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Lo start up di impresa giovanile, cui il finanziamento PAI dedica risorse a va-

MICAELA FANELL

1. Lo start up di impresa giovanile, cui il finanziamento PAI dedica risorse a va-

lere sul FSC, potrà essere indirizzato in diverse direzioni funzionali all’implemen- tazione dell’idea forza: le cooperative di servizi, le imprese del benessere funzionali ai servizi (per la creazione di vero distretto), la riscoperta degli antichi mestieri, in particolare per l’ubicazione del centro storico.

l) Anche nella fase di cantiere, verranno attivate collaborazioni con master uni- versitari di varia natura (quali marketing turistico), al fine di integrare le attività formative con quelle operative (es. progettazione logo, individuazione bacini di utenti, ...).

D) Per ripopolare il centro storico, senza snaturarne l’essenza

m) Si realizzeranno misure di vincolo ulteriori (quali ad es. il piano colore) per evitare che il progetto snaturi l’essenza architettonica del centro storico;

n) Si attuerà il rifacimento dell’illuminazione pubblica, attraverso l’attuazione della pianificazione del settore di cui è dotato il comune e che ha già generato la realizzazione di numerosi interventi sui tetti pubblici, con una progettualità “arti- stica” particolare per l’area di Piano della corte, ma soprattutto attraverso la ristrut- turazione attuata con le più moderne tecniche per il risparmio e l’efficientamento energetico, ovviamente in modo compatibile con l’elevato interesse storico-artistico dell’ambiente ospitante;

o) Si individueranno misure collaterali per rendere conveniente la residenzialità nel centro storico anche dei cittadini riccesi, es. con misure di “sgravio” della tassa- zione locale (es. tares) o con condizioni contrattuali vantaggiose per la ristruttura- zione resa a privati dall’impresa pubblica appaltatrice che realizzerà gli interventi per l’albergo diffuso.

E) Per la realizzazione di servizi di qualità

p) Complementare al progetto è l’idea del “Rifiuto zero” che completa l’idea di comunità a cui si sta pensando. Il PAI infatti finanzia anche un compostatore per l’umido urbano prodotto che, unitamente alla raccolta differenziata porta a porta e agli accordi con i consorzi di filiera, avvicina all’obiettivo di rendere “autarchico” il Comune dal punto di vista della produzione di rifiuti. Tutto il centro viene interes- sato da questa rivoluzione e quindi, in particolare, i vicoli del centro storico, dove più complicata è l’attuazione della raccolta differenziata porta a porta.

q) Riduzione delle perdite idriche per l’efficientamento. La seconda utilities – in aggiunta ai rifiuti – che col progetto viene messa in efficienza è quella dell’acqua, con un intervento articolato per la riduzione delle perdite, per il controllo automa- tizzato, per l’efficientamento.

2.3 / La governance del sistema dell’albergo diffuso del benessere

La delibera della giunta regionale che disciplina l’attuazione della programmazione territoriale nella quale rientra il PAI, disciplina le forme di governance che il sistema territoriale deve adottare. I nostri comuni hanno scelto un raccordo “soft”: prevede cioè una regia leggera, che svolge sostanzialmente le attività di monitoraggio e inoltro accentrato delle pratiche all’ente regione, mentre la gestione degli appalti e ogni altra attività è svolta dai singoli comuni. Purtroppo, i finanziamenti all’assistenza tecnica “collettiva” per un servizio comune spinto (regia unitaria vera, ideazione mkt e promo- zione, stimolo alle attività imprenditoriali secondo il modello distrettuale, ecc.) sono stati tagliati e così le gambe su cui l’intero sistema poteva camminare si sono azzoppate. Certo, i Comuni potrebbero decidere di destinare risorse nella medesima direzione, ma in un momento di grave crisi finanziaria come quello attuale è pressoché impossibile.

Tuttavia, Riccia ha deciso per un importo minimo per tali attività in funzione del proprio progetto. Si ritiene, infatti, che in particolare senza la promozione non si possa far decollare l’idea oltre il primo “nocciolo”, realizzando l’effetto moltiplicatore neces- sario per ulteriori investimenti e attrazione.

A tal fine, ha deciso di attuare una Governance progettuale partecipata, coinvolgendo

ab inizio soggetti competenti che possono contribuire sin dall’impostazione a una pro-

gettualità di qualità. Lo si farà con vari strumenti, che tuttavia vedranno una regia nei comitati costituiti a supporto. Cioè due: 1) quello istituzionale, che raggruppa gli enti in vario modo coinvolti (comuni, regione, università, CCIIAA, Dipartimento Politiche Sviluppo); 2) quello partenariale, che punta a coinvolgere persone con competenze in aree di attività eterogenee e complementari (socio-sanitario, turistico, sviluppo locale, architettonico, geologico...).

l’Italia unita, da compiere, da rendere più giusta e uguale restava, e resta, il mio orizzonte

Vito Teti Viviamo in un contesto totalmente antropizzato e questa cosa, specialmente se par- liamo dell’Italia, possiamo ritenerla oramai acquisita anche da persone che non si oc- cupino di progettare o pianificare interi territori o singoli edifici. Anche se diciamo che le trasformazioni degli ultimi sessanta anni, in materia di riorganizzazione sociale e lavorativa, hanno avuto enormi conseguenze sullo spopolamento dei piccoli centri e delle campagne, esprimiamo concetti entrati nel parlare comune. E di queste trasfor- mazioni sono responsabili di certo anche – non solo – gli architetti. Forse per questo in un breve testo di Ettore Sottsass si parla di “architetti” come di soggetti “altri”, figure con cui evidentemente sentiva di non avere più molte cose in comune, “professionisti” che evidentemente riteneva avessero perso la sapienza relativa a quello che c’è di “na-

scosto, prezioso” sulla terra. Ma chiediamoci: come possiamo progettare un luogo “dove due amici seduti per terra si raccontano, adagio, le storie della loro vita”1, ossia luoghi che

così divengono architettura, se non riconosciamo quel “vago e nascosto e prezioso” che c’è nel mondo? Ma la cosa che più stupisce ancora oggi è che anche quando sembra esserci questa consapevolezza sul piano intellettuale, ad essa non corrisponda sempre – nella prassi della maggior parte dei tantissimi architetti italiani – una operatività adegua- ta, una presa di posizione che dichiari che il progettare spazi del vivere sia incidere profondamente su quello che già esiste, e quindi modificare i luoghi delle relazioni tra uomo ed uomo, tra uomo e natura. Decenni passati a pensare che abbandonare le campagne – considerate luoghi di arretratezza ed endemica, irreversibile povertà – per concentrare attività e popolazione in un numero limitato di grandi città fosse un pro- cesso ineluttabile e irreversibile, naturalmente positivo e portatore di ricchezza e pro- sperità (soprattutto per chi queste trasformazioni concretamente gestiva e realizzava). In questi lunghi anni la maggior parte dei progettisti ha operato come se il paesaggio, i sistemi spaziali e di relazione generati dalle architetture a noi arrivate dal tempo

RI-ATTIVA-AZIONI DEI BORGHI