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Il principio della freedom of contract (libertà o autonomia contrattuale) si basa sull'assunto che il contratto sia il risultato dell'accordo della volontà delle parti, che queste siano libere di concluderlo o di non concluderlo, e di determinare liberamente ed integralmente il contenuto, senza interferenze da parte del legislatore, del giudice o dell'autorità amministrativa, giustificate dall'esigenza di tutelare gli interessi di una parte, normalmente quella più debole, o l'interesse pubblico. Dal 1870 al 1980 la portata di tale principio è stata notevolmente ridotta, ma negli ultimi anni si sta assistendo ad una inversione di tendenza, che vede la freedom of contract riacquistare sempre maggiori spazi. Il secolo d'oro del contratto fu quello coincidente con il periodo di laissez-faire; già alla fine del '700 i principi tradizionali di eguaglianza nello scambio e di equilibrio nelle contrattazioni erano stati superati dall'esigenza di rispettare la volontà dei singoli, per assicurare ai traffici e commerci un'area abbastanza vasta di libertà ed autonomia, sottratta a forme di controllo troppo incisive. Legati all'influsso delle massime di equity sulla disciplina del contratto, quei principi vengono percepiti come strumento di arbitrio che impediscono agli operatori di confidare nella certezza del diritto e di assegnare ai propri rapporti un assetto corrispondente ai loro programmi economici. Le Corti di equity , in particolare,non dovevano intervenire nell'assetto degli interessi realizzato dal contratto in materia di valutazione del prezzo, in quanto solo il consenso delle parti doveva considerarsi parametro di valutazione del “giusto prezzo” senza alcun riguardo alle natura delle cose medesime, al loro valore intrinseco, né tanto meno il prezzo di mercato. Da questa premessa,conseguirebbe la conclusione che ciascuno è obbligato (in coscienza) ad eseguire il contratto che ha stipulato, anche se esso risulta per lui oneroso89.

La sostituzione del valore riconosciuto dalle parti al valore intrinseco della cosa che è oggetto del contratto, l'impenetrabilità del contratto (inteso come affare privato dei contraenti) ad ogni intervento esterno, la superfluità (se non addirittura inopportunità) di un controllo dell'affare operato sulla base dei principi di equity, l'indifferenza dello sforzo sostenuto dalla singola parte per adempiere le obbligazioni volontariamente assunte, sono tutte manifestazioni di quella teoria della volontà che diventerà presto il dogma della sanctity of contract.

L'idea di contratto, inteso come espressione dell'eguale potere di obbligarsi riconosciuto alle parti, tramonta alla fine del XIX secolo, in coincidenza del tramonto del laissez-faire, dell'affermazione

del principio di uguaglianza sostanziale (oltre che formale), della perdita di importanza del sistema dell'equity.

Secondo Atiyah90 il declino del contratto può essere inteso in tre accezioni diverse: 1) declino come

perdita di rilevanza del ruolo del contratto nella società moderna; 2) declino come sostituzione della libera scelta che dà luogo all'acquisizione di diritti (o altre posizioni soggettive favorevoli), con una scelta non volontaria del destinatario e imposta dall'intervento legislativo; 3) declino della responsabilità fondata sulla promessa (expectation) di fronte alla responsabilità fondata sull'affidamento (reliance) o sul benefit (unjust enrichment o restitution): la tutela dei reliance e dei

restitution interest è infatti riconosciuta anche quando il contratto non sia stato concluso e pertanto

non vi sia stata formalmente alcuna promessa. Per questo Atiyah preferisce parlare di law of

contractual obligations piuttosto che di law of contract. La portata della freedom of contract è stata

compromessa dal legislatore, dalle Corti e dalle autorità amministrative.

Tuttavia, a seguito della rinascita di idee economiche liberistiche si è assistito ad un graduale ritorno ai principi del libero mercato ed alla teoria classica del contratto. Molte imprese in mano pubblica sono state privatizzate, con conseguente sviluppo di un'economia più competitiva e di maggior libertà di scelta dei consumatori, che non hanno più bisogno di essere tutelati da regole contrattuali eccessivamente rigide , potendo scegliere tra più imprese concorrenti. La necessità di un controllo pubblico si profilerebbe solo in presenza di monopoli. Il rinnovato scenario depone a favore delle libere forze di mercato piuttosto che a favore dei precedenti interventi dirigistici. La law of contract non deve essere più indiscriminatamente usata come strumento di redistribuzione delle ricchezze, occorre prima analizzare il mercato, poi valutare se esistono ragioni sufficienti, e necessarie, per interferire con le sue regole91.

90 Atiyah, “The rise and fall of Freedom of Contract”, Oxford, 1985 , p. 717.

CAPITOLO QUARTO

European private law

1. Le motivazioni di un “Quadro comune di riferimento”

Per comprendere il contesto in cui è maturato il progetto di Common Frame of Reference, bisogna iniziare col prendere atto delle evidenti difficoltà di perseguire una uniformazione o, quantomeno, un'armonizzazione delle regole giuridiche nei rapporti interprivati sperimentata attraverso le tradizionali fonti comunitarie, che al di là del loro diretto impatto normativo, non sono state capaci di riformare le tecniche interpretative e gli strumenti applicativi del diritto privato.

Tale inadeguatezza e la necessità di realizzare un mercato unico interno coincidente con l'intero territorio dell'Unione (obiettivo fissato chiaramente dall'art. 3, lett. c, del Trattato istitutivo Ce, come riformulato, in luogo della finalità originaria di realizzare un ridotto mercato comune nel cui ambito fossero semplicemente facilitati gli scambi tra i paesi aderenti) si sono rivelate un potente stimolo, nei confronti degli Organi comunitari, al fine di progettare un'azione sempre più decisa in direzione di una europeizzazione del diritto privato dei vari Stati membri, valorizzando quei progetti inizialmente chiusi nel poco accessibile e conosciuto ambito delle proposizioni scientifiche e dottrinali.

Le iniziative mirate a realizzare un diritto contrattuale europeo sembrano potersi giustificare, sul piano della legittimità formale, alla luce delle competenze che l'art 100 (ora art. 94) a l'art. 100 A (ora art. 95) del Trattato istitutivo Ce attribuiscono al Consiglio, riconoscendogli il potere di adottare direttive volte a operare il ravvicinamento delle “disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano una incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune” o, in ogni caso, di adottare misure volte a consentire tale riavvicinamento. Va inoltre considerato l'impatto che , ai fini del processo di armonizzazione del diritto privato, appare in grado di spiegare l'obiettivo perseguito dall'Unione Europea e la specifica competenza attribuita al Consiglio, ai sensi degli artt. 61, lett. c, e 65 del Trattato istitutivo Ce, di adottare misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, allo scopo di istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Non vi è dubbio che l'impulso verso il superamento delle barriere degli ordinamenti nazionali sia venuto dalla necessità di realizzare il mercato interno. Il differente trattamento dei rapporti giuridici di diritto privato nei diversi paesi è stato considerato come un costo, un ostacolo alla realizzazione

del mercato interno e, quindi, al libero scambio di merci, servizi, capitali, lavoro all'interno dell'Unione.

Il processo di armonizzazione delle regole giuridiche consente la semplificazione delle stesse, attualmente disperse nei vari codici e leggi speciali nazionali. Le regole uniformi esprimono anche l'ulteriore funzione di prevenire le liti, di assicurare una omogenea applicazione delle regole ai conflitti insorti, di contribuire a superare la concorrenza tra ordinamenti nazionali, o la prevalenza dell'uno sull'altro, o la rincorsa alla legge nazionale più conveniente.

Esistono però alcuni limiti all'unificazione del diritto contrattuale europeo. Un primo limite consiste nel fatto che le misure di armonizzazione devono comunque rispettare i principi giuridici cui si informa l'ordinamento comunitario. Va tenuto conto che al di là delle specifiche competenze ed obiettivi assegnati, la Comunità deve rispettare il principio di sussidiarietà e proporzionalità, di cui all'art. 5 Trattato istitutivo Ce e al protocollo n° 30 ad esso allegato, potendo intervenire solo se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possano essere adeguatamente realizzati dagli Stati membri, a causa delle dimensioni e degli effetti del programmato intervento. Un altro limite è dovuto al fatto che il mercato unico pone una stretta correlazione tra attività economica e forme giuridiche, prospettando l'armonizzazione in funzione ancillare rispetto alle esigenze economiche. In una prospettiva futura poi , tenendo conto che interi settori del diritto privato (ad esempio, i rapporti successori e i rapporti di famiglia) rimangono sostanzialmente ai margini di questo processo evolutivo , si potrebbe creare un diritto privato europeo fortemente squilibrato nelle sue parti92.