D
IPARTIMENTO DI
S
TUDI
U
MANISTICI
D
OTTORATO DI
R
ICERCA IN
I
TALIANISTICA
XXXVIII
C
ICLO
(2013-2015)
Rappresentazione della “fluctuatio” nell’opera di Petrarca. Allegorie,
personificazioni e dramatis personae
T
UTOR
A
DDOTTORANDO
I
NDICE
A
BBREVIAZIONIP
REMESSAP
RIMAP
ARTECAPITOLO
L’altercatio
1. La costante lis che muove il mondo e l’animo
1.1. Franciscus mille ossessive guerre, un fondo lontano
1.2. I conflitti nel De remediis utriusque fortune. «Omnia secundum litem fieri»: il conflitto cosmico del
De remediis, la Prefatio al secondo libro
1.2.1 «Mens in solido fundata et bene sibi conscia numeros habet inexpugnabiles» (De rem., I 66):
architteture interiori del conflitto
1.2.2 Il dualismo anima-corpo nel De remediis
1.3. Il doppio dissidio del Secretum: dialoghi e assedi
1.4. Serrare le uscite: il De vita solitaria e la solitudine, il De otio religioso e il miles christi
1.5. Le applicazioni (reali) degli epistolari
1.6. Le guerre delle Egloghe e i conflitti nelle opere latine
1.6.1 I Salmi penitenziali e il conflitto
1.6.2 Le Epystole: Petrarca tra la guerra al cosmo, alle ninfe, a se stesso
1.7. I conflitti nelle opere volgari
1.7.1 La guerra dei Triumphi
1.7.2 Triumphi metaforici, allegorici o “raffiguranti”?
1.7.3 Il corteo d’amore: tratti semantici e mille fonti
1.7.4 Le pugnae dei Fragmenta
1.7.5 Un conflitto d’amore dà il via a tutto
1.7.6 L’arx rationis, o il poggio, quale ultima difesa
1.7.7 La ferita che guarisce
S
ECONDAP
ARTECAPITOLO
La navigatio
2. La navigatio: un’immagine fondamentale
2.1. Una metafora strutturale nei Rerum vulgarium fragmenta?
2.1.1 La sestina del viaggio per mare
2.1.2 L’io lirico tra le navigazioni paradossali e pericolose fino al naufragio della canzone delle
Visioni
2.1.3 Il naufragio con spettatore nel canzoniere e la “nave carca”
2.2. Resistere ai flutti dell’animo: tra Secretum, lettere e opere morali
2.2.1 Una vita tra le navigazioni
I
III-V
5
11
21
34
43
54
70
81
106
109
111
117
118
124
129
133
136
139
151
158
171
181
187
192
197
202
219
2.3. Un modo di dire leggere: la navigatio e la cura dell’animo
2.4. Il racconto di una doppia tempesta: Fam., V 5 e la morte dei re di Napoli
2.5. La metafora della navigazione nelle poesie latine
2.5.1 I Salmi e l’orazione contro il mare
2.6. Questo e quel naufragio e i capitoli nautici del De remediis utriusque fortune
2.6.1 I capitoli sulla navigazione
CAPITOLO
La peregrinatio e la visio
3. La peregrinatio
3.1. La visio (beatifica)
3.2. La filosofia medievale e le immagini
3.2.1 La traditio della poesia italiana: la visio, la contemplazione, l’estasi amorosa
3.2.2 Concettualizzare la peregrinatio nelle lettere cristiane
3.3. Rvf 16 e il De otio religioso: peregrinare per vedere. La visio divina attraverso Laura
3.4. Peregrinare nei testi: visio e viaggio nei Triumphi e nelle Epystole metricae
3.4.1 Dalla quiete all’erranza amorosa dei quattro Triumphi Cupidinis
3.4.2 Il viaggio tra i testi e la visio di Laura eterna
3.4.3 Il viaggio nelle Epystole metricae
3.5. I capitoli del De remediis sulla visio, sul desiderio, sul movimento
3.6. Peregrinatio e visio nel progetto culturale di Petrarca: gli epistolari
3.6.1 Viaggio, riposo, solitudine e mondo negli epistolari
3.6.2 L’ascensio al Ventoso e la visio interiore
3.7. Petrarca al bivio: l’applicazione di un topos
B
IBLIOGRAFIA224
235
242
244
249
254
265
272
282
303
308
332
333
340
348
355
367
372
379
386
404-463
I
A
BBREVIAZIONI DELLE OPEREDi seguito viene fornito l‟elenco delle abbreviazioni utilizzate per le opere di
Francesco Petrarca. Gli altri testi citati nel corso della trattazione seguono il sistema
di abbreviazioni più in voga.
Afr.
BC
Coll. Laur
De ot.
De rem.
De vir.
De vita
Disp.
Epyst.
Fam.
Ign.
Inv.
Inv. magn.
Inv. mal.
Itin.
Orat.
Post.
Psal
Rer. mem.
Rvf
Sen.
Secr.
Sine
Var.
Test.
Africa
Bucolicum carmen
Collatio laureationis
De otio religioso
De remediis utriusque fortune
De viris illustribus
De vita solitaria
Lettere disperse
Epystole metricae
Rerum familiarium libri (o Familiares)
De sui ipsius et multorum ignorantia
Invective contra medicum
Invectiva contra quedam magni status hominem sed nullius scientie aut virtutis
Contra eum qui maledixit Italie
Itinerarium breve de Ianua usque ad Ierusalem et Terram Sanctam
Orationes
Posteritati
Psalmi penitentiales
Rerum memorandarum libri
Rerum vulgarium fragmenta
Rerum senilium libri (o Seniles)
Secretum
Liber sine nomine
Rime estravaganti
Testamentum
II
Triumphi
TC
TE
TF
TM
TP
TT
Triumphus Cupidinis
Triumphus Eternitatis
Triumphus Fame
Triumphus Mortis
Triumphus Pudicitie
Triumphus Temporis
III
P
REMESSA«Voluntates mee fluctuant et desideria discordant et discordando me lacerant», con queste
parole Francesco Petrarca consegna un‟immagine di sé unica, ideale, che diventerà il vessillo
della sua esistenza terrena e letteraria. Il passo fa parte della Fam., II 9, 17, lettera dai toni
familiarmente polemici, scritta in risposta a un‟epistola «iocosa» di Giacomo Colonna, forse
fittizia, senz‟altro, se vera, quanto mai impertinente (perché indagatrice dell‟animo e di tutte le
figurazioni di sé create dal poeta, filosofo morale e storico). Se il contesto letterario manifesta
con una sintesi unica alcuni punti salienti della biografia di Petrarca – la lettera è indirizzata al
primo potente amico di una lista assai lunga e uno dei primi destinatari ideali dei grandi
epistolari (i primi libri delle Familiares sono appannaggio della famiglia romana ma questa è
un‟altra storia) – le poche parole descrivono prima di tutto lo stato in cui giace l‟animo del
grande umanista; e lo fanno attraverso l‟immagine del dissidio che alle complesse dinamiche
figurative della fluctuatio appartiene.
Una potente e profonda confessione pervade le parole della lettera: nell‟anima di Petrarca
sono vive due forze opposte, capaci di generare un movimento ondeggiante che rappresenta la
fluctuatio, appunto, ergo il grande male dell‟uomo di cui si era accorto – non per primo –
Agostino. È proprio attraverso l‟exemplum del maestro che Petrarca orchestra la propria
produzione: non solo il vescovo di Ippona è uno dei primi autori a scrivere un‟opera che
trattasse in maniera strutturale del cambiamento palinodico avvenuto nel «mezzo del cammin di
nostra vita» (tradizionalmente la conversione di Agostino avvenne superati i trent‟anni), ma
Agostino è anche il primo autore cristiano a dare voce alle dinamiche dell‟io, alle proprie
vergogne e alla tremenda guerra contro i vizi («cum erroribus ac vitiis generoso impetu
magnificentissime colluctantem», viene ricordato nella Sen., XV 6, 15 a Luigi Marsili, generale
dell‟ordine agostiniano). Petrarca organizza tutta la sua produzione letteraria su quel male, la
fluctuatio, ostacolo ultimo della conversione agostiniana, che – mentre è associabile tanto alla
volontà (o all‟animo stesso) quanto alla propria coscienza, – diviene il segno tangibile della
scoperta dell‟interiorità. Caratteristica cosí spesso associata proprio all‟aedo di Laura. La
situazione di perenne conflictus animii (e nell‟animo) non può che costituire uno degli aspetti, il più
rappresentativo, della personalità di Francesco Petrarca: un uomo continuamente in limine tanto
IV
per quanto riguarda il tempo maior della storia, che lo vede in bilico tra la sua età in decadenza e
l‟antichità, quanto nel battito minor di un‟esistenza condotta tra la ricerca e, al contempo, il
rifiuto dei piaceri mondani, tra il desiderio di attuare un‟ascesi mistica (proiettato nella figura del
fratello Gherardo, esplicativa la famosa Fam., IV 1, la lettera del monte Ventoso) e gli stretti
lacci di superbia e passio. Questa insanabile condizione, che la famosa conversione del 1348
(seguita al pellegrinaggio giubilare) non ha del tutto eliminato, ma solo attenuato, è propria di un
uomo innamorato della ragione ma profondamente intricato nell‟errore (si pensi del resto che il
sonetto proemiale dei Rvf implicitamente riconosce la mancata totalità dell‟atto di espiazione
«quand‟era in parte altr‟uomo da quel ch‟io sono», quindi la conversione è avvenuta solo “in
parte”, cosí come il Secretum altro non è che una testimonianza dell‟impossibilità di accettare la
pienamente la conversione senza l‟intervento della Grazia, che, pure, in effetti interviene nella
figura di Agostino e della Verità).
Questa esistenza, in primo luogo, “letteraria” è, senza alcun dubbio, la vera effigies animi di
Francesco Petrarca, ravvisabile in (e associabile a) tutta la produzione letteraria. Il conflitto
contro se stessi è una presenza così costante, se non ossessiva, da riuscire a scuotere addirittura i
principi basilari della vita del cristiano sulla terra: la vita non è più per Petrarca solo una militia
«sed bellum iuge, mortiferum, sine indutiis, sine pace» (Fam., XVI 6, 2 e si pensi anche alla
guerra cosmica della prefatio del secondo libro del De remediis utriusque fortune). La fluctuatio è la
«perpetua guerra» (Rvf 252, 12) interna/esterna, che si manifesta nel flusso paradossale di una
continua, profonda e fruttifera allegoria, creatrice di sottofigure (per esempio l‟arx mentis, tra le
tante immagini) e capace di investire molteplici campi semantici e altrettante situazioni
(esasperante, ma funzionale al grande progetto, la metafora della navigatio), tra loro, spesso,
collegati. Come accade, per esempio, coll‟ossessivo dinamismo che innerva gran parte delle
pagine che formano l‟opera tutta e che, mentre disegna la straordinaria e sempre viva etichetta di
un Petrarca «peregrinus ubique» (Epyst., III 19, 16), presuppone d‟altro canto il riposo, l‟otium, la
vacatio: in una parola le “pause” necessarie al raggiungimento della perfetta condizione
contemplativa. Solo nell‟attimo del riposo conseguente una fatica, un percorso, un viaggio
(magari più allegorico che storico), infatti, è possibile assumere le prime caratteristiche
“mondane” della visio in grado di scorgere, quanto più possibile, e addirittura in terra, i tratti
della Sapienza, della Grazia divina, unica vera pace al disagio che attanaglia l‟animo dell‟uomo e
di Petrarca. La Ragione è l‟unico freno possibile ai continui attacchi delle passioni, ed è pure
l‟esclusiva e unica via accessibile al conseguimento della Sapienza e della Verità (unico stato
ideale esente dalla fluctuatio): una razionalità tanto etica quanto feroce, perché costretta a
vedersela con il constante male, è l‟altra faccia della medaglia della fluctuatio. Ma se Sapienza e
Verità sono le mete ultime di un percorso esistenziale, rispetto alle quali la fluctuatio animi non
V
può che rivestire il ruolo di ostacolo, vi sono anche vie collaterali del percorso conoscitivo,
attuato e descritto da Petrarca stesso: il modus vivendi teorizzato e assunto dall‟umanista nella
misura di una vera e propria pratica filosofica trova nel mondo della letteratura, nella lettura ora
divina, ora spiritualis, la fuga dalla pericolosa realtà, così ricolma di ansie e tentazioni. Ecco, allora,
che quella realtà altera arriva paradossalmente a coincidere, proprio attraverso la doppia chiave
della letteratura e della poesia, con la vita stessa, tracciando un itinerario dai segni unici. La
fluctuatio diviene la marca esistenziale dell‟umanista, il segno con cui spiegare qualunque cosa e a
cui ricondurre ogni scelta: una vera e propria simbologia della vita di Petrarca. Nessun altro
motivo è tanto centrale nella sua opera, che spesso è stato identificato da una larghissima
tradizione e proprio per via della sua insistenza sulle dinamiche del mondo interiore, quale
primo scopritore della modernità.
Questo lavoro vuole offrirsi come una sistematica lettura di tutta l‟opera di Petrarca. Una
lettura sviluppata attraverso – appunto – il filtro tematico della fluctuatio, concetto che, sebbene,
molti l‟abbiano spesso tirato in ballo in questo o in quel contributo, è ancora manchevole di
un‟indagine analitica e complessiva. Fluctuatio che è esattamente la cifra della modernità
petrarchesca ma anche, e soprattutto, il tema ossessivo e onnipresente, declinato in diversi
motivi e figure, capace di concretizzarsi in finissime allegorie, in dramatis personae, ancora in
figmenta e, soprattutto, nei tratti affascinanti dei phantasmata più delicati. I quali, per quanto l‟io si
sforzi di raggiungerli in un paradossale duello contro se stesso che innerva ogni téchne poetica
fino a ridurla e svuotarla scegliendo la strada dell‟assoluto, altro non possono che essere se non
segni autoreferenziali di una materia letteraria in continua produzione. Una produzione
vastissima e complessa che rende, a sette secoli di distanza dal compimento della sua esistenza
terrena, se non l‟uomo Petrarca (perennemente in lotta contro se stesso), almeno il suo lascito,
ancora vivo e unico, ed è ancora per noi – lettori ben più lontani di un oceano
1– il perfetto
esempio dell‟incostanza che pervade l‟essere umano.
1 Mi riferisco alla lettera dell‟«amicus transatlanti», cioè il grande studioso Ernst H. Wilkins, che – un po‟ per gioco,
7
1
La costante lis che muove il mondo e l‟animo
Tra le varie categorie figurative individuate da Rosanna Bettarini
1utili a definire, delimitare
e comporre la fluctuatio animii, un ruolo centrale non poteva che essere svolto da tutte
quelle immagini belliche che, mentre appartengono all‟amplia categoria del conflitto, ne
restituiscono la più vivida e drammatica rappresentazione. Sia un dissidio universale o intimo,
interiore o superficiale, prenda forma tramite un‟altercatio teatrale o si manifesti nell‟esteriorità
assoluta del mondo, in tutte le opere di Petrarca la costante lis dalla marcatura cosmica
veicola lo stato insodabile della natura umana. Natura protagonista e sempre assoggettata,
poiché posta sotto l‟ansia (de)costruttiva della fluttuazione dell‟animo, da un conflitto cosmico.
Una figurazione complessa quella della lis, compresa in un ampio immaginario bellico, capace di
dare vita tanto a un‟architettura dell‟anima, costruita innovando il motivo di marca paolina
dell‟armatura christi ‒ a sua volta declinata in altre sottocategorie e componenti figurative
(armi, elemi, scudi e via dicendo), che prendono parte a loro volta alla variazione dell‟ampio
1 ROSANNA BETTARINI, Fluctuationes agostiniane nel „Canzoniere‟ di Petrarca, «Studi di filologia italiana», LX, 2002, pp.
129-139. I vagheggiamenti dell‟animo, ma anche le opposizioni tra contrapposti (scusando il gioco di parole) come quello instaurato tra «anima e corpo», o «tra vecchio e nuovo, tra uomo interiore e uomo esteriore, tra l‟oculus
mentis e quello della carne, tra firmitas e infirmitas, tra vero e falso, tra vero velato e vero svelabile» e ancora tra
«simile e dissimile, forma corporea e forma spirituale, essere e divenire, vicinanza e lontananza, tra sospirare e respirare, tenebra e luce» sono solo alcune delle categorie che appartengono e arricchiscono l‟ampio spettro d‟azione delle fluctationes. Sul dissidio agostiniano e Petrarca si veda anche AURELIA CANNARSA, Versum efficit ipsa
relatio contrariorum: il modello agostiniano del dissidio in Petrarca, «Italica», LXXXIII, 2006, 2, pp. 147-169, dove
l‟autrice prova a tracciare interessanti itinerari tra il dissidio petrarchesco e la malinconia di Leopardi. Senz‟altro Agostino, oltre che per il modello fornito nelle Confess., VIII 11, 27 («Ista controversia in corde meo, non nisi de meipso ad versus meipsum»), dovette operare sulla coscienza petrarchesca anche nell‟analisi di quelle affezioni che, lungi dall‟essere solo turbamenti esteriori, devono essere riconosciute come le macchie della coscienza filosofica-morale di Petrarca stesso. Sulla questione, cfr. Agostino, De civ. Dei, IX 4, 1: «Duae sunt sententiae philosophorum de his animi motibus, quae Graeci pàthe nostri autem quidam, sicut Cicero, perturbationes, quidam affectiones vel affectus, quidam vero, sicut iste, de graeco expressius passiones vocant. Has ergo perturbationes sive affectiones sive passiones quidam philosophi dicunt etiam in sapientem cadere, sed moderatas rationique subiectas, ut eis leges quodam modo, quibus ad necessarium redigantur modum, dominatio mentis imponat. Hoc qui sentiunt, Platonici sunt sive Aristotelici, cum Aristoteles discipulus Platonis fuerit, qui sectam Peripateticam condidit. Aliis autem, sicut Stoicis, cadere ullas omnino huiusce modi passiones in sapientem non placet. Hos autem, id est Stoicos, Cicero in libris De finibus bonorum et malorum verbis magis quam rebus adversus Platonicos seu Peripateticos certare convincit; quando quidem Stoici nolunt bona appellare, sed commoda corporis et extrema, eo quod nullum bonum volunt esse hominis praeter virtutem, tamquam artem bene vivendi, quae non nisi in animo est. Haec autem isti simpliciter et ex communi loquendi consuetudine appellant bona; sed in comparatione virtutis, qua recte vivitur, parva et exigua. Ex quo fit, ut ab utrisque quodlibet vocentur, seu bona seu commoda, pari tamen aestimatione pensentur, nec in hac quaestione Stoici delectentur nisi novitate verborum. Videtur ergo mihi etiam in hoc, ubi quaeritur utrum accidant sapienti passiones animi, an ab eis sit prorsus alienus, de verbis eos potius quam de rebus facere controversiam. Nam et ipsos nihil hinc aliud quam Platonicos et Peripateticos sentire existimo, quantum ad vim rerum attinet, non ad vocabulorum sonum». Il testo di Apuleio è, naturalmente, De deo Socratis, XII. Per quanto riguarda le “passioni” bisogna ricordare che Agostino ne ha una concezione molto sfumata, non vengono considerate negative nel De nupt. et concup., II 33, 55; personalmente, credo che nella concezione agostiniana delle passioni vada riconosciuta la chiave più moderna del pensiero del vescovo di Ippona: le passioni sono parte del moto dell‟anima, e come la Passione di Cristo appartengono all‟essere umano.
8
complesso immaginativo utile a definire l‟interiorità ‒, quanto al variegato sistema di
sofferenze esteriori subite dall‟uomo (e non solo) a partire dalla nascita fino all‟evento zero,
cioè la morte:
2una condizione di sofferenza che restituisce i dettami di una continuità
temporale e spaziale non ridotta alla sola sfera dell‟esperienza privata. Lo stato di perenne
pericolo in cui ognuno è immerso ha, infatti, il suo inizio negli albori della creazione:
nessuno, come rammemora il Salmo Exaudi, Deus («furor, zelus, tumultus, fluctuatio et timor
mortis») è perseverato dalla costante lis “che move il mondo”.
La forma altercatio del dissidio interiore si dimostra nelle pagine petrarchesche, vista
l‟assuidità con cui Petrarca ricorre al motivo, non solo un valido campo figurativo, ma anche
un‟imagery dai risvolti tanto ampi e persuasivi da svolgere nei riguardi della più estesa
categoria filosofica e simbolica (intendo simbolica in senso lato, cioè degna di valenze
metaforiche) della fluctatio il ruolo di vero e proprio perno figurativo della resistenza. Una
guerra interiore che travalica i confini tanto spirituali quanto fisici dell‟io e che risulta essere
talmente estesa da comprendere lo stesso retorico amore per Laura; vissuto, appunto, come
un continuo assalto, un duello, uno scontro sanguineo senza esclusioni di colpi. Una lotta
tragica in cui la primigenia e canonica pugna amoris subita dall‟io lirico per colpa dell‟amata si
trasforma, già a partire dai primi combattimenti (l‟alto poggio dove tentare una disperata
ritirata), fino a che non giunge ad assumere i tratti di una tragica e tremenda psicomachia: un
combattimento senza quartiere condotto verso figuranti astratti e personificazioni (lo stesso
Amore ha una fenomelogia corredata da una natura ambigua e duplice), che arricchiscono il
carattere allegoretico del canzoniere
3(in altre parole: se nelle prime decadi dei componimenti la
guerra è definibile ancora come amorosa presto assumerà i tratti, già presenti in potenza
sebbene nascosti,
4di un conflitto spirituale ingaggiato verso se stesso). Non stupirà accorgersi
quindi che gli assi focali su cui l‟actio fenomenica dell‟opera più famosa, cioè il canzoniere, si
2 Sul tema della morte si veda il recente e prezioso volume di SABRINA STROPPA, Petrarca e la morte. Tra „Familiari‟
e „Canzoniere‟, Roma, Aracne, 2014. La Morte, «scherana di Fortuna» (ivi, p. 131), come la stessa studiosa dimostra
in più parti del suo volume, è uno degli eventi principali che può scatenare i moti dell‟animo, la fluctuactio, anche in chi, si prenda il caso di Stefano Colonna il vecchio all‟indomani del massacro di Porta San Lorenzo, avrebbe, ormai, ben poco da sperare.
3 Per l‟allegoria in Petrarca, capitale il volume diLUCA MARCOZZI, La biblioteca di Febo. Mitologia e allegoria in Petrarca,
Firenze, Cesati, 2002. Si veda anche il libro di MARJORIE O‟ROURKE BOYLE, Petrarch‟s genius. Pentimento and prophecy,
Berkeley-Los Angeles-Oxford, University of California press, 1991 e la canonica bibliografia sulla Sen., IV 5: MICHELE FEO, Petrarca, Francesco, in Enciclopedia Dantesca, Vol. IV, Roma, Istituto dell‟Enciclopedia Italiana, 1973,
pp. 450-458, ADELIA NOFERI, La senile IV 5: crisi dell‟allegoria e produzione del senso, in EAD., Frammenti per i „Fragmenta‟
di Petrarca, a cura di L. Tassoni, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 229-243 e il più recente saggio di ENRICO FENZI,
L‟ermeneutica petrarchesca tra libertà e verità (a proposito di Sen. IV 5), in Petrarca e Agostino, a cura di R. Cardini e D.
Coppini, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 51-93.
4 Si pensi alla metafora del freno della ragione in Rvf 6, 9 (lo stesso messaggio è presente in De rem., I 31). Sebbene
l‟immagine abbia una valenza (e una base classica, si ricordi, per esempio, Ovidio, Am., II 10, 5-6) zoologica, cioè si riferisce in effetti a una cavalcatura, è bene considerare il fatto che il protagonista, il cavaliere, è parte della sfera semantica bellica. Come nel sonetto, il desiderio elimina il libero arbitrio in Cicerone, Tusc., III 5, 11 e pone l‟animo in pericolo.
9
muove (ma è un assunto valido anche per le altre) definiscono, almeno, due linee veicolari
distanti ma non parallele (non pochi sono gli incroci), la prima cosmogonica e la seconda
interiore,
5della lis; la quale, mentre coinvolge l‟io lirico (protagonista maschile dell‟opera),
straborda lo spazio letterario fino ad agire su campi intellettuali e morali (le stesse scrittura e
lettura sono coinvolte, come si vedrà, nel dissidio petrarchesco).
Le due linee sono un‟endiadi, praticamente un ossimoro tematico, in grado di svilupparsi su
un ampio campo di applicazione, capace di valorizzare, pur facendone parte, le stesse tessere e
immagini delle fluctuationes: senza guerra non vi è ribellione, senza ribellione non vi è moto, senza
moto non vi è la costante girandola emotiva che cerca di contrastare in maniera frustante la
«malattia ereditaria che colpisce tutti i figli di Adamo, grandi e piccini, sovrani e miserabili».
6La malattia ereditaria inspiegabile (vada essa nominata come accidia o aegritudo, per ora
taciamo sulle differenze dei due termini),
7per il filosofo morale Francesco Petrarca, non
poteva che rivelarsi il perfetto terreno fertile su cui coltivare i semi di mille profonde riflessioni.
8L‟«eterna» o «perpetua» «guerra» onnipresente nei Fragmenta, l‟altercatio, la lis, il conflitto e
altri mille sinonimi utili a indicare lo stato d‟animo inquieto, forti della loro obliquietà
tematica e retorica finiscono per costringere le tante manifestazioni letterarie presenti nelle opere
di Petrarca − siano alteri ego, dramatis personae o personificazioni dei moti dell‟autore − a
un‟esistenza imperniata di paura e incertezza.
9Uno stato d‟animo dal riflesso universale che non
può che essere alla base di praticamente ogni testo petrarchesco. Nell‟incipit del Secretum, ad
esempio, è dichiarata in maniera più che esposta la presenza nell‟imo tanto dello scrittore quanto
dell‟agens ‒ e non potrebbe essere altrimenti ‒, di un conflitto morale che attanaglia il cuore di
Petrarca: «De secretu conflictu curarum mearum liber primus incipit».
10
5 Un campo di svolgimento così ampio da comprendere in materia metalettaria la scrittura stessa: Rvf 20, 12-14, «ma
la penna et la mano et l‟intellecto rimaser vinti nel premiero assalto».
6 BETTARINI, Fluctuationes agostiniane, cit., p. 129.
7 Entrambi termini “malinconici”, si rimanda, per ora, all‟esaustiva analisi tematica di ROBERTO GIGLIUCCI, La
melanconia, Milano, Rizzoli, 2009. Una disastrosa – perché piuttosto superficiale, frettolosa e priva di adeguata
bibliografia – e recente analisi dei luoghi petrarcheschi relativi alla malinconia è stata pubblicata da LAURA A.PIRAS,
Effigies melancholiae: la poesia di Petrarca, «Schifanoia», XLVIII-XLIX, 2015, pp. 105-113 [La “Melencolia” di Albrecht Dürer cinquecento anni dopo (1514-2014). Atti del convegno internazionale. XVII settimana di Alti studi Rinascimentali,
Ferrara, 4-6 dicembre 2014]. Si ricordi, inoltre, che un‟antologia di lettere scelte di Francesco Petrarca veniva stampata nel 2004, per la cura di Loredana Chines, con il titolo di Lettere dell‟inquietudine (Roma, Carocci).
8 La malattia è naturalmente il conflitto morale tra la necessità, che potremmo definire sulla scia ciceroniana, stoica
ma naturalmente anche cristiana di contrastare le passioni. Le fondamenta della missione intellettuale di Petrarca, riuscita o meno, sembrano esposte in una lettera di Seneca a Lucillo, Ad lucil., LXXV 11, «morbus est iudicium in pravo pertinax, tamquam valde expetenda sint quae leviter expetenda sunt; vel, si mavis, ita finiamus: nimis imminere leviter pretendi vel ex toto non pretendi, aut in magno pretio habere in aliquo habenda vel in nullo». Una guerra alle passioni che non vuole in realtà annullarle ma semmai far in modo che esse siano contenute, moderate dall‟unica vera arma dell‟uomo: la ragione.
9 Rvf 252, 12-14: «In tal paura e ‟n sì perpetua guerra / vivo ch‟i‟ non son più quel che già fui, / qual chi per via
dubbiosa teme et erra».
10 Notava Francisco Rico (Vida u obra. I. Lectura del Secretum, Padova, Antenore, 1974, p. 10) che frate Tedaldo nella
trascrizione del testo dall‟autografo petrarchesco (codice Laurenziano Santa Croce 26 sin. 9, ff. 208-243) ricopia un
10
La risoluzione del conflitto non sarà raggiunta neppure tramite l‟ausilio di una guida
d‟eccezione, l‟Agostino prescelto dalla verità come interlocutore priveligiato di Franciscus ‒
perché ella è irrangiungibile direttamente, senza cioè una mediazione divina (in altre parole: la
Grazia), e proprio perché il grande padre è l‟autore del De vera religione ‒, dopottutto, infatti, il
Secretum altro non è che la cronistoria di un fallimento. Stato di pace o tregua sfuggevole,
irragiungibile anche quando Petrarca sceglie, segno della sua smania intellettuale, di porre il
proprio sigillo sulla vita di Gherardo, il fratello buono che rimane a contemplare mondo e
animo sulla vetta pianeggiante del Ventoso (e da “converso” in un monastero).
11Il fratello
minore (frater anche in Cristus lo appella Petrarca) è l‟interlocutore privilegiato di alcuni testi
fondamentali e, scelto come exemplum maximum su cui modellare i temi precipui di alcune opere
morali, diviene anche il modello ideale da seguire. Ma che la pace per Petrarca non sia mai stata
una meta fissa, lo dimostra anche la sua biografia: un uomo perennemente in viaggio, sospinto
da un‟ossessività intellettuale, dai bisogni pratici e politici (missioni diplomatiche, ect.), dalla
curiositas in parte nemica dell‟otium da svolgere cum litteris e sine passio,
12sempre coinvolto − o
impegnato per sua stessa volontà − in una peregrenatio perpetua, adibita (come afferma
nella lettera ai posteri) a possibile cura delle tante affezioni. Anche la pace morale rispetto
al modello silenzioso, ma fortemente operante, di Dante non è un traguardo ammissibile:
13 de secreta pace animi, si pax erit». Esso è testimonianza, insieme a un‟«importante postilla marginale» (che recita «Fac de secreta pace animi totidem, si pax sit usquam 1358»), della volontà di Francesco Petrarca di scrivere un secondo volume sulla «secreta pace animi». Al di là della questione sollevata, utile a Rico per definire le date di composizioni dell‟opera, e da una soluzione tematica proposta recentemente da Enrico Fenzi, peraltro più che condivisibile (in poche parole per Fenzi i libri sulla pace sarebbero più o meno “confluiti” nel De remediis utriusquefortune, si veda ENRICO FENZI, Introduzione a FRANCESCO PETRARCA, Rimedi all‟una e all‟altra fortuna, a cura di E. Fenzi, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2009, pp. 7-41, p. 11), anche nella breve postilla mi sembra si possibile scorgere l‟inquietudine derivata dall‟incertezza della presenza della pace, incertezza esposta tramite il «si pax» presente tanto nel segno marginale quanto nell‟incipit di Tedaldo.
11 Molti i dubbi sulla reale investitura di Gherardo. Lo stato attuale delle ricerche non riesce a sollevare la fitta
coltre di silenzio dei registri certosini: per la O‟ ROURKE, Petrarch‟s genius, cit., pp. 2-3 Gherardo non fu
monaco. Sulla questione ha recentemente indagato GIULIO GOLETTI, «Vale, frater in Cristo»: notizie e ipotesi su
Gherardo e Francesco Petrarca, «Bollettino di Italianistica», n.s., III, 2006, 2, pp. 45-66, che giunge a considerazioni
non troppo dissimili, sebbene più specifiche e puntuali, di quelle della studiosa americana, fino a definirlo una sorta di “converso” assimilato ai monaci. Il caso di Gherardo non rappresenta un unicum della biografia di Petrarca; al di là di discutibili ma comunque opportuni rimandi sulla realtà storica di Laura (impossibile sapere se fosse “vera e viva” come lo sono altre donne della letteratura italiana) si può ricordare il silenzio mai rotto sul fratellastro Giovanni, monaco (in questo caso davvero) olivetano, cfr.: MAURO TAGLIABUE,ANTONIO RIGON,
Fra Giovannino fratello del Petrarca e monaco olivetano, «Studi Petrarcheschi», n.s., VI, 1989, pp. 225-255.
12 Si ricordi che anche la solitudo dell‟otium potrebbe rivelarsi un terreno fertile per la perfida accedia e il suo demone
meridiano. Avvertimenti di pericolo per il monaco eremita non sono isolati nella patristica. Per la questione si rimanda a GIORGIO AGAMBEN, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino, Einaudi, 1974, pp. 5-14.
13 Per la questione (amplissima e mai doma la bibliografia che ha cercato di indagare il rapporto tra i due grandi padri
della letteratura italiana) si vedano, almeno, i seguenti saggi relativamente recenti (altri verranno segnalati nel corso dei capitoli): PAOLO TROVATO, Dante in Petrarca: per un inventario dei dantismi nei „Rerum vulgarium fragmenta‟, Firenze, Olschki, 1979; GIUSEPPE BILLANOVICH, Il vecchio Dante e il giovane Petrarca, «Letture classensi», XI, 1982,
pp. 99-118; GIUSEPPE VELLI, Il Dante di Francesco Petrarca, «Studi Petracheschi», n.s., II, 1985, pp. 185-199; ALDO S.
BERNARDO, Petrarch, Dante and the Medieval tradition, in Renaissance Humanism: Foundations, Forms and Legacy, a cura
di A. Rabil Jr., Philadelphia, University of Pennsylvania press, 1988, pp. 115-137; DOMENICO DE ROBERTIS,
11
nessuna intercessione femminile è in grado di guidare l‟uomo Petrarca fino alla visio divina
(Laura, seppur in grado di ritornare dall‟aldilà e, forse, di appartenergli, non è Beatrice o
santa Lucia);
14anche se in chiusura dei Triumphi la possibilità sembra quasi concretizzarsi. Per
Petrarca (almeno quello che vive nella letteratura) non vi è mai stata, insomma, nessuna pace
dalle continue fluctuaniones dell‟animo e dalle guerre delle passioni.
Non è detto poi che il Francesco dai mille volti, in veste di filosofo morale, non chieda al
suo lettore ideale di compiacersi dello stato umano e di non raggiungere mai completamente la
meta della pace ma di accontentarsi, prossimo a essa, di sfiorarla solamente; di tendere verso
quella destinazione per ipotizzarla al pari di una vetta che, se è praticamente impossibile da
scalare (come viene dichiarato anche in una postilla alla redazione del Secretum riportata nel
Laurenziano Santa Croce 26 posta affianco al proemio dove l‟ipotetica stesura di un trattato
sulla pace dell‟animo è messa indubbio fin dall‟uso del congiuntivo), a nessuno è impedito di
mirare. Una pace irraggiungibile come è irraggiungibile la lezione umana che viene messa in
mostra sulla cima del Ventoso, o come è irraggiungibile Cristo nell‟intensa e sintentica
cronistoria di un vecchio romeo (si veda il sonetto Movesi il vecchierel); dove il desiderio
fortissimo del povero pellegrino dovrà accontentarsi di una visione ‒ tema che per diverse
ragioni (e lo si vedrà) invade il campo della fluctuactio ‒ terrena (e quanto mai prossima) della
beatificante figura di Cristo, della Veronica, di ciò che, materialmente, è rimasto in questo
mondo: un processo di approssimazioni, quindi, anche se l‟oggetto, dopottutto, è molto vicino
al vero (nel caso specifico una reliquia unica, non un‟immagine ma un‟icona). Una condizione
irrequieta, fragile, soggetta agli attacchi delle passioni e che può essere scambiata dai lettori
moderni come una delle prime attestazioni della malinconia, in realtà tutta novecentesca, che
ha il suo apice, rispetto alla tradizione italiana, nel Montale “malato di vivere” (anche lui
stretto in un nodo non molto diverso da quello petrarchesco: entrambi “incontrano”, vaghi
e solitari, quella sorta di accidia nei simboli del mondo, o negli idoli, siano essi alloro, lauro,
pietre, statue, falchi, colombe o quant‟altro). Diversi sono, infatti, gli studi che, dediti alla ricerca
VICKERS, Widowed words: Dante, Petrarch and the metaphors of mourning, in Discourse of authority in medieval and renaissanceliterature, a cura di K. Brownler e W. Stephens, Hannover, University press of New England for Dartmouth college, pp.
97-108; GIUSEPPE CASOLI, Da Petrarca a Dante. Un viaggio nella cultura moderna alla ricerca di fonti, Roma, Città nuova, 1992;
GIUSEPPE BILLANOVICH, L‟altro stil nuovo. Da Dante teologo a Petrarca filologo, «Studi petrarcheschi», n.s., XI, 1994, pp. 1-98;
MARIO PETRINI, Petrarca e Dante, «Critica letteraria», XXIII, 1995, pp. 365-376; MANLIO PASTORE STOCCHI, Petrarca e Dante,
«Rivista di Studi Danteschi», IV, 2004, pp. 184-204; EZIO RAIMONDI, Petrarca lettore di Dante, in ID., Le metamorfosi della parola.
Da Dante a Montale, a cura di J. Sisco, Milano, Mondadori, 2004, pp. 173-232; JONATHAN USHER, «Sesto fra cotanto senno» and
appentetia primi loci: Boccaccio, Petrarch and Dante‟s poetich hierarchy, «Studi sul Boccaccio», XXXV, 2007, pp. 157-198. Altri saggi
verranno utilizzati nel corso della trattazione. Per un‟analisi della bibliografia recente mi sia permesso il rimando al mio
“Fragmenta” danteschi e non solo: alcune riflessioni su due libri recenti e un “nuovo” metodo d‟indagine del rapporto tra Dante e Petrarca,
«Scaffale Aperto», VI, 2015, pp. 123-139.
14 Ma soprattutto il Petrarca dei Fragmenta non è il Dante della Commedia, né quello “insicuro ma fedele” della Vita
nova. Se Laura non assume tutte le funzioni di Beatrice la colpa deve essere ricercata anche nel protagonista
12
delle manifestazioni della fragilità delle mente e dell‟io di Petrarca, finirono per individuare nelle
malattie dell‟anima i germi della moderna psicologia.
15Eppure basterà ricordare la celebre sentenza di Robert H. Jauss, rispetto alla scoperta
del mondo interiore, «sempre, là dove il poeta medievale risulta “psicologico”,
allora
deve essere anche “allegorico”».
16per ricondurre l‟intenzione autoriale alla base dell‟opera di
Petrarca nell‟ambito di un‟espressività tragica utile a definire, a dare voce al doloroso tentativo di
riscossa perpetrato nello spazio virtuale e intangibile delle lettere, ma consono a una mente
unica e complessa: intellettuale ma spirituale, tesa a colmare la distanza tra il mondo materiale e
quello celeste, impegnata nella ricerca di una pace alla lotta dell‟anima col corpo (rappresentata
su uno scenario al contempo visibile e invisibile, i cui tratti sono però tangibilissimi, così come la
intese l‟apostolo Paolo in Gal., VI 17). Una lotta, un conflitto, una vera e propria guerra
ingaggiata non solo contro le proprie tentazioni ma anche nei riguardi del cosmo; regno
tentatore degli spiriti malvagi che dimorano nello strato intermedio tra Inferno e Cielo (cioè la
terra stessa, si veda Eph., VI 12 ma anche per la traditio dalle linee “opposte” il De deo Socratis,
XIII). Una «lotta nell‟anima» che «si può al tempo stesso intendere una lotta per l‟anima, con il
corpo dell‟uomo, l‟intero cosmo e con la condizione del singolo cristiano la storia della salvezza
dell‟umanità».
17Sempre secondo Jauss, i campi di immagine di questo tipo di poetica, che lui
definisce dell‟«invisibile» sono ‒ elementi che chi scrive è sicuro che sia possibile riscontrare
anche nelle opere di Petrarca ‒ parte del complesso sistema delle fluctuationes, che comprende
anche le personificazioni delle «quattro figlie di Dio, i tre nemici dell‟uomo, il castellum amoris, la
via e il portone, l‟hortus conclusus del paradiso, l‟albero delle virtù, la armatura dei».
18Un
complesso sistema che, una volta indirizzato verso le passioni interiori assume, in maniera
profonda e strutturale, su di sé alcuni tratti allegoretici.
19Petrarca fornisce una testimonianza unica, in bilico tra la spiritualità di un religioso e la
fierezza di un laico subspecies, costretto, però, a riconoscere che la vera Sapienza è fruibile
solamente attraverso la Fede: infatti, nella sua esperienza, nella negazione della pace dell‟animo
sembra quasi voler suggerire di non ricadere nell‟atteggiamento di superbia tipico della filosofia
classica che predicava l‟autosufficenza dell‟io. La troppa sicurezza, infatti, espone chiunque ai
15 Per quanto importante e spesso anche piuttosto lontano dai rischi, può essere ricondotto alla categoria degli studi
“psicologici” il volume STEFANO AGOSTI, Gli occhi, le chiome. Per una lettura psicoanalitica del „Canzoniere‟ di Petrarca,
Milano, Feltrinelli, 1993, ma negli anni vi sono stati errori ben più colossali frutto di una critica demodé e poco accorta: emblematico il lavoro datato diPINO DA PRATI, Il dissidio nell‟Arte e nell‟Anima di Francesco Petrarca, Sanremo, Bracco, 1963.
16 HANS ROBERT JAUSS, Alterità e modernità della letteratura medievale, Torino, Boratti Bolinghieri, 1989 (ed. or. 1977),
p. 34.
17 Ivi, p. 28. 18 Ivi, p. 34.
19 Così viene definito il processo metaforico di Chrétine de Troyes da CLIVE S. LEWIS, L‟allegoria d‟amore. Saggio
13
pericoli di un agguato che può capitare perfino in chiesa, e addirittura in un giorno e in un‟ora
confezionati ad arte per i quali le passioni dovrebbero spegnersi automaticamente, così come ci
viene raccontato tanto nei sonetti proemiali dei Fragmenta («Tempo non mi parea da far
riparo», Rvf 3, 5), dove il conflitto è condotto secondo le regole dell‟attacco a sorpresa
piuttosto che del combattimento a viso aperto (infatti, Amore prende l‟arco «celatamente», Rvf
2, 3, mentre Laura «non mostra pur l‟arco», Rvf 3, 14, per trovare Francesco «del tutto
disarmato», Rvf 3, 9, proprio perché conduceva la sua esistenza «secur, senza sospetto», ivi,
7), quanto nel sonetto Rvf 61, in cui la costruzione per enumerazione sull‟anafora di
benedetto/benedette conferisce ai versi della seconda quartina un valore fortemente
ossimorico: si instaura così una litote potentissima, dove sia l‟«arco», sia le «saette» e
addirittura le «piaghe che ‟nfin al cor mi vanno» finiscono per assumere un valore positivo.
Il conflitto evolve, e si staglia su di un campo di battaglia coincidente con l‟oggetto della guerra
(cioè il Petrarca stesso) in una direzione se non di raggiungimento del riscatto morale,
quantomeno di inquietudine accorta – la presa di coscienza è già uno stadio avanzato – tra le
varie personificazioni. Se il compito di ogni filosofo è, come ricorda una nota sentenza
senechiana,
20riflettere sulla morte, non meno peso avrà avuto nell‟ambito della meditazione
petrarchesca anche questa unica e rara (poiché davvero complessa e al contempo filiforme)
germinazione di inquietudini.
1.1
Franciscus mille ossessive guerre, un fondo lontano.
L‟immaginario della fluctactio, in specie quello relativo al modo conflittuale che qui
esemplificando riconosciamo nel termine lis o nei suoi sinonimi conflitto, altercatio, e via
dicendo, si estende su un arco temporale che coincide in pratica con la vita di Francesco
Petrarca. Nessuna opera dell'autore è inerte dalle furenti contraddizioni generate dal (pseudo)
pentimento che viene rappresentato di volta in volta attraverso il costante uso di un frame
bellico che, rispetto all‟estensione dell‟opera tutta, appare a prima vista ridotto e ridondante
(come si vedrà nelle prossime pagine l‟immaginario metaforico è altemante ricorrente e sempre
con gli stessi ossessivi elementi) ma in verità è piuttosto articolato e, in alcuni casi, gode di una
20 Seneca, Ad Luc., LVII 4 ma in realtà il tema è topico fin dai tempi di Anassagora, un passo del quale è leggibile
nel terzo libro delle Tusculanae. La meditatio mortis è ricorrente nelle riflessioni della patristica da Gerolamo (Epyst., LX a Eliodoro: «Sciebam me genuisse mortalem»), a Bernardo (Sermo, I e XII) fino ad Ambrogio (De excessu fratris, I: «Memineram [fratello] esse mortalem»); si rimanda al celebre commento di ENRICO FENZI, Commento a FRANCESCO
PETRARCA, Secretum. Il mio Segreto, a cura di E. Fenzi, Milano, Mursia, 1992, p. 291 nota 1, p. 292 nota 3 e p. 303
14
specificità architettonica degna del precedente Dante, canonicamente riconosciuto (e opposto a)
Francesco Petrarca nella cifra di grande poeta filosofo.
21Non entro nella questione del
confronto tra i due padri delle origini della letteratura nazionale, che troppo svierebbe
dall‟impostazione di questo lavoro, basterà qui affermare senza portare, per ora, dati (quelli si
troveranno nelle pagine che seguono) che l‟immaginario bellico di Petrarca nutrito di un fondo
filosofico di non sempre facile riconoscimento (almeno per quanto concerne tutte le sfumature)
non ha nulla da invidare a quello del predecessore; che, tra l‟altro, in non pochi casi, come si vedrà,
deve essere identificato come fonte (o bacino) volgare prediletta da cui attingere. Il ricorrente uso
delle stesse immagini, appena variate tra prosa e poesia, latino e volgare, e spesso forzate a un uso
pragmatico, soprattutto negli epistolari (Petrarca non disdegna, per esempio, in una suasoria diretta a
Luchino del Verme, per coinvicerlo a partecipare alla spedizione veneziana allistita per sedare la
ribellione degli isolani, nota con l‟appellativo di rivolta di San Tito, a Creta, di servirsi, per
rappresentare il modello perfetto del giusto duce, del complesso sistema virtuosistico-filosofico,
atto a figurare di solito la guerra delle virtù ai vizi), potrebbe comportare il rischio di rendere questo
lavoro, soprattutto questo primo capitolo, un elenco vuoto di luoghi; per quanto possibile si è
cercato di evitare il rischio dell‟elencazione e magari anche di non ricorrere ossessivamente alle
stesse fonti.
22Il rischio è alto, si è consci, però, di averlo assunto.
Prima di entrare nel merito della problematicità delle fonti, è bene fornire ancora
alcune indicazioni sul tema dell‟altercatio in Petrarca, sulla forma dei conflitti. La lis nel nostro
autore è condotta, come si è accenato, generalmente, seguendo due strade; due rette che,
spesso, non disdegnano di intrecciarsi e altresì di incrociare altre questioni o
sottotematiche inerenti al conflitto in generale: uno di questi incronci, per esempio, può essere
riconosciuto nell‟amore per Laura, o per quanto Laura incarna e rappresenta. L‟ansia, la
frustrazione, il sentimento sono strettamente legati alla tematica della fluctuactio, in una
direzione che ben si confà al gusto contrappositivo della mente filosofica e poetica di
21 Ma non da tutti, basterebbe la seguente esemplificazione, «Petrarca ha […] inserito l‟esegesi allegorica
nell‟approccio umanistico alla scrittura poetica» tratta da MARCO ARIANI, Petrarca, Roma, Salerno Editrice, 1999, p. 70, per renderci conto di quanto Petrarca abbia a che fare, anche come poeta, con la filosofia.
22 L‟impostazione del lavoro è ben lungi dall‟essere crociana, mi riferisco al classico lavoroBENEDETTO CROCE, La
ricerca delle fonti [1909], in ID., Problemi di estetica e contributi alla storia dell‟estetica italiana, Bari, Laterza, 1940, pp.
492-493, senza entrare nel merito della problematica della storia della Teoria delle fonti, che dovrebbe chiamare in causa studiosi del calibro di Barthes, Genette, Popovič, Arrivé, Kristeva fino ai nostri Rajna e Pasquali e via dicendo (sulla storia della teoria si vedaMARIA CORTI, Il binomio intertestualità e fonti: funzioni della storia nel sistema letterario, in La
scrittura e la storia. Problemi di storiografia letteraria, a cura di A. Asor Rosa, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. 115-130
e il contributo di GIAN B.CONTE, Memoria dei poeti e sistema letterario: Catullo, Virgilio, Ovidio, Lucano, con prefazione di C. Segre, Palermo, Sellerio, 2012, in particolare le pp. 30 ss, che era stato pubblicato nel 1974), in questo lavoro si è scelto di addottare a fondo un teorema di intertestualità “attiva” (dando comunque attenzione, qualora sia necessario, alle fonti panoramiche); attiva, naturalmente, rispetto all‟impalbabile sistema letterario di ogni autore, l‟assunto è vicino al concetto di «appropriazione», a sua volta non distante mi sembra dalla Quellenforschung positivista, così come venne definito daEZIO RAIMONDI, Intertestualità e storia letteraria. Da Dante a Montale. Appunti
15
Petrarca: essi ne sono, infatti, causa e al contempo conseguenza. Il nesso fluctuactio-amore
non si esaurisce qui, ne è invaso, addirittura, lo stesso campo semantico (o parte di esso):
infatti, sebbene il processo dell‟innamoramento venga raffigurato attraverso un immaginario
che, mentre tesaurizza le fonti classiche della militia veneris, già abbastanza operanti in verità nella
lirica romanza, si nutre delle norme pseudo-scientifiche che la stessa lirica duecentesca aveva
faticosamente (ma con esiti sublimi, soprattutto quelli di Guido Cavalcanti e Dante)
23armonizzate; finché l‟operazione non consuma, una volta ivi stagliata, il mondo interiore
p a r t e dell‟animo del protagonista di Fragmenta e Triumphi. Non stupisce quindi che
l‟immaginario bellico dell‟innamoramento avrà molto in comune, perlomeno il campo di
battaglia, con quello militare della fluctuactio.
24Sembra, insomma, quasi impossibile operare una
distinzione netta tra le due linee, così come è difficile percepire i confini dell‟impatto che
la pervasiva e complessa categoria della lis ha sulla filososfia di Petrarca nelle opere morali.
Quando la Voglia e la Ragione hanno combattuto entro l‟animo di Petrarca (Rvf 101, 12)
per anni a causa della Lussuria, che spinge e attanaglia l‟io lirico verso (e sotto) l‟egemonia di
Amore e Laura, il conflitto è marcatamente intra se: i sentimenti dell‟uomo sono cioè
personificati, sembrano agire e conducono, assieme con o contro Amore (ora dio, ora
sentimento) una vera e propria pugna amoris che non è solo il risultato della resistenza alla
passione ma assume, proprio perché peccato e vizio, i tratti di una guerra spiritualis. Allo
stesso modo i monaci del De otio religioso o l‟anima penitente dei Psalmi penitenziali sono i
protagonisti di un altro scenario del medesimo atroce dramma bellico: una guerra in questo
caso extra se condotta tradizionalmente contro tutto ciò che è tentazione nel tempo della lunga
«viam Christi», che è la vita.
25La vita, una vera e propria «militia super terram»,
26in cui l‟uomo giusto è costretto a restare
vigile in ogni momento e, come un soldato esperto della vita militare impegnato a sopportare il
freddo, la fame, il sonno, a doversi sempre guardare dall‟assalto dei ladroni notturni, dalle
acuminate armi delle passioni o dei vizi (la stessa Laura potrebbe essere riconosciuta come una
tentazione), o dal grande nemico del cristiano («inimicus […] est diabolus» Mt, XIII 39),
27il
23 La bibliografia sullo “stile della loda” dantesco è amplissima. La gara di temi, retorica e stile nel Duecento tra
Dante e Guido Cavalcanti, predecessore solo in parte, è ben riassunta in ENRICO FENZI, Conflitto di idee e implicazioni
polemiche tra Dante e Cavalcanti, in ID., La canzone d‟amore di Guido Cavalcanti e i suoi antichi commenti, Genova, Il
Melangolo, 1990, pp. 9-70.
24 Per ora si vedano (altri saggi verranno citati in seguito): MANLIO PASTORE STOCCHI, I Sonetti III e LXI, «Lecture
Petrarce», I, 1981, pp. 3-23, MICHELANGELO PICONE, Un dittico petrarchesco: Rvf 2-3, in L‟io lirico: Francesco Petrarca.
Radiografia dei „Rerum vulgarium fragmenta‟, a cura di G. Desideri, A. Landolfi e S. Marinetti, Roma, Viella, 2003, pp.
323-336.
25 Agostino, Enarrationes in Psalmos, XXXVI 2, 16. 26 Il “classico” insegnamento di Job, VII 1.
27 Ma anche 1 Petr., V 8: «adversarius vester diabolus». Da lì la strada per la qualificazione è spianata. Petrarca nel De
ot., I 4, 397, cita la Vita Antonii di Atanasio ma anche Agostino dedica una piccola opera incompiuta al tema, il De agone christiano, che si apre con la sentenza: «Corona vincentibus promissa. Adversarius diabolus auxilio Christi
16
diavolo. Il diavolo, Satana, Lucifero, l‟essere (o gli esseri) contro il quale, seguendo una
larghissima tradizione che invade anche il campo della cultura popolare,
28i monaci della
certosa di Montrieux sono persuasi a perseverare nella pugna diaboli che, mentre si svolse nel
cosmo ben prima dell‟inizio dell‟umanità,
29attanaglia l‟uomo con l‟infingardo potere della
Superbia;
30anche le mura della stessa certosa sono a rischi
31se i suoi abitanti sono spinti a
dubitare, proprio come Cristo nel deserto, della potenza divina: «Optat adversarius noster
non ut discamus, cui ignorantia nostra gratissima, scire nostrum permolestum est, sed un
secum confundamur, qui audivit a Domino: “Vade retro Sathanas; scriptum est enim:
„ Non tentabis Dominum Deum tuum‟”».
32Nulla di quello che rappresenta Dante nell‟Inferno è
presente, rispetto alla pugna diaboli, in Petrarca:
33è un dato banale (dovuto a diverse cause e
fattori) che non stupisce; eppure il tema, a dimostrazione di quanto sia complesso il motivo
generale della fluctuactio e delle tentazioni tratteggia nuove sfaccettature, sebbene molto
sfumate, sull‟opera petrarchesca.
Petrarca, insomma, non inventa nulla. L‟altercatio, la psicomachia, esisteva ben prima di
lui nell‟immaginario poetico e filosofico dell‟uomo cristiano, nelle Sacre Scritture non sono
poche le descrizioni di battaglie o di conflitti, o di duelli, reali o figurati.
34Ma anche nel
mondo classico (nelle Metamorfosi di Ovidio Vergogna e Amore spingono Giove a mentire o
meno a Giunone),
35o nell‟universo platonico, che presto venne assorbito e non eliminato
vincitur». Si ricordi che una lotta diaboli è inscenata nel De otio religioso, cfr. KWIRYNA ZIEMBA, Petrarca e la tradizionemonastica, in Petrarca a jedność Kultury europejskiej /Petrarca e l‟unità della cultura europea. Atti del Convegno Internazionale
(Varsavia, 27- 29 maggio 2004), a cura di M. Febbo e P. Salwa, Warszawa, Semper, 2005, pp. 93-108, p. 103.
28 Si vedano, almeno, oltre al già ricordato RUSSELL,Il diavolo nel Medioevo, cit., anche NEIL FORSYTH, The old enemy.
Satan and the combat myth, Princeton, Princeton University Press, 1987 e VALÉRIE SERDON, Armes du diable: arc et
arbalètes au moyen age, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2005. Utile, sebbene datato, ma è pur sempre una
lettura interessante soprattutto per l‟amplissimo repertorio di testi dalla natura popolare il vecchio lavoro di ARTURO GRAF, Il diavolo, Milano, Treves, 1889. Si ricordi di nuovo che ancora negli anni della Gerusalemme del
Tasso l‟universo ultraterreno entra in conflitto e lo fa con angeli e diavoli.
29 De ot., I 4, 13: «Sub Cristo iurastis, indixistis bellum Sathane quod iam inde ab exordio generis humani ille vobis
indixerat». La famosa guerra tra Satana e Dio è narrata in Is., XIV 12-14 (dove, forse, il riferimento andrebbe letto più come una profezia “storica”) e in Ap., XII 3-4.
30 Sulla questione cfr. CARLA CASAGRANDE-SILVIA VECCHIO, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, Torino,
Einaudi, 2000, pp. 6-11.
31 Impossibilitate in verità a frapporsi alle tentazioni, cfr., De ot., II 6, 8: «Reliquistis enim dyabolum ac mundum et
utrunque, sacre domus oberati foribus, exclusistis: carnem vero non ita».
32 De ot., I 4, 487-489, ancora più efficaci i paragrafi che seguono: «Vult ut Domino nostro, a quo et per quem et in
quo sumus, sine pignore non credamus; imo equidem ut mille pignori bus acceptis nova supervacua et nocitura poscamus, quo illum scilicet vanis superstitionibus irritemus “obdurantes corda nostra, sicut in exacerbatione, secundum diem tentationis in deserto, ubi tentaverunt eum patres nostri, probaverunt et viderunt opera sua”». Le citazioni petrarchesche vengono da Mt, XII 39; ma anche IV 10 e VII (che cita Deut., VI 16) e, infine Ps., XCIV 8-9.
33 Sulla metafora bellica nella Commedia, sul sostrato culturale dell‟immaginario militare alla base dell‟opera dantesca,
è fondamentale (anche per la scrittura di questo primo capitolo) il lavoro di MARCOZZI, Metafore belliche nel viaggio
dantesco, cit., in particolare pp. 59-71.
34 Si può pensare all‟episodio della lotta di Giacobbe in Gn, XXXII 24-32: così carico di significati morali esposti e
di un meccanismo allegorico che trasluce la personificazione celeste (o divina).
35 È la storia del noto affaire d‟amore di Giove con Io: Met., I 617-621 «Quid faciat? Crudele suos addicere amores;
/ non dare, suspectum est. Pudor est qui suadeat illinc, / hinc dissuadet Amor. Victus Pudor esset Amore; / sed leve si munus sociae generisque torique / vacca negaretur, poterat non vacca videri».
17
dalla cultura cristiana in quello che fu uno scontro civile (e quindi economico e politico),
culturale per nulla (o non del tutto) silenzioso,
36sono tanti i riscontri opportuni atti a
definire il frame bellico della lotta tra personificazioni,
37o, più in generale, del topos della
contesa.
38In poesia Prudenzio (uno dei pochi poeti cristiani lodati da Petrarca e non solo
per il significato sub velamen dei versi)
39aveva fornito la prova più maestosa di
concretizzazione della guerra ai vizi:
40la Psycomachia godette di una fortuna straordinaria. Per
averne un esempio, basterebbe ricordare, sebbene non si dovrebbe parlare di un semplice
volgarizzamento, che, quasi mille anni dopo la morte di Prudenzio, Bono Giamboni
traspone ancora in volgare i temi, l‟atmosfera e soprattutto il conflitto tra le passioni
contenuti nell‟opera dell‟autore cristiano nel suo Libro de‟ Vizî e delle Virtudi. Nel mondo
romanzo opere come il Roman de la Rose (o il suo volgarizzamento, il Fiore) o il Lancelot di
Chrétien de Troyes, sono l‟esempio più fulgido del passaggio da un mondo letterario in cui i
sentimenti erano oggettivi e inanimati, oppure, al limite, sfumati nelle vesti della divinità, a una
realtà in cui lo stato d‟animo viene concretizzato nella parola e nell‟actio della storia. Anche il
Lancilotto di Chrétien indeciso nel compiere un‟azione (nel caso specifico salire o meno sulla
caretta dei condannati, vv. 369-381) subisce un conflitto tra opposti sentimenti, Amore e
36 Basterebbe ricordare per sottolineare la fortuna dell‟immaginario dell‟animo fluttuante un passo del De deo Socratis,
XII di Apuleio: «Ac ne ceteros longius persequar, ex hoc ferme daemonum numero poetae solent haudquaquam procul a veritate osores et amatores quorundam hominum deos fingere: hos prosperare et evehere, illos contra adversari et adfligere; igitur et misereri et indignari et angi et laetari omnemque humani animi faciem pati, simili motu cordis et salo mentis ad omnes cogitationum aestus fluctuare, quae omnes turbelae tempestatesque procul a deorum c aelestium tranquillitate, exulant». Il piccolo trattato ebbe una diffusione straordinaria nel mondo medioevale, cfr. CLIVE S. LEWIS, L‟immagine scartata. Il modello della cultura medievale, postfazione di P. Boitani, Genova, Marietti, 1990, pp. 36-39, p. 38 (ed. or. 1964): «questa piccola opera è doppiamente omportante per chi si occupa di cultura medievale. Per prima cosa, essa evidenzia il canale attraverso cui alcuni frammenti di Platone […] giunsero al Medioevo […] poi, Apuleio introduce due principi […] il Principio della Triade […] il Principio della Plenitudine». Logicamente la questione è complessa, molto spesso l‟universo letterario e culturale medievale fu assorbito e contestualizzato dalla cultura cristiana. Anche Petrarca nella Sen., IV 5, fornisce un‟interpretazione allegorico dell‟Eneide di marca cristiana. Agostino, la cui influenza su Petrarca è incalcolabile, fu il primo autore cristiano a prospettare coscientemente la sincresia tra il mondo classico e la teologia anche se i germi di tale atteggiamento non furono un atteggiamento del tutto nuovo nel mondo cristiano, per esempio, Giustino nella seconda Apologia II 13, 4, aveva scritto che qualunque cosa di buono fosse stata detta da chiunque apparteneva ai cristiani. Sul tessuto classico passato nella letteratura cristiana non si può che rimandare all‟immenso lavoro di HUGO RAHNER, Miti greci nell‟interpretazione cristiana, Bologna, Il Mulino, 1971 (ed. or. 1961).
37 Si ricordi la sentenza di PAOLO VALESIO, Esquisse pour une étude des personnifications, «Lingua e stile», IV, 1969, pp.
1-21, p. 6: «l‟axe fondametal de la transformation n‟est pas l‟axe „abstrait‟-„concret‟, mais l‟axe „inanimé‟-„animé‟».
38 EMILIO PIANEZZOLA, Personificazione e allegoria. Il topos della contesa, in Simbolo, Metafora, Allegoria. Atti del IV
Convegno Italo-Tedesco (Bressanone, 1976), a cura di D. Goldin e con una premessa di G. Folena, Padova, Liviana, 1980, pp. 61-72. Secondo Lewis (L‟allegoria d‟Amore, cit., pp. 48 ss.) la genesi della personificazione allegorica deve essere rintracciata in Stazio; nella Tebaide, infatti, gli dei perdono la loro personalità mitologica per assumere i tratti dell‟astrazione: «combattono tra di loro, non attraverso i loro rappresentanti tra gli uomini ma direttamente» (ivi, p. 54), ergo Marte coincide con la Guerra, Bacco è «l‟ubbriachezza personificata» (ivi, p. 50). Per quanto riguarda la dicotomia allegoria-violenza si veda l‟interessante lavoro (un capitolo è dedicato anche a Francesca da Rimini) di GORDON TESKEY, Allegory e Violence, Ithaca, Cornell University Press, 1996.
39 Ha fatto storia il vecchio (e breve) saggio di ENRICO PROTO, Il Petrarca e Prudenzio, «Rassegna critica della
letteratura italiana», VIII, 1903, pp. 206-213.
40 Dove compaiono delle «abstracion divinisées» come le chiama Maurice Lavarenne nella sua Notice all‟edizione