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Introduzione

All’interno del recente dibattito sulla promozione dello sviluppo agricolo e rurale nel contesto degli investimenti privati sulla terra in Africa sub-sahariana, sta suscitando crescente interesse l’idea di coinvolgere i piccoli produttori locali in modelli ‘inclusivi’ di business (Lahiff 2007; Amanor 2009; Daley, Park 2012; Lahiff et al. 2012; Oya 2012). A partire dal Rapporto sull’agricoltura della Banca Mondiale (Wb 2007), nel discorso internazionale sullo sviluppo si è iniziato a

sottolineare l’importanza di modelli di sviluppo rurale che siano basati su accordi o forme di partenariato1 tra gli investitori privati e i piccoli produttori (spesso organizzati in associazioni) o le comunità. Si ritiene che questi accordi, mediati dalle istituzioni di governo locale, possano giocare un ruolo cruciale nell’integrare i piccoli produttori rurali nelle catene di valore dell’agrobusiness e nei mercati rurali, contribuendo così allo sviluppo economico rurale, alla riduzione della po- vertà e alla sicurezza alimentare dei poveri che vivono nei contesti rurali: il prezzo elevato dei beni alimentari fornisce incentivi per maggiori investimenti a lungo termine nel settore agricolo (Fao 2011) e la promozione di partenariati tra il set-

tore privato e le comunità rurali o le associazioni di contadini e produttori può migliorare la competitività della produzione domestica, aumentare il guadagno dei contadini e rendere i beni alimentari più accessibili per i poveri.

In generale, differenti attori variamente collocati nello spettro politico dello sviluppo concordano che i modelli di business inclusivi “possono fornire soluzio- ni di mutuo beneficio” (Anseeuw et al. 2012: 10) o essere comunque considerati ‘il male minore’ in un contesto caratterizzato da una sempre crescente pressione sulla terra. Tuttavia, molti hanno messo in luce come il modello prevalente di ac- quisizioni di terra su larga e media scala stia mettendo a repentaglio i diritti sulla terra e sulle risorse, le strategie di livelihood e la sicurezza alimentare delle comu-

nità e dei poveri che vivono nei contesti rurali: l’ingresso di nuovi attori, portatori di interessi economici e sostenuti da politiche e pratiche che agevolano le acqui- sizioni di terra, mette a rischio il controllo che i contadini esercitano su di essa e fa aumentare le possibilità di perdita della terra. Pertanto, è necessario che ‘le comunità abbiano i necessari e sicuri diritti sulle risorse, l’organizzazione e la ca- pacità di negoziazione’ (ibidem) per avviare accordi contrattuali con gli investitori privati e che, più in generale, il processo decisionale sulla terra diventi inclusivo e trasparente. Considerato che questa attenzione nei confronti delle diverse forme di ‘inclusione’ dei piccoli produttori inizia ad avere delle importanti conseguenze nelle aree rurali di molti paesi dell’Africa sub-sahariana (si vedano anche Lovisolo e Navarra in questo volume), è interessante notare che in un recente studio che discute le conclusioni che si possono trarre dall’esperienza sudafricana in questo ambito, Lahiff e colleghi (2012) mostrano come i cosiddetti ‘partenariati strate- gici’ analizzati si siano spesso rivelati fallimentari, con benefici molto limitati per le comunità. Gli autori evidenziano, tra i principali fattori che spiegano le ragioni del fallimento, il sostegno non adeguato delle istituzioni responsabili di queste iniziative e la mancanza di interesse da parte degli investitori privati nell’avviare un rapporto di affari con le comunità che sia realmente inclusivo.

Sebbene la ricerca di Lahiff e colleghi non tenga in considerazione le impli- cazioni dal punto di vista di genere di questo tipo di accordi, altri studi recenti mettono in evidenza le specifiche conseguenze negative che le donne subiscono a causa della crescente pressione commerciale sulla terra (Daley 2011; Fao 2011a;

Anseeuw et al. 2012; Tandon, Wegerif 2013) e sostengono che le donne, dato il limitato accesso diretto alla terra e lo scarso controllo sulle risorse produttive – sono state storicamente escluse dagli accordi contrattuali con gli investitori pri- vati (Schneider, Gugerty 2010; Fao 2011). In un lavoro precedente sull’accesso

delle donne alla terra nel sistema di irrigazione di Chókwè (Pellizzoli 2010), ho analizzato come le ‘ricette’2 prescritte dall’agenda internazionale dello sviluppo sulla gestione delle risorse idriche si ritrovassero nella strategia dell’agenzia para- statale che gestisce il sistema – ovvero, promuovere partenariati tra gli utilizzatori dell’acqua e il settore privato per incentivare la produzione commerciale mentre, allo stesso tempo, veniva disincentivata la produzione di sussistenza perché non comportava un uso efficiente della terra irrigata – adattandosi alla dimensione lo- cale di un discorso politico radicato che considera la trasformazione dei contadini di sussistenza in produttori per il mercato la migliore risposta ai problemi della povertà rurale e dell’insicurezza alimentare. In quella ricerca rivolgevo la mia attenzione al cambiamento dei modelli di accesso e uso della terra da parte delle

2 Recupero dei costi, decentralizzazione della gestione delle risorse idriche, creazione di associazioni

di utilizzatori dell’acqua, promozione dell’agricoltura commerciale e maggiore partecipazione del settore privato.

Investimenti privati sulla terra e strategie di inclusione dei produttori locali 55 donne e sostenevo che l’immagine – veicolata dall’ente di gestione del sistema di irrigazione – di ‘contadino efficiente’, che partecipa ai partenariati anziché colti- vare per la sussistenza, rischiava di produrre un peggioramento nelle livelihood delle donne contadine di Chókwè che, storicamente, avevano goduto di possibi- lità di accesso alla terra irrigata relativamente sicure: la mancanza di un’analisi di genere del contesto e di una relativa strategia rischiava infatti di escluderle dal sistema di irrigazione relegandole all’agricoltura pluviale (O’Laughlin 2009).

In una ricerca collegata a questa e realizzata nel sistema di irrigazione di Ma- kuleke, nella Provincia sudafricana del Limpopo, dove i partenariati strategici tra investitori privati e la comunità sono iniziati da oltre un decennio, ho rilevato che la tendenza verso la commercializzazione dell’agricoltura aveva rafforzato le forme di marginalità già esistenti e aveva avviato un processo di differenziazione sociale che aveva portato a conflitti tra gli ‘inclusi’ e gli ‘esclusi’ dal partenariato. In questo caso, le donne erano, per la maggior parte, escluse sin dall’inizio, in quanto il criterio principale per ricevere un appezzamento di terra nell’area della comunità dedicata all’agricoltura commerciale era la capacità di lavorare a tempo pieno come contadini. Con 5 donne su 42 contadini del settore commerciale, la situazione della joint venture di Makuleke rifletteva la ‘tradizionale’ divisione del lavoro: gli uomini coinvolti nell’agricoltura per il mercato e le donne relegate alla produzione di sussistenza, escluse dalle gerarchie di potere all’interno della comunità (Pellizzoli 2012).

Sulla base di analisi di questo tipo, gli studiosi e gli esperti tendono a elaborare raccomandazioni affinché, da un lato, il settore privato contribuisca allo sviluppo di mercati accessibili alle donne, investendo in imprese basate in contesti rurali e in catene di valore che sappiano includere le donne (Hill 2011: 38) e, dall’altro, i governi “creino un clima positivo per gli investimenti attraverso il rafforzamento dei diritti di proprietà” e dei diritti consuetudinari (Fao 2011: 46-47; si vedano an-

che Anseeuw et al. 2012: 62). Sembra dunque che questo approccio allo sviluppo rurale e agricolo che mira ad integrare i piccoli contadini nel mercato e nelle ca- tene di valore attraverso partenariati strategici si stia rapidamente facendo strada in Africa sub-sahariana, con attori diversi impegnati nel tentativo di rafforzare la posizione dei piccoli produttori locali contro i rischi qui rapidamente delineati.3

Date queste premesse e l’interesse dell’agenda internazionale dello sviluppo verso soluzioni ‘inclusive’ nell’ambito della promozione dello sviluppo agricolo

3 Ad esempio, IFAD ha di recente approvato un progetto da 45 milioni di dollari su “Pro-poor

Value Chain in the Maputo and Limpopo Corridors (PROSUL)” con l’obiettivo di aumentare il reddito e i benefici netti dei piccoli contadini attraverso l’intensificazione sostenibile e la diversifi- cazione della produzione agricola, migliorando il legame con i mercati, rafforzando le competen- ze delle organizzazioni locali di contadini: si veda http://www.ifad.org/media/press/2012/60.htm (consultato il 15 ottobre 2012).

e rurale, il mio obiettivo è analizzare se e come le questioni di genere vengano comprese all’interno delle politiche nazionali e internazionali a sostegno di que- ste strategie. A questo fine, nella sezione seguente analizzo alcuni documenti di

policy elaborati da Unione Africana, governo del Mozambico e Southern African

Development Community con l’obiettivo di riflettere su come il ruolo delle don- ne sia inteso all’interno di essi e come, pertanto, la questione di genere nei con- testi rurali sia stata esaminata, spiegata ed eventualmente messa in discussione. Nella seconda parte mi concentro sul caso mozambicano discutendo – attraverso i risultati di una ricerca condotta nelle Province di Sofala e Manica tra il 2011 e il 2012 nell’ambito del progetto Iao/Gender – quali benefici possano emergere

per le donne dai cosiddetti partenariati strategici e quali limiti questa strategia presenti.

Promuovere un approccio inclusivo allo sviluppo agricolo: un’analisi di genere

Il 9 dicembre 2011 il governo mozambicano ha avviato ufficialmente l’imple- mentazione del Comprehensive African Agricultural Development Programme (Caadp) siglando il “Patto per lo sviluppo del settore agricolo in Mozambico

nel quadro del Caadp”,4 il programma di sviluppo agricolo approvato nel 2003

proprio a Maputo dove, durante un’assemblea dell’Unione Africana (UA), i capi di Stato dei paesi africani hanno convenuto sull’adozione di “solide politiche per lo sviluppo agricolo e rurale” e si sono impegnati ad assegnare almeno il 10% del budget nazionale alla loro implementazione entro cinque anni.5

Il Caadp si apre con un’analisi della crisi del settore agricolo in Africa per

proporre ‘alcuni pilastri per l’azione che possono molto rapidamente rendere l’agricoltura africana più produttiva’ (Nepad 2003: 6), aumentare la sicurezza ali-

mentare e migliorare la bilancia commerciale: (i) estendere l’area sotto regime di gestione sostenibile della terra e migliorare i sistemi di controllo delle risorse idriche; (ii) migliorare le infrastrutture nelle zone rurali e le capacità di accesso al mercato; (iii) aumentare le scorte di beni alimentari e combattere la fame.6 Riguardo al primo pilastro, il Caadp sottolinea la necessità di sfruttare gli 874

milioni di ettari di terra che, in Africa, sono adatti per l’agricoltura, in particolare aumentando la disponibilità di sistemi di irrigazione regolati che, al momento della stesura del programma, erano solo il 7% del totale della terra arabile (ivi:

4 http://www.nepad-caadp.net/pdf/Mozambique.pdf.

5 Assembly/AU/Decl.7 (II), p. 1 – Assemblea dell’Unione Africana, seconda sessione ordinaria,

10-13 luglio 2013, Maputo.

6 Esiste un quarto pilastro, di lungo termine, che mira ad ottenere un’accelerazione nella produtti-

Investimenti privati sulla terra e strategie di inclusione dei produttori locali 57 13). Si calcola infatti che l’agricoltura irrigata possa favorire un aumento della pro- duzione e rendere dunque i beni alimentari maggiormente disponibili, per quanto “il suo impatto nella lotta contro la fame dipenda da adeguati accordi che per- mettano ai poveri di avere accesso alla terra irrigata” (ivi: 14). La crisi alimentare viene dunque affrontata dal Caadp da due lati: attraverso la fornitura di “reti di

sicurezza” per la popolazione maggiormente a rischio e attraverso l’aumento della produzione. In questo quadro, i partenariati tra comunità locali, governo e settore privato sono considerati un elemento cruciale per raggiungere questi obiettivi: il documento promuove infatti la creazione di associazioni di piccoli produttori (de- finiti “gli attori principali nell’assicurare una crescita economica generalizzata”,

ivi: 19) in modo che essi possano rafforzare le loro capacità ed essere in grado di

avviare dei partenariati con il settore commerciale privato che “vuole guadagnare. Può farlo – e allo stesso tempo aiutare i poveri contadini a guadagnare di più – se espande le sue relazioni commerciali con piccoli proprietari terrieri organizzati e consapevoli delle opzioni che il mercato gli presenta” (ibidem).

Il documento rivolge prioritariamente la sua attenzione allo sviluppo di strate- gie che possano aumentare gli investimenti nel settore agricolo e, forse per questo, non sorprende la mancanza di un’adeguata analisi di genere del contesto e delle possibili conseguenze delle strategie proposte in questo ambito. Infatti, in una breve presentazione del documento viene dichiarato che “tra le frequenti critiche di questa prima versione del Caadp c’è la mancanza di un esplicito riferimento

al genere. ( ) È certamente essenziale che il genere faccia parte del nucleo delle considerazioni nel rendere operativo il Caadp; in questa fase, i pilastri sono im-

portanti sia per gli uomini che per le donne”. In un documento accompagnato da immagini di donne contadine, l’unico riferimento ai ‘problemi delle donne’ è nel capitolo dedicato all’agenda della ricerca nel settore agricolo, dove si sostiene che “un’attenzione speciale deve essere rivolta al ruolo fondamentale di produttrici di cibo e di imprenditrici delle donne nelle comunità rurali e urbane in Africa. ( ) La ricerca ha dimostrato che non solo le imprenditrici reinvestono per migliorare le loro attività, ma attribuiscono un elevato valore anche agli investimenti sociali nelle loro comunità. ( ) Se pertanto l’Africa rurale ha una qualche possibilità, i produttori devono essere adeguatamente informati per poter prendere decisioni. E devono coltivare la speranza che alla fine riceveranno un compenso per il loro lavoro” (ivi: 90).

Nel 2010, in un rapporto commissionato dal Nepad sul grado di implementa-

zione del Caadp,7 le questioni di genere sono ugualmente trascurate se si eccettua

7 Il Caadp è stato avviato nel 2003 con una serie di consultazioni tra governi e comunità economiche

regionali che avevano l’obiettivo di identificare le priorità di investimento e le iniziative da intra- prendere nella prima fase di implementazione. Tuttavia, è solo nel 2009, con la firma dei primi patti, che l’attuazione del programma ha subito un’accelerazione (Nepad 2010: x).

l’affermazione, nella prefazione, che il miglioramento dell’agricoltura africana avrà un impatto positivo in termini di empowerment delle donne. Pur ricono- scendo che il Programma è stato in grado di guadagnarsi l’appoggio sia politico sia finanziario (con la creazione di un Multi Donor Trust Fund da 60 milioni di dollari) dei più importanti donatori, il rapporto mette in luce le difficoltà nel raggiungere un maggiore impegno in termini di investimenti nel settore agricolo da parte dei governi. Riguardo alla questione dei partenariati, si riconosce che il Caadp ha valorizzato la partecipazione del settore privato per quanto non sia

“chiaro come questo quadro sarà tradotto, nella pratica, in partenariati” (Nepad

2010: 4).

Come il Caadp trascura le questioni di genere così, secondo una ricerca del

2011 di ActionAid, lo stesso accade nei piani nazionali per l’implementazione del programma di Malawi, Nigeria, Etiopia, Tanzania, Kenya e Ghana che dimentica- no di analizzare il ruolo delle donne nell’agricoltura: “le donne rischiano di finire relegate alla categoria di coloro che ‘soffrono la fame e sono malnutrite’, anziché essere riconosciute come produttrici a pieno titolo” (ActionAid 2011). Al contra- rio, il patto per l’implementazione del Caadp firmato dal Mozambico garantisce

un specifico riconoscimento alla questione dell’uguaglianza di genere: il Caadp,

si dichiara nel documento, sarà implementato nel paese attraverso il Piano Strate- gico per lo Sviluppo del Settore Agricolo (Pedsa nell’acronimo portoghese), che

si basa sui principi contenuti nell’Agenda 2025 - tra i quali compare “un settore agricolo prospero, competitivo e sostenibile, in grado di fornire risposte sosteni- bili alle sfide della sicurezza alimentare e nutrizionale e di raggiungere i mercati globali dei beni agricoli (…) garantendo uguaglianza di genere e sociale” (RdM 2011: vii).

Il Pedsa 2011-2020, approvato pochi mesi prima della firma del patto per

l’implementazione del Caadp, si basa su tre principi guida – lo sviluppo di catene

di valore secondo il modello dell’agroindustria, il riconoscimento della necessi- tà di un diverso approccio per ogni tipo di coltura e il sostegno ai partenariati pubblico-privato – e su quattro pilastri: (1) la crescita della produzione e della produttività dell’agricoltura e della capacità di competere sui mercati globali; (2) la creazione di servizi e di infrastrutture al fine di migliorare l’accesso ai mercati e di aumentare l’investimento nel settore agricolo; (3) l’uso sostenibile delle ri- sorse naturali e (4) il rafforzamento istituzionale (RdM 2011). In questo quadro, i partenariati tra settore pubblico e settore privato sono intesi come opportunità per migliorare l’efficienza e ridurre i costi lungo le catene di valore (ivi: 32) e per investire in, riabilitare e gestire infrastrutture importanti per il mercato e per lo sviluppo delle catene di valore (ivi: 61). Il Pedsa fornisce una definizione ampia

del settore privato, che include “i produttori del settore familiare, le associazioni, i contadini emergenti, i contadini e gli allevatori del settore commerciale, gli im- prenditori del settore forestale, i fornitori di beni e servizi per l’agricoltura (ivi:

Investimenti privati sulla terra e strategie di inclusione dei produttori locali 59 viii) e al quale è richiesto di investire in catene di valore al fine di valorizzare gli investimenti pubblici pianificati. La soluzione dei partenariati strategici è men- zionata nella sezione dedicata ai risultati attesi del Pedsa, che include il rafforza-

mento delle organizzazioni di contadini da ottenere incentivando le associazioni e cooperative di produttori a creare economie di scala e catene di valore sostenibili8 e attraverso contratti di produzione tra le organizzazioni di contadini e il settore privato (ivi: 49; si noti che le organizzazioni di contadini vengono collocate fuori dal settore privato secondo la definizione riportata sopra).

Per quanto alcuni studiosi mettano in evidenza come il Pedsa contenga una

lunga lista di azioni e di risultati attesi che non hanno uno specifico collegamento con la realtà mozambicana (Woodhouse 2012: 167), sostenendo che gli obiettivi strategici delle politiche di sviluppo agricolo del Paese rispecchino maggiormente le priorità delle relazioni internazionali anziché le questioni cruciali per l’agricol- tura a livello nazionale e locale (Cunguara, Hanlon 2010), è necessario ricono- scere nel Pedsa un tentativo di fornire un’analisi accurata, per quanto concisa,

del contesto di genere. “Le donne si trovano di fronte ad enormi ostacoli nello svolgimento del loro lavoro a causa delle relazioni di genere esistenti nelle zone rurali. Le donne godono di controllo e accesso limitato alle risorse e ai servizi ( ). Inoltre, la loro partecipazione nei processi decisionali collegati agli aspetti produttivi ed economici è scarsa a causa del ruolo che giocano a livello sociale e tradizionale” (RdM 2011: 30). Il Pedsa fa riferimento anche alla Strategia di Ge-

nere del Settore Agricolo e ai suoi obiettivi strategici, che mettono l’accento sulla necessità di creare le condizioni per facilitare le donne nell’accesso e utilizzo delle risorse naturali a fini agricoli, così da contribuire a migliorare la sussistenza delle famiglie, garantire la sicurezza alimentare e aumentare l’accesso ai mercati - anche attraverso la creazione di servizi finanziari ad hoc e un maggior accesso al credito (RdM 2005: 16-21).

Questo tentativo di promuovere un approccio a tutto tondo e trasversale al fine di includere le questioni di genere nel settore agricolo e della sicurezza alimentare si rispecchia nella Politica Agricola Regionale (par) della Southern

African Development Community (SadC) approvata nel luglio del 2012. Le disu-

guaglianze di genere rimangono una sfida cruciale, si dichiara nel documento, ed “è necessario un approccio più vigoroso ed audace” per affrontarle. In effetti, la regione della SadC ha mostrato dei progressi piuttosto lenti nel Global Gender

Gap Index (SadC 2012: 8) e, al fine di mitigare gli effetti della vulnerabilità e della

marginalizzazione legate al genere, le questioni di genere devono essere “messe al

8 Questo obiettivo strategico è ribadito nel terzo Piano d’Azione per la Riduzione della Povertà

(Parp nell’acronimo portoghese) 2011-2014, che era stato approvato nello stesso periodo del Pedsa,

nel maggio 2011. Per una discussione sulle strategie di sviluppo agricolo contenute nel Parp si veda

centro” della Par attraverso una valutazione delle implicazioni per uomini e don-

ne di tutte le iniziative previste, e l’elaborazione di specifiche linee guida di ge- nere (ivi: 79). All’interno della Par c’è un tentativo di mettere in luce sia il modo

in cui le questioni di genere nelle aree rurali influiscano sul ruolo cruciale che le donne giocano nell’ambito della sicurezza alimentare, sia l’impatto dei modelli di sviluppo agricolo sulle relazioni di genere, affermando che “una politica agricola solida, in stretto collegamento con i settori della salute e dell’istruzione, dovrebbe rivestire un ruolo significativo nella promozione dell’uguaglianza di genere molto

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