102 Bisogna ricordare che api e formiche godono tradizionalmente di una discreta fortuna positiva per la loro
operosità. Lo stesso Petrarca nella Fam., III 19, 6, le loda entrambe, e nel De ot., I 4, 10, prima cita Prov., VI 6-10, in cui le formiche vengono ricordate come esempio di operosità, e poi invita a riflettere sulla loro esistenza come simbolo di sapienza. Per Raswki (Remedies for fortune, cit., vol. IV, p. 15) l‟argomento dimostra come «Petrarch writes with an eye on the widely referred to characteristic assigned to the ant in the contemporaney bestiaries and encyclopedic works (e.g. Isidoro, Etym., XII 3, 9)», ma bisognerebbe ricordare anche il nutrito gruppo di commentatori del passo biblico, tra cui spicca Ambrogio (Hexameron., VI 4, 16) e gli autori latini (almeno Giovenale, Sat., VI 360). Per quanto riguarda le api è opportuno disturbare anche la famosa modalità di imitatio petrarchesca, che è ricalcata proprio sulla mellificatio, teoria contenuta nella Fam., I 8; nel corso dell‟epistola (ivi, 5) l‟analogia subisce un mutatamento: non bisogna seguire l‟esempio delle api, che attingono qua e là, quanto quello del baco da seta. La teoria della mellificatio è riproposta in una celebre e divertente epistola diretta a Giovanni Boccaccio (la Fam., XXIII 19).
103 Quasi un altro rovesciamento rispetto alle colombe dantesche di Inf., V, se è vero che nel canto di Francesca da
Rimini, gli animali che identificano il volo dei due amanti, a differenza di quanto dicono quasi tutti i commentatori antichi, potrebbero avere una valenza positiva, dopottutto secondo MARCO ARIANI, Commento ai Triumphi, in FRANCESCO PETRARCA, I Triumphi, a cura di M. Ariani, Milano, Mursia, 1989, p. 148 nota 90, la «candida colomba» che fa innamorare il protagonista maschile del poema petrarchesco potrebbe avere una valenza positiva: «in altri contesti la petrarcheschi, è simbolo di ascensione mistica […] cfr. Ps., LIV 7 e Agostino, En. in Ps., XCCI 1».
104 Come viene notato anche da FENZI, Commento ai Rimedi all‟una e all‟altra fortuna, cit., p. 161 n 28.
105 Visto che nel trattato vi è una differenzazione tra i vari vermi, potrebbe essere una fonte prediletta Isidoro che
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superbia, ma alla curiositas e al desiderio, eccessivo e inopportuno, della visio divina),
106viene
analizzato l‟episodio, per altro ben famoso nel Medioevo,
107della ribellione degli angeli
culminata nell‟attacco alle porte della «celi arce» (l‟arx è un elemento, anche dell‟anima,
fortemente speculare a questa divina),
108che comportò la conseguente caduta dei ribelli
finanche le perfette creature celesti spedite sulla terra non assunsero i tratti dei nuovi demoni
tentatori sospesi tra il cielo e la nuova dimora.
109Proprio da questo episodio troverebbe origine
la continua guerra intima, la psicomachia delle mille tentazioni e delle passioni umane (par.
24) che accerchiano l‟animo, una caratteristica che restituisce, quindi, tutta la dimensione
medievale del testo e del pensiero di Petrarca. Almeno qui l‟autore non definisce le
affezioni dell‟animo come la risultante di un‟inquietudine (moderna) ma come la perdita di
una condizione paradisiaca, già instabile per via della caduta degli esseri perfetti. D‟altro canto (a
dimostrazione di quanto sia forte il gusto dei contraposita nel pensiero petrarchesco) non è
illecito scorgere nella fenomenologia che Petrarca conferisce alle proprie convizioni teologiche
che riguardano la natura umana, un‟indole innovativa, solo apparentemente in contradizione
con la sua formazione medievale: l‟autore, infatti, giunge a definire, in modo implicito, il
“peccato originale” non come la cifra distintiva appartenente alla bios umana quanto, appunto,
106 Bernardo di Chiaravalle, De gradibus humilitatis et superbiae, X: «O Lucifer, qui mane oriebaris, imo non iam lucifer,
sed noctifer, aut etiam mortifer, rectus cursus tuus erat ab oriente ad meridiem, et tu praepostero ordine tendis ad aquilonem? Quanto magis ad alta festinas, tanto celerius ad occasum declinas. Velim tamen curiosius, o curiose, intentionem tuae curiositatis inquirere. Ponam, inquit, sedem meam ad aquilonem [Isa., XIV, 13]. Nec aquilonem hunc corporalem, nec sedem hanc (cum sis spiritus) intelligo materialem. Puto autem per aquilonem, reprobandos homines fuisse designatos; per sedem, potestatem in illos. Quos utique in praescientia Dei, quanto ei vicinior, tanto caeteris perspicacior praevidens, nullo quidem sapientiae radio coruscantes, nullo spiritus amore ferventes, velut vacuum repereris locum, affectasti super illos dominium, quos quadam tuae astutiae claritate perfunderes, tuae malitiae aestibus inflammares: ut quomodo Altissimus sua sapientia ac bonitate omnibus filiis obedientiae praeerat, ita et tu super omnes filios superbiae rex constitutus, tua eos astuta malitia, ac malitiosa astutia regeres, per quod Altissimo similis esses. Sed miror cum in praesentia Dei tuum praevideris principatum, cur non in eadem praevidisti et praecipitium? Nam si praevidisti, quae insania fuit, ut cum tanta miseria cuperes principari, ut malles misere praeesse, quam feliciter subesse? An non expediebat participem esse plagarum illarum luminosarum, quam principem tenebrarum harum? Sed credibilius est, quod non praevidisti: aut propter illam causam, quam superius dixi, quia Dei bonitatem attendens, dixisti in corde tuo. Non requiret [Psal, X 13], propter quod, o impie, Deum irritasti; aut quia viso principatu, statim in oculo superbiae trabes excrevit, qua interposita casum videre non potuisti». Petrarca ricorda l‟episodio come il massimo esempio di Superbia tra le creature esistenti anche in De rem., II 110. De superbia.
107 Si ricordi oltre all‟Apocalisse, anche la presenza del conflitto celeste in Tommaso, Summa Ia q. 64, 4, l‟episodio è
ricordato anche da Dante, Par., XIX 49-50 e proprio la collocazione di Lucifero al centro della Terra come («ad infimum terre centrum») avviene tutt‟altro che tradizionalmente: nella Commedia sembra risplendere una delle tante piccole tessere del rapporto tra Dante e Petrarca. Sembra improbabile la spiegazione di Rawski sul fatto che Petrarca abbia fatto ricorso ai miti classici dei giganti e dei ciclopi (Remedies for fortune, cit., vol. IV, p. 19). Praticamente vulgati tanto il racconto nel Vecchio Testamento di Is., XIV 12-15, quanto l‟allusione di Lc, X 18 («Et ait illis: “videbam Satanam sicut fulgur de caelo cadentem”») che la narrazione dell‟episodio nell‟Apocalisse di Giovanni: «Et factum est proelium in caelo, Michael et angeli eius, ut proeliarentur cum dracone. Et draco pugnavit et angeli eius, et non valuit, neque locus inventus est eorum amplius in caelo. Et proiectus est draco ille magnus, serpens antiques, qui vocatur Diabolus et Satanas qui seducit universum orbem; proiectus est in terram, et aneli eius cum illo proiecti sunt».
108 Sulla valenza e sul termine arx si tornerà a breve.
109 Sulla dimora dei demoni sita in cielo ma sospesa tra questo e la Terra: cfr. Apuleio, De deo socratis, XIII;
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