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Introduzione

Nel contesto generale di una nuova ‘corsa alle risorse’ diretta verso il continen- te africano e di un allarme crescente per i processi di land grabbing in atto, anche in Burkina Faso la situazione della legislazione fondiaria è in trasformazione. In un paese relativamente poco coinvolto dagli investimenti esteri sulla terra e sulle risorse naturali - con l’eccezione di quelli legati al settore dell’estrazione aurifera, in rapida crescita - si assiste tuttavia all’emergere di mercati fondiari monetarizza- ti, di una domanda interna alimentata da investitori privati locali, e di una nuova enfasi sulla necessità, reale o presunta, di garantire maggiore sicurezza a transa- zioni e diritti finora regolamentati prevalentemente in ambito consuetudinario. Parallelamente, grazie a una crescente istituzionalizzazione dell’approccio di ge- nere, la questione dell’accesso delle donne alla terra è sollevata con nuovo vigore da rappresentanti delle istituzioni come da molti soggetti della società civile.

Questo saggio tenta di analizzare le contraddizioni e le opportunità prodotte dall’incrocio di queste linee di trasformazione. Dopo aver rievocato sinteticamen- te l’evoluzione storica della questione fondiaria dal governo di Sankara ai giorni nostri, esso analizza le caratteristiche essenziali dell’approccio di ‘messa in sicu- rezza fondiaria’, attualmente dominante: dagli elementi di continuità e di discon- tinuità con approcci precedenti alle critiche ad esso rivolte. In una seconda parte, si tratta della questione dell’accesso delle donne alla terra, tanto nei contesti rurali sottoposti al diritto ‘tradizionale’ quanto nei casi di terre infrastrutturate e attri- buite con procedure più formalizzate. Infine, il saggio si conclude prendendo in considerazione le opportunità e i paradossi scaturiti dalle innovazioni legislative recenti, in cui la parità di genere nell’accesso alle risorse e alla terra è ufficialmen- te inserita tra gli obiettivi politici da promuovere e da raggiungere, ma rischia al tempo stesso di essere ostacolata dall’impostazione su cui i nuovi provvedimenti si basano.

Dalla riforma agraria alla sécurisation foncière

Il 4 agosto 1984 la rivoluzione burkinabé aveva un anno esatto: Thomas San- kara, capitano dell’esercito voltaico appartenente all’ala radicale, aveva preso il potere nell’agosto precedente e instaurato un governo ‘rivoluzionario’, di orien- tamento popolare e anti-imperialista (secondo le parole d’ordine del Discorso di Orientamento Politico pronunciato in ottobre). Un governo in cui i ministri si chiamavano camarade (compagno), il regime promuoveva comitati rivoluzionari in ogni villaggio, e il paese abbandonava la sua denominazione di sapore coloniale (l’“Alto Volta”, che ci ricorda come l’esplorazione geografica del XIX secolo, e più nello specifico la ricostruzione dei corsi dei fiumi, segnino in profondità la costruzione del territorio africano in epoca moderna) e attingeva alle lingue na- zionali per rinominare se stesso e le sue principali istituzioni, procedendo così a un effimero rinnovamento dello slancio che aveva animato i leader politici pana- fricanisti già due decenni prima. Ma uno degli atti simbolicamente più importanti del nuovo governo è stato appunto la promulgazione della legge di Riorganizza- zione Agraria e Fondiaria (RaF): in linea con le idee di trasformazione radicale

della società promosse dal regime, il preambolo della prima versione della RaF

proclama ad esempio “gli obiettivi rivoluzionari dell’autosufficienza alimentare e del diritto alla casa per tutti”, denunciando che sino a quel momento “il diritto fondiario e agrario del Burkina Faso era segnato dal sigillo borghese e feudale e dunque utilizzato contro le masse laboriose”1. Risolutamente contraria tanto ai titoli di proprietà individuale, quanto al diritto consuetudinario, la nuova legi- slazione stabiliva il controllo statale di tutte le terre site entro i confini nazionali, attraverso la creazione del demanio fondiario nazionale.

Il governo di Sankara ebbe breve durata e una tragica fine, e il Burkina Faso co- nobbe, dopo il 1987, una fase di “rettifica” degli ideali rivoluzionari e di progres- sivo riallineamento alle aspettative della comunità internazionale e dei donatori. La RaF, emendata per ben due volte negli anni ’90 per moderarne alcuni eccessi

e aprire parzialmente alla proprietà individuale della terra (un processo di “rilet- tura” volto a una sua terza modifica è tuttora in corso), è rimasta sostanzialmente lettera morta nei contesti rurali – ovvero nella grande maggioranza del territorio nazionale – in cui l’accesso alla terra e le transazioni fondiarie hanno continuato a modellarsi attorno al diritto consuetudinario. Tallet (2009) nota come, nonostan- te il “volontarismo politico” degli slogan sankaristi riguardanti l’accesso alla terra come mezzo di produzione (“la terra a colui che la lavora!”) abbia lasciato trac- ce durature nella dialettica tra autoctoni e migranti nelle zone di colonizzazione agricola, il quadro legale predisposto dalla RaF sia rimasto inapplicato al di fuori

Formalizzare i diritti, riconciliarsi con la legittimità. 97 dei contesti urbani e peri-urbani. Effetto ugualmente limitato ebbe l’azione delle Commissions Villageoises de Gestion des Terroirs (CVgt), incaricate dalla legge

della gestione locale delle terre rurali.

Il dibattito sulle politiche fondiarie in ambito rurale si è riaperto alla fine degli anni ’90, con l’avvio di programmi sperimentali di promozione della sicurezza fondiaria in alcune zone selezionate, come la Provincia centrale del Ganzourgou e – poco più tardi – il Dipartimento occidentale di Padéma. Ma rispetto a due decenni prima, il clima è cambiato, e i discorsi attorno a cui si strutturano le politiche pubbliche e l’azione delle agenzie internazionali e degli attori dello svi- luppo appaiono profondamente trasformati. A livello nazionale, ma in maniera analoga a ciò che accade nel resto dell’Africa francofona, sono iniziati i processi di decentramento amministrativo che portano in pochi anni alla comunalizzazione completa del territorio. A livello internazionale, l’ortodossia economicista – do- minante nella Banca Mondiale fino a tutti gli anni ’80 – che promuoveva l’indivi- dualizzazione e la privatizzazione della terra come strumenti privilegiati per la lot- ta alla povertà e l’aumento della produttività agricola, entra parzialmente in crisi: le esperienze realizzate in tal senso mostrano i loro limiti, mentre l’orientamento a favore di approcci partecipativi e bottom-up nella progettazione allo sviluppo sembra prevalere, nel contesto di un “aiuto decentralizzato” che ha sostituito i macroprogetti infrastrutturali ispirati alle teorie della modernizzazione.

Nei decenni a cavallo tra il XX e il XXI secolo, non è dunque più di attualità l’idea di riforma agraria come strumento di redistribuzione e di trasformazione sociale radicale; sul fronte opposto, anche l’ottimismo liberista e modernizzato- re, che, dalla tarda epoca coloniale (Berry 2003) passando per la teorizzazione della “tragedia dei commons” (Hardin 1968) fino alle politiche di aggiustamento strutturale, propone il mercato e la proprietà individuale come soluzione per una gestione ottimale delle risorse e della terra, appare notevolmente ridimensionato - nonostante alcune tardive rivisitazioni come quella di De Soto (2000). Il discorso prevalente è invece ormai ispirato all’approccio della messa in sicurezza fondiaria (sécurisation foncière), secondo il quale la cartolarizzazione integrale dei diritti sulla terra non è più una priorità: piuttosto, secondo Toulmin (2008: 17-18),

c’è urgente necessità di metodi più semplici per rendere sicuri i diritti fondiari e di proprietà. Questi metodi devono anche essere tagliati su misura per ogni particolare contesto locale (…), riconoscere la diversità e la tendenza a sovrapporsi dei diritti sulla terra, e tenere in considerazione l’importanza della proprietà collettiva.

L’attenzione alla dimensione locale e ai regimi di accesso esistenti in ogni con- testo è evocata anche in un documento edito dall’International Institute for Envi- ronment and Development sulla regolazione delle transazioni fondiarie nel Bur- kina Faso occidentale: in esso si fa appello alla “progressiva messa in luce di una

realtà socialmente ammessa e regolata localmente”, e allo svolgimento di dibattiti locali “per un chiarimento dei punti di riferimento di ciò che è corretto o non corretto (accettabile o non accettabile)” (Mathieu et al. 2003: 23); al tempo stesso si fa riferimento alla connotazione sociale dell’approccio della messa in sicurezza fondiaria, finalizzato ad armonizzare gli obiettivi economici di investimento agri- colo e di aumento dei redditi rurali con la “coabitazione e la pace tra categorie e gruppi sociali diversificati” (ivi: 21).

Il principale strumento attraverso cui, perlomeno in Africa occidentale, la nar- razione della sicurezza fondiaria ha preso forma e ha potuto diffondersi e dispie- gare i suoi effetti è il Plan Foncier Rural (PFr, ovvero una mappa fondiaria rurale):

approccio sperimentato in tre diversi paesi – la Costa d’Avorio e il Benin oltre che il Burkina Faso – esso consiste in “una procedura di identificazione e di cartogra- fia dei diritti fondiari locali, che mira a chiarire la situazione fondiaria attraverso una ‘fotografia’ dei diritti esistenti e attorno a cui vi è consenso alla scala locale” (Lavigne Delville 2009: 70). A seconda del quadro istituzionale e delle normative, tale procedura può portare al riconoscimento giuridico dei diritti identificati (o di alcuni di essi) ed è generalmente accompagnata dalla creazione di istanze lo- cali – commissioni e comitati a livello comunale e/o di villaggio – incaricate della gestione quotidiana delle questioni fondiarie.

Progetti localizzati e politiche nazionali

In Burkina Faso, il PFr è stato sperimentato a partire dal 1999 nella Provincia

centrale del Ganzourgou, ossia in un contesto certamente non “neutrale”, ben- sì segnato in profondità dalla storia dei precedenti interventi statali (attraverso l’Autorité pour l’Aménagement des Vallées des Volta, AVV, operante tra il 1974 e

il 1990) volti a favorire l’occupazione della valle del Nakambé, scarsamente col- tivata e tardivamente bonificata dall’oncocercosi, da parte di contadini migranti con l’obiettivo di aumentare la produzione cotoniera. Il PFr è intervenuto dunque

in un contesto territoriale disomogeneo: da un lato, questo comprendeva zone a prevalenza di contadini autoctoni, in cui dominavano il campo della legittimità e il diritto consuetudinario sulla terra; dall’altro, vi erano zone di colonizzazione agricola caratterizzate da un’alta densità di migranti alloctoni, a cui l’AVV aveva

attribuito terreni di abitazione e parcelle agricole, e da una più debole influenza esercitata dalle chefferies legittime (in alcuni casi, l’operato dell’ AVV aveva pro-

vocato una riconfigurazione delle competenze consuetudinarie sulla terra favo- rendo i capi tradizionali più propensi a collaborare con lo Stato). Come rileva Jacob (2009), i risultati dell’intervento del PFr si sono notevolmente discostati dal

semplice – e semplicistico – obiettivo dichiarato di riconoscimento dell’esistente: riappropriato dai rappresentanti delle élite religiose e tradizionali locali, che ne

Formalizzare i diritti, riconciliarsi con la legittimità. 99 hanno impedito alcune derive attraverso soluzioni istituzionali di compromesso, esso è però stato reso operativo seguendo scelte e interpretazioni più favorevoli ai diritti dei migranti alloctoni, e come tale è stato percepito dai diversi gruppi coin- volti. In effetti, se da un lato i contadini migranti vi hanno visto una soluzione alla propria “insicurezza ontologica” (ivi: 174) e allo stato di incertezza seguito alla conclusione dell’intervento AVV un decennio prima, il PFr ha tuttavia richiesto di

chiarire le situazioni ambigue e approssimative, di esplicitare – e compromettere – la sovrapposizione implicita di diversi livelli di diritti su cui la pace sociale e la composizione di interessi divergenti aveva potuto fondarsi: nel medio periodo, ciò ha comportato l’insorgere di nuove controversie e la penalizzazione di catego- rie, come gli allevatori peul transumanti, i cui diritti sono più difficili da recensire e cartografare (ivi: 182-7).

Un altro tentativo localizzato di applicazione della logica della messa in sicu- rezza fondiaria ha avuto luogo alcuni anni più tardi (dal 2004) nel dipartimento occidentale di Padéma, all’interno del più vasto ambito di azione del Program- me de Développement Local de l’Ouest, il progetto di sviluppo locale attuato dal Ministero dell’agricoltura (e sostenuto finanziariamente dalla cooperazione francese, attraverso l’Agence Française de Développement e il Fonds Français pour l’Environnement Mondial) in diverse province dell’Ovest del paese, di cui l’Opération Pilote de Sécurisation Foncière (OpsF) ha rappresentato la compo-

nente fondiaria.

Come ampiamente documentato da una parte di letteratura in materia (Paré, Tallet 1999; Zongo 2005; Mathieu 2007), le regioni occidentali erano – e sono tuttora – considerate più soggette al rischio di conflitti legati all’accesso alla ter- ra, soprattutto per la presenza della ‘frontiera agricola’, l’intensificazione della coltura del cotone, la pressione demografica, la presenza importante di allevatori transumanti, lo sviluppo di transazioni commerciali non regolamentate sulla terra e, ultimamente, i flussi della diaspora burkinabé conseguenti alla crisi politica in Costa d’Avorio. L’OpsF ha tentato, analogamente al PFr e ad altri programmi di

sviluppo locale e di gestione dei terroir2, un’operazione di censimento e di carto- grafia dei diritti esistenti, mirando in particolare all’esplicitazione e alla formaliz- zazione degli accordi di prestito (in modo da prevenire le operazioni di ritiro delle terre, rivendicate spesso dai coltivatori autoctoni più giovani che contestano la va- lidità degli accordi informali con i migranti stipulati dalle generazioni preceden- ti); essa ha previsto la creazione di “gruppi di riflessione” locali, incaricati di redi-

2 Il termine terroir indica una porzione di territorio caratterizzata da una certa coerenza o specificità

di ordine paesaggistico, agricolo e produttivo, o culturale. Nel linguaggio politico burkinabé, la

gestion des terroirs indica un approccio di gestione delle terre rurali affermatosi dopo le riforme

fondiarie degli anni ’80 e caratterizzatosi più tardi in senso “partecipativo” e decentralizzato (cfr. Engberg-Pedersen 1995; Batterbury 1998).

gere delle proposte di messa in sicurezza fondiaria da sottomettere alle assemblee competenti di villaggio o di dipartimento, e in realtà parzialmente trasformatisi in micro-istanze di risoluzione delle controversie. L’OpsF ha dunque inaugurato

una riflessione sulle modalità e gli strumenti necessari localmente per prevenire il ritiro delle terre e la violazione degli accordi fondiari; essa ha tuttavia concentrato la propria azione sul ritiro delle terre ai contadini alloctoni o migranti, suscettibile di generare conflitti di rilevanza pubblica e di evocare contrapposizioni etniche o comunitarie; mentre, come sottolineano Arnaldi di Balme et al. (2010: 68-75), i casi di ritiro delle terre alle donne o ai cadetti del lignaggio suscitavano minore allarme, si risolvevano prevalentemente all’interno dell’ambito familiare e non hanno ricevuto analoga attenzione da parte degli operatori.

Gli stessi autori evidenziano come, nonostante un approccio più attento al pluralismo dei diritti esercitati da attori diversi sulle stesse porzioni di terra, an- che nel caso dell’OpsF la logica orientata all’emersione delle dinamiche implicite

abbia operato una forzatura notevole sull’economia morale dei prestiti di terre tra autoctoni e migranti: esigendo l’esplicitazione anticipata della durata degli accordi di prestito e dell’entità delle compensazioni, tale approccio non consi- dera che il dovere implicito di gratitudine e la valutazione continua delle qualità sociali e morali del prestatario da parte di chi concede la terra (valutazione a cui è subordinato il rinnovo del prestito) rientrano nel novero degli strumenti consuetudinari volti a garantire flessibilità e integrazione pur riconoscendo cen- tralità politica e simbolico-rituale agli autoctoni (ivi: 73-74). Inoltre, anche in questo caso la concretizzazione dell’approccio di messa in sicurezza fondiaria è largamente dipesa dagli attori locali di cui ha intersecato interessi e convogliato strategie: la presunta o reale rappresentatività dei gruppi di riflessione, l’appro- priazione degli interventi da parte degli operatori e di alcuni mediatori locali, la difficile ricezione di un intervento teoricamente volto a “riconciliare con la legit- timità” ma in realtà percepito come sbilanciato a favore dei migranti, gli effetti di anticipazione prodotti durante l’intervento (che in alcuni casi hanno portato ad accelerare il ritiro delle terre anziché prevenirlo) sono tutti fattori che hanno plasmato la percezione e l’applicazione del modello teorico di messa in sicurezza fondiaria.

Negli stessi anni in cui l’OpsF è attiva nel dipartimento di Padéma, la questione

della sicurezza fondiaria assume ormai una dimensione nazionale: tra il 2004 e il 2005 prendono inizio i dibattiti e le negoziazioni che portano all’elaborazione di un approccio nazionale sulla sicurezza fondiaria, sancito nel 2007 con l’approva- zione del documento di Politique Nationale de Sécurisation Foncière en Milieu Rural (PnsFMr nell’acronimo orginale). Rapidamente, e con l’appoggio di nuovi

attori di peso come il Millennium Challenge Account, agenzia della cooperazione statunitense che ha aperto una rappresentanza nel paese dal 2008, concentrando i propri interventi sulla promozione dell’imprenditoria rurale e sulla stabilizzazio-

Formalizzare i diritti, riconciliarsi con la legittimità. 101 ne fondiaria, la politica si tramuta nella legge 034 del 20093, i cui decreti attuativi vengono promulgati con insolita rapidità nei due anni successivi.

Mentre, come abbiamo visto, esistono studi e valutazioni riguardanti i risul- tati conseguiti dai primi esperimenti localizzati di messa in sicurezza fondiaria in Burkina Faso, ossia il PFr nel Ganzourgou e l’OpsF a Padéma, l’applicazione della

legge 034 su scala nazionale è cominciata da poco: i principali osservatori – tanto gli studiosi ed esperti in materia quanto le associazioni attive nello sviluppo rurale e nelle questioni fondiarie – restano perlopiù ‘in attesa’ della direzione che intra- prenderanno i soggetti chiamati a concretizzare sul territorio la regolamentazione nazionale, e delle modalità in cui questa sarà recepita e tradotta, oppure resisti- ta, dai diversi attori e interessi in gioco. Non sono comunque mancate le prime osservazioni critiche, che si possono ricollegare a considerazioni più generali sul concetto e i limiti della ‘messa in sicurezza fondiaria’.

Tale concetto scaturisce effettivamente da un deciso cambiamento di paradig- ma rispetto alle teorie evoluzioniste sui diritti fondiari (Platteau 1996) e all’orto- dossia precedentemente propugnata da grandi organismi quali la Banca Mondia- le, perlomeno riguardo a due elementi. In primo luogo, esso è portatore di una visione flessibile della formalizzazione dei diritti, che non è più considerata come necessaria in tutte le situazioni ma va invece utilizzata come eventuale risposta a una domanda di sicurezza da parte dei detentori dei diritti in precisi contesti (in effetti, il PFr e l’OpsF sono stati interventi localizzati, e hanno legittimato la

propria azione sulla base di una domanda di sicurezza o su rischi di conflitto peculiari); le operazioni di formalizzazione, inoltre, non portano necessariamente a un modello individualizzato e privatistico di controllo sulla risorsa. In secondo luogo, l’atteggiamento nei confronti dei regimi locali di accesso, del diritto con- suetudinario e, in una parola, dell’ambito della ‘legittimità’, muta profondamen- te: da un paradigma ‘di sostituzione’, in cui l’accatastamento e la privatizzazione avrebbero modernizzato la gestione dei diritti sulla terra sostituendo le soluzioni tradizionali e precapitalistiche, ci si muove verso un paradigma ‘di adattamen- to’, che riconosce ai sistemi locali e consuetudinari di gestione delle risorse e di accesso alla terra una certa efficacia e promuove interventi graduali di cam- biamento negoziati e basati sul consenso (Colin et al. 2009: 16-19). In questo modo, la promozione della sicurezza fondiaria si allinea al discorso attualmente dominante di uno sviluppo locale (le controversie si risolvono localmente e con il coinvolgimento dei livelli amministrativi decentrati o di istanze di villaggio create

ad hoc) e partecipativo (il coinvolgimento dei rappresentanti di diverse categorie

all’elaborazione della legge, e il diritto consuetudinario come base di riferimento, garantirebbero il carattere bottom-up e partecipativo di tale approccio).

Tuttavia, alcuni osservatori più critici hanno sostenuto che tale discontinuità sarebbe solamente parziale. La promozione della sicurezza fondiaria secondo il ‘nuovo’ approccio si accompagna infatti alla persistenza o al ritorno di modelli di sviluppo e di gestione delle risorse naturali imposti dall’alto o orientati ver- so obiettivi mainstream di crescita e aumento della produttività caratterizzati in senso quantitativo, dai riferimenti alla ‘rivoluzione verde’ ai nuovi programmi di ‘crescita accelerata’. Inoltre, taluni osservano che l’approccio della messa in sicu- rezza fondiaria non si discosterebbe sensibilmente dall’idea, comune alle teorie evoluzioniste, per cui la formalizzazione dei diritti sulla terra operata attraverso procedure di riconoscimento pubblico e consensuale e orientata alla creazione di documenti e titoli opponibili nel corso di controversie, resti – anche se non più imposta dall’alto e non necessariamente estesa alla totalità del territorio – lo strumento privilegiato per stabilizzare l’attività agricola ed aumentarne la pro- duttività. Tale idea, qualificata come ‘formalizzazione soft’ (Colin et al. 2009: 17), rischierebbe di estrapolare indebitamente i regimi di accesso alla terra e di distri- buzione dei diritti su di essa dal loro radicamento socio-culturale, e soprattutto promuoverebbe una concezione monista di tali diritti, a scapito del pluralismo e delle pratiche sociali basate piuttosto su ‘fasci’ di diritti (si vedano Alchian, Demsetz 1973; Colin 2004). Altri autori sostengono che l’approccio della promo- zione della sicurezza fondiaria raccoglie l’eredità di un approccio pragmatico e gradualista di formalizzazione fondiaria già tentato in epoca coloniale e dai risul- tati comunque limitati: ugualmente basato sulla perpetuazione del dogma della

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