• Non ci sono risultati.

CRISTIANO TORALDO DI FRANCIA

stanza, attraverso la propagazione di onde luminose sprigionate dai segnali delle torce infuocate, ora invece strumenti di trasmissione di onde sonore per un borgo, che risve- gliandosi da un lungo sonno, si trasformava in un grande teatro.

La seconda esperienza che vorrei ricordare è della fine degli anni ‘70 e si situa nel borgo storico della città di Tropea in Calabria. Anche in questo caso mi sono trovato di fronte ad una comunità addormentata nelle sue consuetudini, che andava subdolamen- te adeguandosi ad una acritica vocazione turistica balneare, mentre si avviava ad una veloce trasformazione del borgo in un non luogo della merce.

Avevo constatato la perdita della memoria collettiva della struttura originaria del corso principale che univa un tempo due delle porte delle mura collocate una a nord, l’altra a sud, per una nuova direttrice che a fine ‘800 aveva tagliato perpendicolarmente dal monte all’affaccio sul mare, sul modello di tutti gli sventramenti istituzionali che avevano lacerato i tessuti storici delle città europee, secondo l’ottica di controllo hau- smaniana. D’altra parte la introduzione sempre più veloce delle modalità di diffusione e consumo della merce, stava producendo sul tessuto della città labirinto, disegnata come una corteccia cerebrale, una veloce lobotomia, che andava rimuovendo ogni possibilità di interpretazione dei segni e delle storie della stratificazione storica della fabbrica urbana.

In questo caso ho cercato di ricorrere alla stessa strategia che nella prima fase del Superstudio avevamo chiamato “Arredare il deserto”, mentre per l’intervento di nuove tecnologie avevo come riferimento un progetto di Archigram che raccontava di un dirigibile in volo sopra un borgo storico inglese addormentato, che dopo aver calato strutture leggere, gonfiabili, vele, striscioni grafici, apparecchi musicali e di illuminazio- ne, risvegliava dal sonno la cittadina, che tornava a vivere, ancora una volta trasformata in un unico grande teatro.

Insieme ad un amico musicista, Daniele Lombardi, e ad un amico pittore, Paul Blan- chard, abbiamo studiato un progetto che abbiamo chiamato “Tropea come un video- game”, immaginando di trasformare ancora una volta un borgo in un teatro mediatico, che coinvolgesse tutti gli abitanti, rivelandone attraverso la rappresentazione la strut- tura urbana e la vicenda culturale. Abbiamo scelto tre storie dalla raccolta delle novelle calabresi di Italo Calvino, con ognuna delle quali identificare un segno/percorso della fabbrica urbana: l’anello della strada perimetrale lungo le mura, il vecchio corso nord sud e il nuovo corso est-ovest. Per ognuno di questi percorsi Daniele, seguendo la no- vella, ha composto un opera breve per cantante e strumenti, mentre Paul ha predisposto immagini da proiettare sui muri e scene viventi ed io alcune piccole strutture tempora- nee a segnare punti significativi dei percorsi. Le persone si sarebbero mosse lungo tali percorsi accompagnati da canto, suoni, immagini rileggendo luoghi e direzioni come i personaggi essenziali di un videogame urbano.

Il progetto però rimase tale perché un cambio improvviso di amministrazione della città, come spesso succede nel nostro paese, fece naufragare il progetto.

Agli inizi degli anni 90, a seguito dell’invito di Eduardo Vittoria a far parte del primo nucleo di insegnanti per la nuova Facoltà di Architettura dell’Università di Camerino ad Ascoli Piceno, mi sono trasferito nelle Marche a Filottrano, un borgo di 9000 anime, paese natale di mia moglie Lorena.

Anche in questo caso ho trovato un paese dissociato, perché se da una parte era attivo nella produzione di bellissimi abiti (disegnati però da altri, quindi prodotti per conto di altre ditte), dall’altra appariva completamente ignaro di una sempre più drammatica perdita di contatto con una globalizzazione culturale dilagante e in parte addormentato sulla routine quotidiana del “magnà, beve e star contenti”.

Per cercare di scuotere dal torpore i miei nuovi concittadini e provocare reazioni e nuove prese di coscienza, ho organizzato con la scusa di un “Seminario di Architettura” una settimana di progetti per il centro storico, con incontri e azioni programmate in grado di coinvolgere gli abitanti come attori degli eventi.

Con il pittore Giorgio Mercuri e alcuni giovani aiuti abbiamo ripulito la prima fab- brica costruita negli anni 60 che aveva distrutto un pezzo delle mura, ma che era stata in seguito abbandonata per una nuova localizzazione della zona industriale. Abbiamo destinato un piano a laboratorio di Architettura per i 30 studenti della California State University, che si trasferivano da Firenze per una settimana, ospitati presso le famiglie di Filottrano, e ai quali chiedevo un progetto su un tema della città.

Un altro piano è stato dedicato agli eventi serali di performances, mostre tempora- nee, concerti e conferenze. La fabbrica di vestiti “Orland”, dal nome del suo fondatore, diventava così la “Fabbrica delle Arti”, nella quale si progettava architettura, si dipin- gevano murales, si faceva musica, si raccontavano storie, si ballava o faceva teatro. Una settimana intensa che coinvolgeva non solo la fabbrica, ma vari altri luoghi del paese con tutti i suoi abitanti. Alla fine una presentazione e discussione pubblica dei disegni e modelli prodotti dagli studenti risvegliavano l’interesse e la critica sul degrado di alcune parti del borgo.

Il seminario è andato avanti per tre anni nel ‘92, ’93 e ‘94 con titoli diversi: Archi- tettura e Restauro, Architettura e Arte, Architettura e Auto, ogni volta partendo dalla messa a fuoco di uno specifico problema relativo alla sopravvivenza del Borgo. Anche in questo caso il cambio di amministrazione alla guida del paese ha interrotto una sequenza di eventi, che avevano avuto il merito di risvegliare le forze giovani della cit- tadina e di attirare a Filottrano operatori delle varie discipline da Milano a Bari.

Ma ormai era avviata la Facoltà di Architettura e pur dispiaciuto per l’interruzione del Seminario ho concentrato le mie forze nel riportare all’interno dell’Università una tale strategia di analisi e critica che risultasse di stimolo alla rinascita delle varie realtà dei borghi marchigiani.

Ricordo una delle prime tesi di laurea da me seguite, che aveva preso in esame il borgo di Faraona, a sud del Tronto, abbandonato in seguito a un terremoto e a una conseguente frana, ma che poteva essere recuperato con un azione di consolidamento

paesaggistico e architettonico. L’adeguamento architettonico prevedeva una nuova de- stinazione a “Centro per ricerche e seminari”, riservando le case del borgo a residenze per i ricercatori, mentre i terrazzamenti di consolidamento della collina, coperti da una struttura reticolare vetrata avrebbero accolto le attrezzature del Centro ricerche.

Vorrei chiudere queste brevi note ricollegandomi al primo evento raccontato, ricor- dando una recente incursione con un centinaio di studenti, tra cui anche quelli di Ni- cola Flora, attraverso il borgo storico di Recanati deserto in una fredda mattinata di maggio, trasportando delle grosse borse impermeabili da spesa, regalate dalla Coop, con all’interno un piccolo giardino.

In un certo senso, fatta salva la differente scala, si poteva pensare di ricollegarsi con uno dei primi happening di Fluxus, organizzato da Allan Kaprow, che aveva attraver- sato le strade di New York con una settantina di persone, che recavano delle fronde di acero, come una foresta ambulante.

La nostra azione che aveva come titolo “Giardini pensosi portatili” seguiva una se- quenza di giardini pensosi che negli anni avevo fatto costruire ai miei studenti di “Ar- chitettura del paesaggio” nel grande campo davanti alla nostra Facoltà di Ascoli Piceno come presa di contatto fisico con i materiali del paesaggio e presa di coscienza della dinamicità del divenire del risultato formale, legata al tempo e alle stagioni. Alle co- struzioni verdi veniva poi associato un sistema grafico recante una citazione, una poesia, o un pensiero sul paesaggio, scritto su piccole lastre di metacrilato quasi a voler signifi- care un muto colloquio con i materiali della natura. La città solida di rossi mattoni si è animata a seguito di questa labile processione verde, con gli abitanti che stupiti chiede- vano informazioni, mentre i bambini della scuola elementare sono usciti in massa con le maestre a leggere i pensieri e a riconoscere i versi.

A Recanati i giardini o piccoli orti portatili non potevano non recare legati ad una cannetta infissa nel terreno brevi citazioni dai pensieri di Leopardi sulla Natura.

TOWARDS COUNTRYLOSOPHY Franco Arminio

My work is aimed more at perceptions than for formers of opinion. In a world dominated by the present, in the ruins of modernity and choral autism, the paesologia (the study of villages and the countryside, TN) proposes a simple exercise to detoxify opinions, to give attention to the usual things, things so obvious that no one thinks to ask why. It is an experience for those who love looking at the world, rather than judge it: observing where and how to inhabit it without the anxiety of complaints or complacency.

I got out for the sun, to see death who weaves her dress on the bodies of the elderly, to see the benches, the snacks at the bar, the scene of the world as it is now, those at the bar scratching the numbers to become rich.

The story is totally internal to my childhood that continued to the place where I stayed, to the fears that have fed me and continue to feed me. Then there is the outside, there are countries. There is the world whose countries have a worn margin and there is the idea of using such sites as a pharmacy, a relief to get out of the ego’s cabin.

Every country is my yard.

The paesologia as excess, as output from the story of small life, life divided in millimetres, pre-printed, as a form to fill out.

MONOGRAM Franco Arminio

In principle there is the body and there is a country. I was perhaps more in my country than in my body. And however, the principle of this double dilemma is irritation. Living in my body and in my country are two irritating things. It doesn’t bring me calmness, it doesn’t bring me bliss. This double house arrest secretes writing and anxiety, anxiety and writing. Here’s another plot. The story is totally internal to my childhood, that extends to the place where I was, the fears that have fed me and that I still have. Then there is the outside, there are countries. It is the world whose countries have a worn margin. Then there is the outside, the idea of using sites such as a pharmacy, a relief to get out of the ego’s cabin. Then there is the idea of inventing a discipline that is a cross between the air that is inside the body and what is outside. Poetry and ethnology, wet words in my mood. Moody discipline, provisionally, a discipline that was born towards the end of his life, toward the end of the world or at least in the time of his exhaustion. I speak of the human world, I speak of their presence that has become a further factor of irritation for me. There are too many around me. The paesologia (the study of villages and countryside, TN), doesn’t set, doesn’t articulate, is not given in formulas. It is never a mechanism. It is, if anything from somewhere is, just in coming from formulas, from the fields. Undisciplined discipline. Knowledge essentially metaphorical, phrases that are images rather than concepts.

THE BURGS OF THE