valori ottimi dei pesi di input (vi) (i =1,2,…,m) e dei pesi di output (ur) (r =1,2,…,s).

(FPo) max E,v 𝜃 = 𝑢Y𝑦YP+ 𝑢b𝑦bP+ ⋯ + 𝑢q𝑦qP 𝑣Y𝑥YP+ 𝑣b𝑥bP + ⋯ + 𝑣n𝑥nP (1.0) s.v. 𝑢Y𝑦Yx+ 𝑢b𝑦bx + ⋯ + 𝑢q𝑦qx 𝑣Y𝑥Yx+ 𝑣b𝑥bx + ⋯ + 𝑣n𝑥nx ≤ 1 (𝑗 = 1, … , n) (1.1) 𝑣Y, 𝑣b, … , 𝑣n ≥ 0 (1.2) 𝑢Y, 𝑢b, … , 𝑢n ≥ 0 (1.3)

i vincoli significano che il rapporto dell'output virtuale rispetto all'input virtuale non dovrebbe superare 1 per ogni DMU. In base ai vincoli, quindi, il valore obiettivo ottimale q* è al massimo 1.

3.1.1 Dalla programmazione frazionaria alla programmazione

lineare

Attraverso alcuni passaggi matematici è possibile passare dal problema di programmazione frazionaria a quello di programmazione lineare, nella formula input-oriented.

Il denominatore del vincolo FPo, (1.1) sotto l’assunzione di non negatività

delle degli input e dei pesi, risulta non negativo per ciascuna j. Quindi si possono moltiplicare entrambi i lati della disequazione per il denominatore, senza cambiare il segno della stessa, e ottenere in questo modo l’equazione:

𝑣Y𝑥Yx+ 𝑣b𝑥bx+ ⋯ + 𝑣n𝑥nx∗

𝑢Y𝑦Yx+ 𝑢b𝑦bx+ ⋯ + 𝑢q𝑦qx

𝑣Y𝑥Yx+ 𝑣b𝑥bx+ ⋯ + 𝑣n𝑥nx≤ 1 ∗ 𝑣Y𝑥Yx+ 𝑣b𝑥bx+ ⋯ + 𝑣n𝑥nx posto che il denominatore sia uguale ad 1

(25)

Si ottiene la seguente disequazione:

𝑢Y𝑦Yx + 𝑢b𝑦bx + ⋯ + 𝑢q𝑦qx ≤ 𝑣Y𝑥Yx + 𝑣b𝑥bx+ ⋯ + 𝑣n𝑥nx (1.5)

il problema di programmazione frazionaria, (FPo) risulta essere equivalente

a quello di programmazione lineare (LPo). A sostegno di tale tesi esiste un

teorema secondo il quale il valore di un numero frazionario non varia se si moltiplicano il numeratore ed il denominatore per uno stesso numero diverso da 0. Quindi per trasformare il problema di programmazione frazionaria a quello di programmazione lineare, si deve porre il denominatore della funzione obiettivo (1.0) uguale ad 1 ed impostarlo come vincolo, (1.7). La soluzione LPo si otterrà massimizzando il numeratore, sotto tali condizioni

(LPo) max v,E 𝜃 = 𝑢Y𝑦YP+ 𝑢b𝑦bP+ ⋯ + 𝑢q𝑦qP (1.6) s.v. 𝑣Y𝑥YP+ 𝑣b𝑥bP + ⋯ + 𝑣n𝑥nP = 1 (1.7) 𝑢Y𝑦Yx + 𝑢b𝑦bx + ⋯ + 𝑢q𝑦qx ≤ 𝑣Y𝑥Yx + 𝑣b𝑥bx + ⋯ + 𝑣n𝑥nx (𝑗 = 1, … , n) (1.8) 𝑣Y, 𝑣b, … , 𝑣n ≥ 0 (1.9) 𝑢Y, 𝑢b, … , 𝑢q ≥ 0 (2.0)

Posto che la soluzione ottimale della LPo sia v=v*, u=u* e il valore ottimale

sia 𝜃∗, la soluzione v=v* è ottimale anche per FP

o. Quindi i due problemi

hanno la stessa soluzione ottimale 𝜃∗.

3.1.2 Invarianza delle unità nel modello

Un teorema merita di essere analizzato per cercare di superare il problema della dimensione dei vari input e output utilizzati nel modello DEA.

Secondo questo teorema, il valore ottimale della massimizzazione q=q* nel problema di programmazione frazionaria e lineare è indipendente dalle unità

(26)

nel quale gli input e gli output sono misurati, purchè queste unità siano le stesse per ogni DMU.

Per esempio una persona può misurare output in migliaia e input in galloni di benzina, mentre un’altra può misurare gli stessi output in chilometri e gli stessi input in benzina. In entrambi i casi si otterrà lo stesso valore di efficienza. 18

Prima di procedere è necessario sottolineare che la (LPo) può essere risolta

con il metodo semplice di programmazione lineare. La soluzione ottimale può essere facilmente affrontata trattando il lato doppio (dual side) di (LPo).

In ogni caso si suppone che si abbia una soluzione ottimale di (LPo)

rappresentata da 𝜃∗, 𝑢, 𝑣 , dove 𝑢, 𝑣 sono valori con vincoli dati nelle

formule precedenti.

3.1.3 CCR-efficiency

Per concludere, quindi, nella versione input-oriented, una DMUo è efficiente

se:

1. 𝜃∗ = 1 ed esiste almeno un ottimo (v*,u*) con v*>0 e u*>0

2. Altrimenti, in tutti gli altri casi, la DMUo è inefficiente

Una DMU è, quindi, efficiente se e solo se la sua efficienza è pari ad 1 e se tutte le variabili slack sono nulle, in quanto la loro presenza indicherebbe che la DMU non è efficiente e che quindi sarebbe possibile mantenere lo stesso livello di produzione riducendo le risorse impiegate.

Si parla di inefficienza quando: I. 𝜃∗ < 1

18 W.W.Cooper, L.M.Seiford and K.Tone, op. cit., pp 39

Prova del Teorema: Posto che 𝜃∗, 𝑢

O∗, 𝑣I∗ siano ottimi per entrambi i problemi di programmazione,

sostituiamo l’originale 𝑦Ox e 𝑥Ixcon 𝑝O𝑦Ox e dI𝑥Ixper una certa scelta di 𝑝O,dI> 0.

Ma scegliendo 𝑢O… =v† ∗ K† e 𝑣I …=E‡∗ d noi abbiamo una soluzione al problema tale che q …∗³q. Supponiamo di avere q…∗>q. Tuttavia 𝑢 O … = 𝑢 O ∗𝑝 O e 𝑣I…= 𝑣I∗dI soddisfano i vincoli originali in

modo che l’assunzione q…∗>qcontraddice l’ottimizzazione assunta per q sotto quei vincoli.

L’unica possibilità restante è q…∗=q. Questo prova l’invarianza sostenuta per la

(27)

II. 𝜃∗ = 1 e almeno uno dei due pesi ottimi (v*,u*) è pari a 0 per ogni

soluzione ottimale del problema LPo.

Nel caso in cui risulta esserci la I (CCR-inefficient) deve esserci almeno un vincolo nella disequazione

𝑢Y𝑦Yx + 𝑢b𝑦bx + ⋯ + 𝑢q𝑦qx ≤ 𝑣Y𝑥Yx + 𝑣b𝑥bx + ⋯ + 𝑣n𝑥nx (𝑗 = 1, … , n)

(2.1)

per cui il peso ottimo (v*,u*) produce l’uguaglianza nella disequazione, dato che altrimenti la soluzione ottima potrebbe essere ingigantita. Per jÎ(1,…,n) si ha 𝐸P= 𝑗: 𝑢 O ∗𝑦 Ox = 𝑣I∗𝑥Ix n IŒY q OŒY (2.2)

Il sottoinsieme 𝐸P di 𝐸P è chiamato the reference set o the peer group del

DMU. È l’esistenza di questa collezione di efficienza delle DMU che forza la DMUad essere inefficiente. Il campione abbracciato da 𝐸P è chiamato

frontiera efficiente della DMU. 19

Il risultato ottenuto come soluzione ottimale per LP produce un insieme di pesi ottimali per DMU:

𝜃∗ = qOŒY𝑢O∗𝑦OP 𝑣I𝑥 IP n IŒY (2.3)

dalla formula di programmazione lineare il denominatore è 1, quindi 𝜃∗ = 𝑢 O∗𝑦OP q OŒY (2.4)

dove (𝑣∗, 𝑢) sono l’insieme dei pesi più favorevoli per la 𝐷𝑀𝑈 P .

𝑣I e 𝑢

O∗ sono rispettivamente il peso ottimale dell’elemento di input i e

dell’elemento di output r. Se si esamina ogni elemento 𝑣I𝑥

IP nell’input virtuale

(28)

𝑣

I∗𝑥IP n

IŒY (= 1)

(2.5)

si nota la relativa importanza di ogni elemento in riferimento al valore di ogni 𝑣I𝑥

IP. La stessa situazione vale per 𝑢O∗𝑦OP dove 𝑢O∗ rappresenta una misura

della relativa contribuzione di 𝑦OP al valore complessivo di 𝜃∗. Questi valori

non solo mostrano il contributo degli elementi alla valutazione delle DMU, ma mostrano anche in che misura lo fanno.

3.1.4 Production Possibility Set

Le analisi che costituiscono la possibilità di produzione sono fondamentali per la valutazione del modello CCR e per gli altri modelli che introdurrò in seguito.

L’insieme delle possibili combinazioni produttive è chiamata the production possibility set, il cui simbolo è P, ed è delimitata nello spazio dalle DMU che operano con maggiore efficienza.

Tutti i dati presi in considerazione sono non negativi, 𝑦x ≥ 0, ma è necessario che almeno un componente di ogni vettore di input e di output debba essere positivo, 𝑦x > 0, per ogni j = 1,…, n. Ogni DMU, quindi, dovrebbe avere almeno un valore positivo, sia in ingresso, sia in uscita. La coppia 𝑥, 𝑦 sarà, così, formata da input semi-positivi 𝑥Î 𝑅n e output 𝑦Î 𝑅q.

L’insieme P gode delle seguenti proprietà:

1. Ogni attività osservata 𝑥x, 𝑦x 𝑗 = 1, … , 𝑛 appartiene a P.

2. Se un’attività (x, y) appartiene a P, qualunque altra trasformazione 𝑥𝑡, 𝑦𝑡 appartiene a P, dove t è uno scalare positivo (per t > 0) qualsiasi.

3. Per un’attività (x, y) in P, qualunque altra attività semi-positiva (𝑥̅, 𝑦̅), con (𝑥̅ ≥ x ) e (𝑦̅ ≤ y) appartiene a P.

4. Qualsiasi combinazione lineare semi-positiva di attività in P appartiene a P.

(29)

Organizzando i dati nelle matrici X = (𝑥x) e Y = (𝑦x), si può definire la possibilità di produzione P che soddisfa le proprietà sopra descritte

𝑃 = 𝑥, 𝑦)| 𝑥 ≥ 𝑋𝜆, 𝑦 ≤ 𝑌𝜆, 𝜆 ≥ 0 (2.6)

dove 𝜆 è un vettore semi-positivo in 𝑅G.

La figura sottostante mostra un esempio tipico di production possibility set, per il caso single input e single output, così che m = 1 e s = 1.

Nell’esempio l’insieme possibile è determinato da B e la retta che parte dall’origine e attraversa B è la frontiera efficiente.20 La production possibility set è rappresentata dallo spazio sottostante la frontiera efficiente.

3.1.5 Il Problema Duale

Il modello CCR può essere rivisitato sotto due fasi, da qui l’appellativo duale: 1. La prima fase è riferita all’analisi e alla ricerca del valore q, ovvero

quel valore che rappresenta l’efficienza delle DMU osservate;

2. La seconda fase riguarda, invece, la definizione di una misura aggiuntiva volta ad esprimere l’efficienza paretiana, basata sull’analisi e sulla verifica di eccessi di input o di carenza di output (“slack”). 20 W.W.Cooper, L.M.Seiford and K.Tone, op. cit., pp 42-43 A C B D F E G H 0 1 2 3 4 5 6 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ve nd ite Dipendenti Frontiera efficiente Production Possibility Set

(30)

Il modello CCR, secondo quanto descritto prima, è formulato come un problema di programmazione lineare dove v è il vettore riga dei moltiplicatori degli input e u il vettore riga dei moltiplicatori degli output. Riscrivendo la soluzione LPo21sotto forma matriciale22

[Multiplier Form] 𝐿𝑃P max E.v 𝑢𝑦P (2.7) s.v. 𝑣𝑥P = 1 (2.8) −𝑣𝑋 + 𝑢𝑌 ≤ 0 (2.9) 𝑣 ≥ 0, 𝑢 ≥ 0 (3.0)

Dove 𝑣 e 𝑢 rappresentano rispettivamente il vettore riga dei moltiplicatori degli input e il vettore riga dei moltiplicatori degli output.

La Multiplier Form non è altro che lo stesso modello di quello analizzato in precedenza, (1.6) – (2.0), con la differenza di essere scritto in forma matriciale. 21 Massimizzazione LP o, vedi pp. 16 22 nella forma duale i pesi vengono considerati come variabili del modello, mentre nella programmazione lineare come vettori

(31)

Il problema duale di (LPo) è espresso con una variabile reale q ed un vettore

non-negativo, trasposto, di variabili 𝜆 = 𝜆Y, … … , 𝜆G, come segue:

[Envelopment Form] 𝐷𝐿𝑃P min q,– 𝜃 (3.1) s.v. 𝜃𝑥P− 𝑋𝜆 ≥ 0 (3.2) 𝑌𝜆 ≥ 𝑦P (3.3) 𝜆 ≥ 0 (3.4)

le possibili soluzioni della 𝐷𝐿𝑃P sono 𝜃 = 1, 𝜆P = 1, 𝜆x = 0 𝑗 ≠ 𝑜 . Quindi la soluzione ottimo, 𝜃∗, non è maggiore di 1. Tuttavia, sotto l’ipotesi

che i dati non devono essere uguali a 0, il vincolo (3.3) impone che 𝜆 non sia uguale a 0 perché 𝑦P ≥ 0 e 𝑦P ≠ 0. Dal vincolo (3.2) si arriva, così, alla

soluzione che q deve essere maggiore di 0. Allora:

0 ≤ 𝜃∗ ≤ 1 (3.5)

I vincoli della 𝐷𝐿𝑃P richiedono che l’attività (𝜃𝑥P, 𝑦P) rimanga in P, mentre l’obiettivo della 𝐷𝐿𝑃P è quello di cercare il valore minimo di 𝜃 tale da

ridurre 𝑥P radialmente verso 𝜃𝑥P pur rimanendo all’interno dell’insieme P. Ciò è in linea con l’obiettivo del problema duale. Infatti l’obiettivo della

𝐷𝐿𝑃P è cercare quell’attività (𝜃𝑥P, 𝑦P) appartenente all’insieme P che garantisca almeno il livello di output 𝑦P della DMUo in tutte le sue

componenti, riducendo radialmente e in maniera proporzionale il vettore degli input 𝑥P ad un valore che sia il più piccolo possibile.

Come evidenziato da Charnes, Cooper e Rhodes, l’importanza di scrivere il problema in forma duale è data da diverse considerazioni, quali:

(32)

• La forma duale garantisce un minore sforzo computazionale, in quanto la complessità del problema lineare cresce all’aumentare del numero dei vincoli. Mentre 𝐿𝑃P prevede un numero di vincoli uguali al numero di DMU del campione esaminato, il problema duale necessita solamente di (m + s) vincoli, pari al numero di input e output, generalmente inferiori al numero di DMU esaminate;

• La difficoltà nel trovare una soluzione al problema di massimizzazione degli slack;

• Favorisce l’interpretazione dei risultati, in quanto nel 𝐷𝐿𝑃P le soluzioni sono rappresentate dagli input e dagli output, mentre nel problema 𝐿𝑃P vengono considerati i pesi, che necessitano a loro volta di ulteriori valutazioni.

Lo scopo del problema duale è quello di cercare quell’attività appartenente all’insieme P che garantisca almeno il livello di output yo della DMUo

considerata, riducendo in misura proporzionale il vettore degli input xo ad un valore che sia il più piccolo possibile.

Si può quindi capire perchè un problema di massimizzazione venga trasformato, nella forma duale, in un problema di minimo: da un lato i vincoli del problema 𝐷𝐿𝑃P impongono all’attività (𝜃𝑥o; 𝑦o) di rimanere in P,

dall’altro l’obiettivo di 𝐷𝐿𝑃P è di cercare il valore minimo di 𝜃 tale da

ridurre 𝑥o radialmente verso 𝜃𝑥o rimanendo in P. Ciò è consono con

l’obiettivo di efficienza del modello CCR, secondo cui, dato un ammontare di output, si cerca quell’attività in P che riduce 𝑥o al valore più piccolo

possibile.

La prima fase conduce alla soluzione che il valore ottimo di 𝜃∗ è uguale al

valore ottimo della (LPo); tale valore ottimo rappresenta l’efficienza del

modello CCR ed è chiamata “Efficienza di Farrel”.

Tale valore 𝜃∗ è incluso nella seconda fase del modello, fase in cui si risolve

(33)

L’obiettivo della seconda fase è quello di trovare una soluzione che massimizza gli eccessi di input e le carenze degli output, detti slack, mantenendo il valore ottimo 𝜃 = 𝜃∗ .

Definendo gli slack nel seguente modo: • Eccesso di input: 𝑠˜ = 𝜃𝑥 P − 𝜆𝑋 • Carenza di output: 𝑠™ = 𝜃𝑥 P − 𝜆𝑌 si ha la seguente massimizzazione: max –,qš,q›𝑤 = 𝑒𝑠 ˜+ 𝑒𝑠(3.6) s.v. 𝑠˜ = 𝜃𝑥 P− 𝜆𝑋 (3.7) 𝑠™ = 𝜆𝑌 − 𝑦 P (3.8) 𝜆 ≥ 0, 𝑠˜ ≥ 0, 𝑠≥ 0 (3.9)

dove 𝑒 rappresenta un vettore di termini unitari, 𝑒 = 1, … ,1 così che 𝑒𝑠˜ =

𝑠I˜ n

IŒY e 𝑒𝑠™ = qOŒY𝑠O™.

La soluzione ottimo 𝜆∗, 𝑠˜∗, 𝑠™∗ della seconda fase è chiamata soluzione di

massimo slack, e se tale soluzione permette che 𝑠˜∗ = 0 𝑒 𝑠™∗ = 0, allora

tale determinazione è chiamata “zero-slack”.

Questa corrisponde ad un importante indicatore di efficienza, in quanto se viene soddisfatta lo zero-slack non è possibile incrementare gli output o risparmiare gli input senza modificare gli altri input o output.

Ecco che 𝜃∗ = 1 non è più sufficiente ad esprime la condizione di

(34)

Pertanto affinchè si possa ottenere la piena efficienza è necessario che vengano soddisfatte entrambe le condizioni:

I. 𝜃∗ = 1

II. tutti gli slacks sono 0

La prima di queste due condizioni è la cosiddetta “efficienza radiale” o “efficienza tecnica”23; (1 − 𝜃∗ ) è la riduzione proporzionale massima

consentita dalla possibilità di produzione; eventuali ulteriori riduzioni associati a “nonzero slacks” ridurranno necessariamente le proporzioni. Se, quindi, si rispetta tale vincolo si avrà la cosiddetta DMU efficiente in forma debole (o “Farrel efficiency”) che si posizionerà sulla frontiera efficiente senza tuttavia poter diminuire l’impiego di tutti i propri input senza alterare il mix produttivo.

Il rispetto di entrambe le condizioni porta all’efficienza “Pareto-Koopmans” o efficienza forte.

3.1.6 Confronto tra Efficienza nella (LPo) e nella (DLPo)

La definizione di efficienza data nel modello CCR sia nella forma (LPo), sia

(DLPo) esprimono lo stesso concetto di efficienza.

“Una DMU è pienamente efficiente se e solo se non è possibile migliorare

qualsiasi ingresso o uscita senza peggiorare un altro ingresso o uscita”24. Quindi si parla di efficienza forte quando oltre ad avere un livello di efficienza, 𝜃∗, pari ad 1, è anche zero slack.

Gli slacks 𝑠˜, 𝑠 sono le variabili che indicano di quanto i valori degli

input e degli output corrispondenti dovrebbero essere modificati per eliminare tutte le inefficienze.

23L’efficienza tecnica consiste nella capacità di massimizzare la quantità prodotta

attraverso i fattori produttivi a disposizione, ovvero nell’abilità a minimizzare la quantità di input necessaria per produrre una prefissata quantità di output. In questo senso, l’efficienza tecnica può essere orientata all’aumento dell’output (output approach) o alla riduzione dell’input (input approach).

(35)

Lo slack (o scarto) è associato alla forma duale del problema DEA.

I pesi (v,u) del problema di programmazione lineare (LPo) sono allo stesso

tempo moltiplicatori che trovano corrispondenza nei vincoli del problema duale

𝜃𝑥P− 𝑋𝜆 ≥ 0 (4.0)

𝑌𝜆 ≥ 𝑦P (4.1)

Per esprimere il concetto di non diversità tra le due forme, si può introdurre il concetto di “condizione di complementarietà degli scarti”, secondo cui data la soluzione ottima 𝑣∗, 𝑢 del problema di programmazione lineare (LP

o) e

𝜆∗, 𝑠˜∗, 𝑠™∗ del problema duale (DLP

o) si otterrà:

𝑣∗𝑠˜∗ = 0 e 𝑢𝑠™∗ = 0

Quindi, se ogni componente di 𝑣∗ o 𝑢 è positiva allora la componente

corrispondente 𝑠˜∗ o 𝑠™∗ deve essere pari a 0 e viceversa.

Per dimostrare la congruenza tra la nozione di efficienza nel problema di programmazione lineare (LPo) e il concetto di efficienza nel problema duale

(DLPo), si possono osservare le seguenti condizioni riguardanti il concetto di

efficienza delle DMU:

1. se 𝜃∗ < 1, allora la DMU è inefficiente per entrambe le definizioni,

dato che sia la (LPo), sia la (DLPo) hanno lo stesso valore ottimo 𝜃∗.

2. Se 𝜃∗ = 1 e gli slack sono diversi da 0 (𝑠˜∗ ≠ 0 o 𝑠™∗ ≠ 0), allora,

data la condizione di complementarietà degli scarti, le variabili 𝑣∗, 𝑢, corrispondenti agli slack positivi, devono essere pari a 0.

Quindi la DMU è inefficiente in forma debole, ovvero inefficiente secondo la definizione del problema di programmazione lineare e non duale.

3. Se 𝜃∗ = 1 e gli slack sono pari a 0 (𝑠˜∗ = 0 o 𝑠™∗ = 0), allora il

problema di programmazione lineare avrà una soluzione ottima positiva 𝑣∗ > 0, 𝑢> 0 e quindi la DMU è efficiente in forma

forte.25

(36)

3.1.7 CCR model: Output-oriented

Il modello analizzato fino ad ora è il cosiddetto modello input-oriented, basato sulla minimizzazione del livello degli input, con l’obiettivo di produrre almeno lo stesso livello di output. Tuttavia, come già evidenziato precedentemente, esiste un altro modello, il modello output-oriented, che ha, al contrario, lo scopo di massimizzare il livello degli output dato un determinato livello di input.

(DLPOo) max •,ž 𝜂 (4.2) s.v. 𝑥P− 𝑋𝜇 ≥ 0 (4.3) 𝜂𝑦P− 𝑌𝜇 ≤ 0 (4.4) 𝜇 ≥ 0 (4.5)

La soluzione ottimo della (DLPOo) può derivare direttamente dalla soluzione

ottimo del modello input-oriented, attraverso delle trasformazioni lineari. Definiti

𝜆 = 𝜇 𝜂 𝜃 = 1 𝜂

(37)

Con semplici passaggi di sostituzione, allora la (DLPOo) può essere scritta in questo modo: (DLPOo) min ¡,– 𝜃 (4.6) s.v. 𝜃𝑥P− 𝑋𝜆 ≥ 0 (4.7) 𝑦P− 𝑌𝜆 ≤ 0 (4.8) 𝜆 ≥ 0 (4.9)

tale formulazione è quella tipica del modello input-oriented (DLPo). Da ciò

si evince come le soluzioni ottimo dei due modelli sono tra loro collegate nel seguente modo:

𝜂∗ = 1

𝜃∗

𝜇∗ = 𝜆∗

𝜃∗

Lo slack (𝜏˜, 𝜏) del modello output-oriented definito da

𝑋𝜇 + 𝜏˜ = 𝑥 P

𝑌𝜇 − 𝜏™ = 𝜂𝑦 P

è relazionato al modello input-oriented nel seguente modo: 𝜏˜∗ =𝑠˜∗

𝜃∗

𝜏™∗ =𝑠™∗

𝜃∗

Come affermato precedentemente, 𝜃∗ ≤ 1 e di conseguenza 𝜂≥ 1; dove 𝜃

esprime il tasso di riduzione dell’input, mentre 𝜂∗ descrive la velocità di

massimizzazione dell’output.

Tutto ciò significa che maggiore è il valore di 𝜂∗, meno efficiente sarà l’entità

(38)

Dalla relazione che lega la (DLPo) e la (DLPOo) e viceversa, si può

concludere che un modello input-oriented sarà efficiente per qualsiasi DMU se e solo se è anche efficiente quando viene usato il modello output-oriented per valutare le sue prestazioni.

3.2 BCC Model

Sin dall'inizio degli studi DEA, sono state proposte diverse estensioni del modello CCR, tra le quali il modello BCC, creato da Banker, Charnes e Cooper.

La differenza sostanziale tra i due modelli consiste nel tipo di rendimento di scala considerato.

Il modello CCR si basa sull'assunzione di rendimenti di scala costanti con una frontiera produttiva rappresentata da una semiretta che passa per l’origine, come rappresentata in figura sottostante

il modello BCC, invece, si basa sull’assunzione di rendimenti di scala variabili, la cui frontiera è rappresentata da una funzione convessa.

A C B D F E G H 0 1 2 3 4 5 6 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ou tp ut Input Frontiera efficiente Production Possibility Set

(39)

I modelli BCC e CCR condividono delle proprietà, ma allo stesso tempo differiscono in quanto solo il modello BCC include la condizione di convessità 𝜆 x = 1 G xŒY (5.0) s.v. 𝜆x ≥ 0 ∀𝑗 (5.1)

Tale vincolo può essere scritto anche come 𝑒𝜆 = 1, dove e è un vettore riga con tutti gli elementi pari all’unità e 𝜆 è un vettore colonna con tutti gli elementi non negativi. Insieme alla condizione 𝜆x ≥ 0 ∀𝑗, ciò impone una

condizione di convessità sui modi possibili in cui le osservazioni per la DMU possono essere combinate.

Data questa variazione nella forma della frontiera efficiente, anche la Production Possibility Set (P) deve essere modificata, dato che la frontiera di produzione non è più una semiretta ma una funzione convessa.

A C B D F E G H 0 1 2 3 4 5 0 1 2 3 4 5 6 7 Ou tp ut Input Frontiera efficiente Production Possibility Set

(40)

La Production Possibility Set (P) definita da Banker, Charnes e Cooper è definita come:

𝑃U = 𝑥, 𝑦 𝑥 ≥ 𝑋𝜆, 𝑦 ≤ 𝑌𝜆, 𝑒𝜆 = 1, 𝜆 ≥ 0 dove:

• 𝑋 = 𝑥x ∈ 𝑅n\G 𝑒 𝑌 = 𝑦

x ∈ 𝑅q\G sono le osservazioni sugli input

e output dati; • 𝜆 ∈ 𝑅G

• 𝑒 è un vettore riga con elementi uguali ad 1

L’elemento di discontinuità rispetto al modello CCR è rappresentato dalla condizione 𝑒𝜆 = 1, che indica come la sommatoria dei diversi 𝜆𝑗 sia pari all’unità. Questa condizione, insieme a 𝜆 ≥ 0 impone una condizione di convessità sui possibili modi con cui le DMU possono essere combinate.

2.2.1 BCC model: input-oriented

Il modello input-oriented valuta l’efficienza delle DMU risolvendo il seguente problema di programmazione lineare:

(BCCo) min ¡¥,–𝜃U (5.2) s.v. 𝜃U𝑥P − 𝑋𝜆 ≥ 0 (5.3) 𝑌𝜆 ≥ 𝑦P (5.4) 𝑒𝜆 = 1 (5.5) 𝜆 ≥ 0 (5.6)

(41)

Anche in questo caso si può riscrivere il problema in forma duale: max E,v,v¦𝑧 = 𝑢𝑦P− 𝑢P (5.7) s.v. 𝑣𝑥P = 1 (5.8) −𝑣𝑋 + 𝑢𝑌 − 𝑢P𝑒 ≤ 0 (5.9) 𝑣 ≥ 0, 𝑢 ≥ 0 (6.0)

dove v e u sono vettori e z e 𝑢P sono scalari, con 𝑢P come variabile libera in grado di assumere qualsiasi valore (positivo, negativo o nullo), corrispondente al vincolo di convessità (5.5) della programmazione lineare. L’equivalente modello di programmazione frazionaria si ottiene dal problema duale: max𝑢𝑦P− 𝑢P 𝑣𝑥P (6.1) s.v. 𝑢𝑦x − 𝑢P 𝑣𝑥x ≤ 1 𝑗 = 1, … , 𝑛 (6.2) 𝑣 ≥ 0, 𝑢 ≥ 0 (6.3)

Da ciò si può vedere come una differenza importante tra il BCC model e il CCR model consiste nella variabile libera 𝑢P, la variabile duale associata al vincolo 𝑒𝜆 = 1, non presente nel modello CCR.

Il problema primale (BCCo) è risolto usando la procedura a due fasi,

similarmente al modello CCR.

Nella prima fase si minimizza 𝜃U per trovare la soluzione ottimo 𝜃U = 𝜃∗ U;

(42)

slack (eccessi di input o carenze di output), mantenendo il valore ottimo ottenuto nella prima fase 𝜃U = 𝜃∗

U.

La soluzione ottima sarà data da (𝜃∗

U, 𝜆∗, 𝑠˜∗, 𝑠™∗), dove 𝑠˜∗, 𝑠™∗

rappresentano rispettivamente i massimi eccessi di input e di carenza di output. Tutte le soluzioni che non soddisfano 𝜃∗

U = 1, 𝑠˜∗ = 0, 𝑠™∗ = 0 sono

inefficienti.

3.2.1 BCC model: output-oriented

Il modello output-oriented viene rappresentato in questo modo: (BCC-Oo) max •¥,– 𝜂U (6.4) s.v. 𝑋𝜆 ≤ 𝑥P (6.5) 𝜂U𝑦P − 𝑌𝜆 ≤ 0 (6.6) 𝑒𝜆 = 1 (6.7) 𝜆 ≥ 0 (6.8)

La forma duale del modello associata alla forma primale (BCC-Oo) è espressa

come: min E,v,E¦𝑧 = 𝑣𝑥P − 𝑣P (6.9) s.v. 𝑢𝑦P = 1 (7.0) 𝑣𝑋 − 𝑢𝑌 − 𝑣P𝑒 ≥ 0 (7.1) 𝑣 ≥ 0, 𝑢 ≥ 0 (7.2)

(43)

Infine possiamo rappresentare l’equivalente modello BCC di programmazione frazionaria: min𝑣𝑥P− 𝑣P 𝑢𝑦P (7.3) s.v. 𝑣𝑥x − 𝑣P 𝑢𝑦x ≥ 1 𝑗 = 1, … , 𝑛 (7.4) 𝑣 ≥ 0, 𝑢 ≥ 0 (7.5)

con 𝑣P variabile libera.26

2.3 Additive Model

Il modello additivo fu elaborato da Charnes, Cooper, Golany e Stutz nel 1985. A differenza del CCR model e del BCC model, che distinguono il modello input-oriented e il modello output-oriented, il modello additivo non prevede necessariamente la distinzione a priori tra modelli input-oriented e output-oriented, in quanto si possono combinare entrambi gli orientamenti nel singolo modello additivo.

Esistono degli elementi in comune con il modello CCR e BCC; infatti senza il vincolo di convessità, il modello additivo considererà una DMU efficiente se e solo se essa è considerata efficiente dal modello CCR.

Similarmente, per il modello BCC una DMU sarà efficiente se e solo se sarà considerata tale dal modello additivo.27

Una prova di questa ultima considerazione è dimostrata da Ahn, Charnes e Cooper, secondo i quali è sufficiente notare che il punteggio di efficienza 𝜃∗

non è misurato esplicitamente, ma è presente implicitamente negli slack 𝑠˜∗ 𝑒 𝑠™∗. Inoltre, mentre 𝜃 riflette solo l’efficienza debole di Farrell,

26 W.W.Cooper, L.M.Seiford and K.Tone, op. cit., pp 88-94 27 W.W.Cooper, L.M.Seiford and K.Tone, op. cit., pp 89

(44)

l’obiettivo in (ADDo) riflette tutte le inefficienze che il modello può

identificare sia negli input, sia negli output.28

Il modello additivo basa la sua valutazione di efficienza nella massimizzazione degli slack (𝑠˜∗, 𝑠™∗), invece che analizzarli solo in una

seconda fase. È caratterizzato da rendimenti di scala variabili, ipotesi che fa apparire la forma della frontiera efficiente identica a quella del modello BCC. Ci sono vari tipi di modelli additivi, in quanto ci sono modelli che usano la condizione di convessità e altri che la omettono. Quello qui esposto considera la condizione di convessità 𝑒𝜆 = 1, condizione necessaria se si considerano i rendimenti di scala variabili.

(ADDo) max –,qš,q›𝑧 = 𝑒𝑠 ˜+ 𝑒𝑠(7.6) s.v. 𝑋𝜆 + 𝑠˜ = 𝑥 P (7.7) 𝑌𝜆 − 𝑠™ = 𝑦 P (7.8) 𝑒𝜆 = 1 (7.9) 𝜆 ≥ 0, 𝑠˜ ≥ 0, 𝑠≥ 0 (8.0) 28 A.I Ali e L.M. Seiford (1990), Translation Invariance in Data Envelopment Analysis, Operation Reaserach Letters 9, pp. 403-405

(45)

Il problema duale è espresso come segue: min E,v,v¦𝑤 = 𝑣𝑥P − 𝑢𝑦P+ 𝑢P (8.1) s.v. 𝑣𝑋 − 𝑢𝑌 − 𝑢P𝑒 ≥ 0 (8.2) 𝑣 ≥ 𝑒, 𝑢 ≥ 𝑒 (8.3) 𝑢P𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑎

La production possibility set viene definita in questo modo:

𝑃U = 𝑥, 𝑦 𝑥 = G 𝑋x

xŒG 𝜇x, 𝑦 = 𝑌x

G

xŒG 𝜇x, ∀𝜇x ≥ 0, x𝜇n = 1

Da un punto di vista grafico, la rappresentazione della frontiera di produzione del modello additivo è uguale alla forma della frontiera del modello BCC.

Vediamo come la DMU D può essere valutata. Le frecce che si trovano disegnate in corrispondenza del punto D rappresentano i vettori 𝑠˜ (freccia

orizzontale) e 𝑠™ (freccia verticale). Questo modello considera

simultaneamente l’eccesso di input e il deficit di output nel raggiungere un punto sulla frontiera efficiente che sia più distante da D.

Come si può notare dal grafico, infatti, l’adozione delle variabili slack, se positive, indicano, graficamente, la distanza e la direzione che l’unità inefficiente deve percorrere per raggiungere l’ottimo. Per raggiungere

A B C D 0 1 2 3 4 5 6 7 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ou tp ut Input 𝑠+ 𝑠−

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